Partirà l’anno prossimo il progetto di ricerca europeo Horizon 2020, di cui la Rete Semi Rurale è partner: una sfida che rappresenta la prossima frontiera. Si tratterà di portare la diversità agricola nelle aziende e poi capire come questa diversità possa essere gestita a livello agronomico, a livello di trasformazione e a livello di qualità del prodotto perché tutto ciò è essenziale in un'ottica di strategia di resistenza-resilienza nei confronti dei cambiamenti climatici. Più diversità si riesce a gestire in campo, maggiore sarà la capacità dell'ecosistema di reagire agli stress. Questo consente di pensare, da un punto di vista più generale, a creare un sistema agricolo capace di resistere meglio all'inquinamento rispetto al sistema convenzionale che abbiamo adesso, caratterizzato dall'essere molto statico e fragile. Bastano pochi eventi traumatici, infatti, per distruggere intere coltivazioni a causa dell'uguaglianza delle varietà che favoriscono la diffusione del problema.
La rete (http://www.semirurali.net/), infatti, svolge da tre-quattro anni attività di ricerca sul tema delle popolazioni, ovvero si impegna a non lavorare più con qualità uniformi, ma cerca di mettere in campo delle varietà che siano diversificate, che abbiano molta diversità al loro interno.
Inoltre, sempre a livello europeo, la rete è responsabile di un progetto (progetto Leonardo) per favorire lo scambio di esperienze tra agricoltori, tra la realtà italiana e quelle simile in altri paesi europei (Francia, Spagna, Austria, Svizzera, Portogallo). Quindi vengono organizzate visite all'estero e i contadini stranieri vengono invitati in Italia per conoscere realtà e vedere esperienze nell'ambito della conservazione e della valorizzazione delle biodiversità agricole.
«L'obiettivo della rete – spiega Riccardo Bocci, direttore tecnico – è quindi quello di costruire un luogo condiviso per discutere, fare strategia e lavorare insieme in un'ottica il più possibile aperta, inclusiva. Non ci sono punti di vista, preconcetti, non c'è il nostro modello che si applica alla realtà, ma al suo sostegno ci sono diverse realtà, siano esse profit o no profit, che vendano il seme, che lo scambino, che facciano ricerca».
Dallo statuto si legge che «la rete ha lo scopo di sostenere, facilitare, promuovere le decisioni, i trattati e gli accordi nazionali e internazionali assunti in favore della biodiversità e dell'agricoltura contadina». Quindi c'è sempre un impegno per ottenere una legislazione più aperta e a tutela dell'agricoltore. Spiega Riccardo «noi abbiamo, dal punto di vista di vita associativa, un progetto triennale che viene rinnovato con il ministero dell'agricoltura finalizzato alla valorizzazione della biodiversità agricola che ci permette di fare una serie di attività di base tutti gli anni».
L'impegno è quindi totale verso un coinvolgimento attivo degli agricoltori nei sistemi sementieri (dalla ricerca alla vendita), aprendo sempre di più spazi legali perchè questo avvenga nel rispetto di regole di qualità del seme e garanzia del consumatore appropriate ai diversi modelli.
«Il mercato delle sementi è organizzato con direttive europee, noi abbiamo una legislazione nazionale che riprende le direttive europee – spiega Riccardo - Ci sono dodici direttive, organizzate per specie, che coprono tutto il mercato delle sementi sulle differenti specie. Per quanto riguarda poi gli aspetti più legati alla biodiversità agricola ci sono tre direttive specifiche sulle cosiddette varietà da conservazione, una sulle specie agrarie, una sulle ortive e una sulle foraggiere che danno delle regole un po' meno stringenti per quanto riguarda la distinzione e l'uniformità per poter iscrivere le varietà al catalogo. Esiste quindi un catalogo nazionale e un catalogo europeo, per poter vendere le sementi bisogna che le varietà di riferimento siano iscritte al catalogo. Normalmente le regole d'iscrizione per le varietà commerciali, varietà distinte in forme stabili, sono tre, invece, per quanto riguarda le varietà da conservazione si va un po' in deroga per quanto riguarda l'uniformità, quindi sono ammesse delle varietà che non siano così uniformi e quindi questo permette di iscrivere delle vecchie varietà o delle varietà locali. L'iscrizione in questo caso passa attraverso le regioni».
Tuttavia in Italia è stata sfruttata poco questa possibilità, sono iscritte solo 9 specie agrarie e 8 ortive forse perché non c'è un interesse reale nella vendita di tali varietà. Spiega Riccardo: «Le varietà che non sono iscritte al catalogo non possono essere commercializzate come sementi, è la regola europea e italiana. Per quanto riguarda, invece, chi può vendere seme, l'autorizzazione sementiera va chiesta agli uffici fitosanitari regionali. C'è una normativa che riguarda la qualità del seme e che garantisce che esso sia esente da malattie. Di fatto gli agricoltori, essendo agricoltori e non ditte sementiere, non possono vendere seme».
Siamo giunti a un punto cruciale: gli agricoltori non possono vendere le sementi, possono però scambiarseli? «Tutta la tematica dello scambio è diversa perché in teoria la normativa sulla commercializzazione riguarda solo la messa in commercio del seme. Alcune interpretazioni dei ministeri dei singoli stati membri dell'Unione Europea danno pareri diversi su cosa significhi commercializzazione. Diciamo che non c'è scritto da nessuna parte che lo scambio sia illegale, è soltanto un'interpretazione diversa su cosa vuol dire commercializzazione. Siccome la normativa comunitaria dice che la commercializzazione è qualsiasi atto svolto anche senza passaggio di denaro, l'interpretazione che ne danno alcuni paesi è che anche lo scambio rientri in una dinamica di messa in commercio.Tuttavia ci deve essere un fine commerciale, quindi la nostra interpretazione è che lo scambio che avviene senza fini commerciali non deve rientrare nella commercializzazione del seme. Come rete abbiamo delle regole per gestire queste dinamiche che consentono ai nostri soci di agire in legalità. Sostanzialmente è il fatto che scambiamo piccole quantità di seme che non appartengono a varietà protette da proprietà intellettuale ma sono varietà di pubblico dominio. Con il fatto che lavoriamo con piccole quantità finiamo nella deroga che c'è rispetto alla commercializzazione per attività di ricerca e conservazione alla biodiversità. In questa maniera legittimiamo le dinamiche di scambio che avvengo all'interno della rete. Banalmente vuol dire che se si scambiano 10 tonnellate di frumento difficilmente si riesce a giustificarlo come atto di scambio, se invece si lavora con qualche chilo o simili si può rientrare nella dinamica della difesa della biodiversità e della ricerca».
Dalla rete è quindi possibile ricevere i semi solo come scambio di piccole quantità.
La RSR (Rete Semi Rurali) ha intrapreso su questo una campagna specifica riguardante i cereali, la campagna di semina “Coltiviamo la diversità!” che è al secondo anno.
In quelle occasioni viene fatto circolare tra i soci un catalogo con le varietà che la rete conserva e riproduce, o direttamente o tramite i soci. Si parla comunque di quantità che vanno dai 50g a 1chilo o 1 chilo e mezzo.
Inoltre dal 2008 la normativa europea è in una fase di revisione da parte della commissione che si occupa di sementi, la DG SANCO, la direzione generale che si occupa della tutela della salute consumatore. Questa ha fatto una proposta di nuovo regolamento che è stata bocciata dal parlamento europeo quest'anno (febbraio 2014) e adesso è stata negoziata nella commissione una nuova proposta che dovrebbe uscire in primavera 2015. Questa nuova proposta contiene alcuni elementi chiarificatori riprendendo quello che già si diceva nel testo precedente, cioè che lo scambio che avviene tra operatori non professionisti resta fuori dalla normativa, come restano fuori tutte le attività di conservazione della biodiversità fatte da reti o da singoli agricoltori.
Adesso viene naturale domandarsi se chiedere un riconoscimento dei diritti degli agricoltori e una regolamentazione europea che porti alla salvaguardia delle sementi contadine non sia forse un rischio per l'attività delle singole persone (contadini) che verrebbe in questo modo inquadrata e omologata e, anche se più tutelata, sottoposta a mille norme schiaccianti da rispettare.
«La situazione è senz'altro più rigida – afferma Riccardo – ma il problema è che l'Unione Europea ha sempre pensato, siccome le sementi sono un settore particolare dove è molto facile frodare, di avere un controllo pubblico del seme messo in commercio per tutelare gli agricoltori che lo comprano. Ovvero garantire che il seme risponda a quello che c'è scritto sull'etichetta, per esempio una germinazione maggiore dell'80%, quindi assicurare tutta una serie di caratteristiche che permettono di capire cosa si stia comprando. Gli Stati Uniti d'America, invece, hanno scelto un percorso diverso rispetto all'Unione Europea, nel senso che hanno pensato che bastasse il mercato a tutelare la qualità del seme. Se si compra qualcosa che poi non risponde alle aspettative non lo si compra più nello stesso posto. La qualità viene gestita direttamente dal mercato. Sono due approcci diversi allo stesso problema, tutti e due hanno degli effetti collaterali. Per gli USA l'effetto collaterale è che il libero mercato non esiste, il mercato è dominato dalle grandi multinazionali che impongono quello che loro vogliono nel vendere il seme. Dal punto di vista europeo il problema è dato da una normativa stringente che determina l'impossibilità di vendita di alcune varietà a causa della difficoltà di iscrizione al catalogo. Il lavoro che stiamo facendo da anni riguarda quindi l'apertura della normativa sementiera per portare all'iscrizione delle qualità che oggi non si possono iscrivere. In questi anni per quanto ci riguarda, come rete, abbiamo cercato di negoziare con la commissione un testo legislativo che fosse il più possibile aperto ad altre varietà e che consentisse anche agli agricoltori di poter non solo scambiare ma di poter vendere delle piccole quantità di sementi. Vediamo che da parte della commissione ci sono aperture che dieci anni fa non c'erano e però quando si parla di mercato sementiero bisogna anche considerare chi sono gli attori in gioco e noi ovviamente rappresentiamo una parte minuscola rispetto al flusso di capitale che gira nel mercato sementiero. Tutti gli attori del mercato sementiero europeo hanno comunque chiesto il mantenimento di questo modello di controllo pubblico del seme piuttosto che il libero mercato.
Tuttavia le associazioni sindacali degli agricoltori, proprio in questo momento in cui la commissione sta facendo la nuova proposta tecnica, sostengono di non volere una nuova legislazione accettando quella odierna. E questi sono gli agricoltori... i sindacati CIA (Confederazione Italiana Agricoltori), Coldiretti, quelli grossi ovviamente... per cui alla fine diventano più conservatori della commissione stessa!».
Il rischio è dato dalla presenza di aperture legislative troppo generiche che poi alla fine in qualche modo minano tutto l'impianto di controllo pubblico. Bisogna capire le deroghe e le eccezioni che si chiedono affinché siano abbastanza precise e articolate in maniera tale da non poter essere utilizzate per evitare i controlli. È tutto qui il gioco adesso, perché non sono tanto gli agricoltori che truffano ma sono le stesse ditte sementiere.
Il problema è mettere d'accordo i diversi pareri perché c'è sempre una parte del mondo sociale e associativo che quando parla di semi non vorrebbe regole e vorrebbe un approccio stile libero mercato.
«Noi – spiega Riccardo – stiamo cercando di organizzare attività formative per i nostri soci spiegando loro che questa non è la risposta giusta al problema. Intanto perché l'Unione Europea negli ultimi cinque-sei anni ha discusso il nuovo testo legislativo e nessuno ha mai chiesto che venisse eliminata la legislazione. Per noi è importante che ci sia un sistema di controllo pubblico sulla qualità del seme perché non dobbiamo pensare solo al nostro piccolo e ai nostri meccanismi di scambio, dove comunque è già difficile mantenere una certa qualità, ma dobbiamo capire che queste norme regolamentano tutto il mercato sementiero, quindi anche ditte che fanno il seme in Cina e poi lo importano in Italia. Si tratta quindi di un mondo molto più grosso del nostro che non si basa sulla fiducia data dalla conoscenza diretta o dal principio di prossimità e di vicinanza.
Inoltre il fatto di avere un catalogo, un'iscrizione e un controllo pubblico garantisce di poter decidere cosa mettere in commercio con una decisione politica, quindi ottenere, per esempio, il blocco all'origine sugli OGM, mentre l'idea del libero mercato è quella che apre al modello americano e agli OGM».
Il problema si allarga considerando che in meno di un secolo abbiamo già perso circa l'80% delle varietà alimentari tradizionalmente coltivate e delle razze animali locali allevate. Questo vale a livello mondiale e la tendenza è in forte accelerazione: una ristretta oligarchia di multinazionali (Cargill, Continental, Louis Dreyfus, ADM, Andre, Bunge) detiene pressoché tutta la distribuzione delle derrate alimentari del mercato globalizzato e pochissime altre (Monsanto, Syngenta, Bayer, Pioneer Hi-Bred) ne controllano il mercato delle sementi e degli OGM.
Per difendere maggiormente la biodiversità a livello locale, delle singole persone, bisogna combattere questa situazione di monopolio che hanno le multinazionali nel mercato.
Riccardo sostiene che «il problema delle multinazionali per quanto riguarda il lavoro sulla biodiversità ci colpisce poco, nel senso che noi abbiamo tutta la possibilità e la libertà di mettere in pratica delle dinamiche sui territori che lavorano con diverse varietà senza nessun problema. Perché spesso le attività di scambio, come dicevo prima, sono attuate e sono possibili e permettono la circolazione di un po' di materiale».
Semmai il problema sembra essere l'organizzazione di reti sociali abbastanza forti e il credere che non esista solo il mercato come strumento di circolazione del seme, ma anche il piccolo scambio organizzato in maniera seria evitando così il rischio della circolazione di seme che non germina o con malattie.
«Lo scambio è cosa positiva dal punto di vista del cittadino – dice Riccardo – farlo diventare una pratica per l'agricoltore che si deve mantenere con quello che semina non è così semplice. Credo che da questo punto di vista il limite non siano le multinazionali ma la nostra forza sociale. Gli strumenti che possono avere le aziende agricole a disposizione sono tanti a partire dai prossimi Psr (Piano di sviluppo rurale). Quindi è un fatto di organizzazione diversa delle aziende in rete che non è per niente in relazione con il monopolio del mercato sementiero. Poi stiamo parlando in linea di massima di varietà che sono in pubblico dominio, quindi non è neanche un problema di proprietà intellettuale».
L'approccio della RSR punta a far ragionare le persone sui sistemi sementieri alternativi, quindi non tanto sulla singola varietà. Sistema sementiero vuol dire «ragionare, guardare il seme dalla parte della ricerca, la pubblicazione del seme, la sua diffusione e così via».
L’obiettivo è uno spazio per i cosiddetti sistemi sementieri informali, quelli che hanno vissuto fino a 50 anni fa in Italia, adesso sono i principali nei paesi del sud del mondo, ma anche qui esistono e non vanno regolamentati ma in gestiti con conoscenza, con precisione, con un'organizzazione. Poi bisogna fare in modo che il sistema formale non distrugga il sistema informale.
«Quello che stiamo realizzando – conclude Riccardo – va avanti al di là delle leggi, il lavoro che abbiamo fatto in questi anni era di far presente a chi legiferava a Bruxelles che, per ottenere un possibile futuro dell'agricoltura, le leggi devono tener conto della realtà e non cercare di cambiare la realtà sulla base di quello che si ha in testa e in qualche modo ci siamo riusciti. In Italia invece è più complicato perché si cerca di applicare un modello teorico alla realtà agricola. Tuttavia le pratiche vanno avanti, noi cerchiamo di sostenerle in tutti i modi sui diversi punti di vista, sui piani legale, scientifico, organizzativo e tecnico. Quindi i passi avanti sono stati fatti e prima o poi questo riconoscimento dovrà avvenire anche in Italia!».