Non erano i primi a ribellarsi a debiti subìti, lo avevano già fatto anni fa gli islandesi, nel silenzio omertoso dei nostri organi di informazione, tornando ad essere un paese florido.
Da quando Tsipras ha indetto il referendum ripenso agli ultimi anni in cui, dopo l’entrata in vigore dell’euro, tutto ha preso una piega spesso irreversibile: il crollo del nostro potere d’acquisto, le mille tangentopoli, l’aumento della povertà assoluta e relativa amplificato dalle crisi finanziarie che, una dopo l’altra, hanno via via scardinato il welfare così come lo avevamo percepito e finito di svuotare di potere le nostre istituzioni gestite da inetti macchiati indelebilmente della colpa di non aver mai (mai) agito per il bene comune.
Sono europeo, profondamente europeo, e giorno dopo giorno per anni ho visto all’opera un manipolo di burocrati mentre calpestava la democrazia degli Stati membri e proteggeva il mondo della finanza. E non potevo fare altro, come tanti, tantissimi, che impegnarmi per ridurre laddove possibile l’impatto di uno sviluppo monodimensionale e incondivisibile cercando di rimanere in piedi, trasformando ogni problema in opportunità: lo dovevo a me stesso e alla mia famiglia.
La popolazione greca è di circa 11 milioni di persone, 11 milioni che stanno finalmente facendo sentire democraticamente la loro voce perché ne hanno avuto la possibilità, che chiedono pacificamente e con immensa dignità un diverso percorso di sviluppo e lo chiedono ad un’Europa monodimensionale che, in chiaro deficit di democrazia, impone il mercato e la finanza come unico metodo di coesione e condivisione.
Che i debiti li paghi chi ne ha tratto beneficio, che i debiti li paghi chi ha diffuso modelli di sviluppo e stili di vita privi di contenuti e pieni solo di apparenza. Che i debiti li paghi chi non ha operato per il bene comune. Basta con il falso perbenismo de “i debiti si pagano” quando quei debiti sono stati contratti barattando il bene comune con l’asservimento al mondo della finanza: non ci sono differenze con quanto accaduto con l’indebitamento dei paesi dell’allora Terzo Mondo, è la stessa cosa; cambiano i popoli ma gli attori sono sempre gli stessi (FMI in prima fila).
La popolazione italiana è quasi sei volte quella greca. Quello che ci distingue è l’inconsistenza dei nostri politici e delle nostre istituzioni e la loro capacità di eludere la democrazia tradendo il Bene Comune.
I greci hanno potuto indire un referendum e votare dopo 6 giorni. Il Consiglio di Stato greco ha dato il parere sull’ammissibilità in poco più di un giorno sull’ammissibilità.
In Italia quanto ci vuole per un referendum? Quante raccolte di firme sono ignorate di legislatura in legislatura? Non parliamo poi dei tempi per l’ammissibilità di un quesito referendario.
La lezione che abbiamo avuto dai greci è, ancora una volta, di quelle che non si dimenticano e, a differenza di quella degli islandesi che sono un popolo diverso dal nostro, dei greci possiamo dire “una faccia una razza”. Tra politici italiani e statisti greci, invece è bene evitare paragoni…
Oltre la Grecia, da Leonida a Tsipras
di
Marcos Francia
13-07-2015
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