di
Francesco Bevilacqua
16-01-2012
In questi giorni è in corso una trattativa per sciogliere uno degli aspetti più dibattuti e critici del rapporto fra Stato e Chiesa, vale a dire l’esenzione di una considerevole porzione dei beni ecclesiastici dal pagamento dell’imposta sugli immobili. Cosa cambia dopo il passaggio dall'Ici all'Imu attivato in via sperimentale dal governo Monti?
L’annosa questione del rapporto fra Stato e Chiesa cattolica in Italia ha radici antichissime. Almeno per quanto riguarda l’aspetto economico, finanziario e tributario. Tuttavia, è possibile fare riferimento ad alcuni avvenimenti che l’hanno segnato negli anni, a partire dai Patti Lateranensi del 1929, siglati fra il cardinale Segretario di Stato Pietro Gasparri e il Primo Ministro Benito Mussolini, seguiti dal nuovo concordato – noto come “accordo di Villa Madama” – firmato nel 1984 dal cardinale Agostino Casaroli e dal presidente del Consiglio Bettino Craxi. Fu in quell’occasione che venne introdotto il meccanismo dell’otto per mille come finanziamento a beneficio del clero.
Venendo a tempi più recenti, è importante citare la sentenza pronunciata l’8 marzo del 2004 dalla Corte di Cassazione, che ha contestato le disposizioni contenute nell’articolo 7 del decreto legislativo 504 del 1992, quello che determinava le esenzioni dell’ormai superata Imposta Comunale sugli Immobili (ICI), da cui gli edifici sacri erano immuni. La Cassazione stabilì che alcune strutture dell’Istituto del Sacro Cuore, essendo desinate a un uso “oggettivamente commerciale”, erano impropriamente collocate fra queste eccezioni.
Con la Finanziaria del 2006 qualcosa si smosse, ma le indicazioni della Cassazione vennero sostanzialmente disattese: fu infatti stabilito che l’esenzione dall’obbligo di pagare l’ICI era inteso “applicabile alle attività che non avessero esclusivamente natura commerciale”. Bastava quindi che una struttura commerciale disponesse di una parte, anche minoritaria, dedicata ad attività religiose – una piccola cappella o una sala di preghiera per esempio – per consentire l’esenzione dell’intero edificio.
Le polemiche che anche recentemente hanno costellato questo particolare aspetto del rapporto fra Stato e Chiesa sono state innumerevoli e anche molto aspre. In questi giorni però, sembra che la situazione stia cambiando. Modificando e anticipando il programma fissato da un passaggio del decreto legislativo del 14 marzo 2011 varato dall’ultimo Governo Berlusconi, il Governo Monti ha sostituito, per ora in via sperimentale, l’ICI con l’IMU, Imposta Municipale Unica, che modifica la disciplina della tassazione degli immobili.
Al di là di ciò che cambia per i contribuenti 'normali', è interessante sottolineare una novità decisiva a proposito dell’esenzione per gli edifici non commerciali della Chiesa: il nuovo criterio dovrebbe infatti prendere in considerazione la percentuale di metratura dell’immobile dedicata all’attività commerciale e su questa applicare regolarmente la tassa.
Questo aspetto sarebbe molto rilevante non solo dal punto di vista finanziario, perché garantirebbe un notevole incremento delle entrate all’erario (l’Unione Atei Agnostici Razionalisti stima che le esenzioni ICI dei beni della Chiesa siano costate ai cittadini italiani complessivamente circa 500 milioni di euro), ma anche dal punto di vista politico, poiché determinerebbe l’abolizione di un privilegio riservato a quella che molti hanno definito una vera e propria casta, quella clericale.
A tal proposito è interessante la discussione che vede impegnati in questi giorni il presidente della Conferenza Episcopale Italiana Angelo Bagnasco e il capo del Governo Mario Monti. È stato proprio Monti a chiedere agli italiani grandi sacrifici per risanare la condizione economica del Paese e molti si sono chiesti come mai la Chiesa, potenzialmente uno dei maggiori contribuenti italiani, dovesse essere considerata esente da questo sforzo.
In realtà la strada è ancora lunga e uno dei maggiori ostacoli è rappresentato dal fatto che i beni del clero non sono mai stati oggetto di stime catastali e un censimento completo, che dovrebbe anche stabilire la famosa suddivisione fra le porzioni di immobili dedicate alle attività commerciali e quelle dedicate alle attività religiose, è un’operazione che richiede tempo e notevole impegno.
Va comunque registrato che da parte degli stessi rappresentanti del clero, cardinal Bagnasco in primis, è giunta la disponibilità a fare luce sulle numerose ombre che riguardano gli aspetti finanziari del rapporto fra Stato e Chiesa, che da decine di anni non solo è oggetto di aspre polemiche politiche, ma potrebbe essere anche responsabile, se i calcoli dell’UAAR sono realistici, di considerevoli danni economici che gravano sulle spalle degli italiani.
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