Il documentario è stato proiettato di recente nell’ambito della rassegna di Oltre la Crescita e mette in luce, attraverso le testimonianze di alcuni comitati cittadini, le anomalie che caratterizzano le pratiche e lo sviluppo della green economy «esasperate nella maggior parte dei casi da operazioni di speculazione economica e che, di contro, hanno ricadute negative sui territori e le popolazioni locali» (…). Le rinnovabili potranno davvero essere una rivoluzione energetica e culturale, solo se diverranno un mezzo a portata di tutti e non un beneficio per pochi.
Alla proiezione è seguita una discussione con le persone coinvolte e con i partecipanti all’incontro. Erano presenti anche Lucie Greyl (di Centro Documentazione Conflitti Ambientali CDCA e realizzatrice delle interviste) e Carlo Sessa (esperto in progetti di ricerca comunitari, analisi di lungo periodo e partecipazione dei cittadini).
Due i focus principali da cui muovere per capire meglio di cosa parliamo e la posta in gioco:
- la Green economy, che nell’informazione dei media (e nelle scelte economiche) si sta affermando come la soluzione al problema di coniugare tutela ambientale e crescita economica. Ma è davvero così?
- l’importanza della partecipazione delle persone e delle comunità per fare pressione, contribuire al cambiamento, influenzare le decisioni pubbliche.
Cosa significa green economy nella sua realizzazione concreta e come si sta traducendo nelle pratiche? Molte delle esperienze esistenti in italia (ma il trend è spesso improntato allo stesso modo) rispondono a pure logiche di profitto, senza apportare benefici economici più vasti per le economie locali né i benefici ambientali reclamizzati, ma anzi contribuendo a compromettere ulteriormente la qualità della vita e il futuro del territorio.
Quale i ruolo del modello economico che c’è dietro alla realizzazione delle opere? Spesso le opere definite di energie rinnovabili o alternative non si rivelano tali. Siamo di fronte a un modello predatorio che, e a ben guardare, tende troppo spesso a riprodurre lo stesso modello di sviluppo basato sul ritmo di prelievo e consumo di risorse naturali che afferma di voler superare.
Scarsa incidenza delle norme e dei provvedimenti nazionali e regionali in materia. Non contribuiscono realmente a facilitare la riconversione ecologica dell’economia (ad es. la Strategia Energetica nazionale o anche quella della Regione Toscana).
La (dis) informazione dei media mainstream e le strategie di comunicazione delle multinazionali dell’energia. Riescono a veicolare messaggi falsamente “green” ad un’opinione pubblica mediamente non avvezza ad andare oltre quello che si legge o si ascolta in TV.
L’espropriazione del “potere” decisionale locale. Accade laddove le comunità locali direttamente investite dalla realizzazione di queste opere (pale fotovoltaiche, impianti di geotermia, ecc.) non sono coinvolte nel processo decisionale e nelle scelte su interventi che impatteranno sul loro futuro, oltre che sull’ambiente. La partecipazione delle persone si riduce, nel migliore dei casi, ad una mera consultazione e “presa d’atto” di scelte già adottate. Venendo anche meno al principio fondamentale del coinvolgimento dei cittadini per l’efficacia delle politiche ambientali e per la sostenibilità dello sviluppo.
Ci sono un ruolo e responsabilità politiche nel modo in cui queste opere, presentate dai decisori locali come soluzioni per coniugare tutela ambientale e crescita economica e creare occupazione, apportino in realtà la gran parte dei benefici solo alle aziende realizzatrici, spesso multinazionali dell’energia. E gli amministratori locali, spesso finiscono con il divenire complici degli interessi economici in gioco, per ignavia, o consapevolmente. Fatta eccezione per alcuni casi e testimonianze di sindaci e amministrazioni locali virtuose, che provano e riescono anche a far prevalere gli interessi della comunità e dei suoi cittadini su quelli delle imprese.
Comuni (e sindaci) ”illuminati”. Nel panorama variegato di esperienze in corso di green economy basate sull’utilizzo di energie rinnovabili, esistono e si distinguono anche amministrazioni che si impegnano nel difendere l’interesse dei territori e delle comunità che amministrano dalla speculazione ad opera e a vantaggio di pochi (ma sempre sulla spinta delle persone che si mobilitano “dal basso”).
Ci sono comunità impegnate e “competenti”, in cui l’autoformazione, oltre a contribuire a fare pressione e (a volte) cambiare le cose, influenzando le scelte pubbliche finali, diventa funzionale a fare informazione , a produrre conoscenza anche dal basso e a coinvolgere e dare opportunità di re-agire, fare rete.
È importante attivare e stimolare una valutazione partecipata di quanto accade, attraverso l’informazione documentata e trasparente e il coinvolgimento delle persone. Una partecipazione quindi che diventa non solo opposizione, ma capacità di essere proattivi e di fare “pubblica opinione”, moltiplicando la conoscenza.
Occorre una informazione attraverso la Rete non più solo “estrattiva”, ma che, grazie alla conoscenza diffusa, diventa capace di essere filtrata.
Ci pare utile concludere questa riflessione sulla Green Economy e sull’importanza di ripartire dalle parole– che avevamo già avviato nella prima edizione della Scuola Oltre La Crescita - con una considerazione di Luciano Gallino[i]: «Dipende a quale economia verde si fa riferimento. Fare riferimento a pannelli fotovoltaici e pale eoliche, piuttosto che ad altro, non è un grande passo avanti se le dimensioni energivore della nostra economia rimangono immutate. (…)».
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