“La gratuità assume i connotati di un dono imperfetto, di un regalo scadente, fatto senza attenzione, senza cura, senza pensare al destinatario: escludendolo definitivamente in nome dell’elargizione. È un modo comune, sempre più frequente, di ‘accontentarci’. In realtà non ci rende affatto contenti”.
Ci capita di andare a prendere un aperitivo e pagare solo il vino perché la consumazione di cibo viene inclusa. La maggior parte delle volte il cibo non è granché. Si tratta di tartine mal guarnite, pizzette che perdono insieme al tepore qualsiasi altra virtù, paste condite con preparati sottolio o peggio sottaceto. Ma è gratis, e non ci possiamo lamentare.
Ci capita anche di lavorare per o con persone che fanno quel che fanno senza chiedere un compenso materiale. E spesso qualcosa non va nel modo migliore: ci sarebbe voluto più tempo, maggiore impegno, più ascolto, più ricerca, più rigore. Però non si può protestare perché non costa niente; sembra che il bilancio sia in un certo senso comunque positivo. Poteva non esserci nulla e invece ci sono cose al posto di un vuoto che altrimenti nessuno colmerebbe. Si riempiono così gli stomaci, le serate, le testate, intere esistenze.
Così, poco a poco, la gratuità assume i connotati di un dono imperfetto, di un regalo scadente, fatto senza attenzione, senza cura, senza pensare al destinatario: escludendolo definitivamente in nome dell’elargizione. È un modo comune, sempre più frequente, di ‘accontentarci’. In realtà non ci rende affatto contenti, e piuttosto ci abitua a due idee: che quel che non costa di solito non valga e che dal momento che è gratuito può non essere quel che dovrebbe.
In un mondo che non somiglia a questo - a quello che questo mondo è normalmente o soprattutto - la grazia esprime piuttosto un consenso lieve e coraggioso alle passioni, allo scambio di energie e risorse, alla compromissione con la vita e le esperienze nostre e di altre persone.
La grazia richiede fatica e disciplina: è quella di una cena preparata con intelligenza e affetto, di una serata organizzata e immaginata per giorni, di un libro scritto con precisione e rivisto con ossessiva cautela, di un commento inaspettato su una circostanza che ce ne rivela la prospettiva più giusta, di un gioco che non sapevamo giocare e qualcuno ci insegna liberandoci dalla noia e dalla distrazione.
Dovremmo smettere di accettare cose che non avremmo comprato se fossero costate più di zero, di giudicare passabile quel che paghiamo perché ci sembra che almeno costi poco. Dovremmo essere più esigenti con ciò che ‘consumiamo’, perché quel che si spende è il nostro corpo, il nostro tempo, la nostra reale possibilità di fare e non fare, diventare o vederci svanire. Dura poco, eppure è tutto: non ha prezzo.
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