di
Andrea Degl'Innocenti
22-04-2011
Dopo lo stop al referendum sul nucleare, il governo prova a fermare anche i due quesiti sull'acqua. Si delinea una strategia del caos il cui vero scopo non sembra modificare le norme vigenti ma creare confusione negli elettori al fine di boicottare i referendum ed impedire che ognuno si esprima liberamente.
Continua l'offensiva del governo nei confronti dei referendum del 12 e 13 giugno. L'altro ieri è toccato al nucleare, oggi è scoccata l'ora dei quesiti sull'acqua. Quel popolo continuamente invocato dal Presidente del Consiglio come suo unico mandante e in nome della cui volontà ogni legge o questione etica passava in secondo piano è divenuto improvvisamente un temibile nemico da mettere urgentemente a tacere. Non c'è voluto gran che. È bastato un minimo segno di vita, l'ipotesi appena paventata che possa alzare la testa, prendere parola e dire la sua, per scatenare una controffensiva senza precedenti.
Parlando dell'acqua, il ministro dello Sviluppo Economico Paolo Romani ha dichiarato a Radio Anch'io che “anche su questo tema, come per il nucleare il referendum divide in due. Ma – ha continuato – è un tema di grande rilevanza, e ho l'impressione che anche su questo sarebbe meglio fare un approfondimento legislativo”. Già. Accanto alla posizione del Governo, neanche a dirlo, si schierano compatti Confindustria e Federutility, la federazione che riunisce le aziende (spesso private) dei servizi pubblici. Pare che sia stata proprio quest'ultima a sollecitare un intervento governativo. Qualche giorno fa, infatti, il suo presidente si era domandato “se non sia il caso di evitare un referendum che ha sempre più un taglio puramente ideologico”.
Insorge il comitato promotore dei referendum, per il quale la proposta accennata da Romani suona come un vero e proprio boicottaggio. “La volontà popolare si è espressa con un fiume di firme su 2 quesiti molto limpidi, come riconosciuto dalla Corte Costituzionale, che bloccherebbero il processo di privatizzazione e la possibilità di fare profitti sull'acqua”, ha dichiarato Simona Savini del comitato referendario. “La linea del governo è stata fin da subito contraria ai 2 obiettivi; dubito che improvvisamente si possa cambiare idea, visto che per annullare il referendum si dovrebbero abrogare gli articoli in questione, e di fatto impedire che si facciano profitti sull'acqua.”
Dunque si tratterebbe, più che altro, di una sorta di depistaggio. “Probabilmente – ha continuato Simona Savini – ciò che faranno sarà proporre delle modifiche raffazzonate per istillare il dubbio negli italiani che il referendum possa saltare o sia inutile”. Una strategia comunicativa più che politica, che crei confusione. Che sfrutti la scarsa ricettività agli stimoli dell'uomo contemporaneo, bombardato di informazioni e messaggi urlati, costretto a rifugiarsi dietro una cortina di superficialità e disinteresse.
Ma gli interessi in gioco sono altissimi, da entrambe le parti. Interessi di pochi, economici, di chi si vuol spartire una torta da 64 miliardi di euro, contro interessi di molti, sociali, di chi vuol garantire a tutti un accesso all'acqua sicuro e fuori da ogni logica di profitto. E i pochi hanno paura dei molti, ed utilizzeranno tutti i mezzi a loro disposizione per impedir loro di esprimersi.
Fa paura, ai pochi, questo risveglio collettivo, li atterrisce l'idea che i molti si accorgano d'un tratto che possono far a meno di loro. La menzogna più grande che sia stata raccontata dai governanti ai governati è stata far credere a questi ultimi di essere inermi, incapaci di agire sulla realtà senza passare per l'intermediazione di chi li comanda. È evidente che sull'acqua si gioca una battaglia fondamentale di civiltà e democrazia. Una battaglia che stanno cercando di strumentalizzare, ingabbiare, fermare ad ogni costo. Non resta che seguire il consiglio di Oscar Olivera, leader della rivolta popolare di Cochabamba, Bolivia, contro le privatizzazioni imposte dalle multinazionali: “dobbiamo essere come l'acqua: trasparenti e in movimento”.
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