"Tutti da Ikea", ma è davvero sostenibile?

Oltre al risparmio, tra i fattori che hanno decretato il successo di Ikea vi è il suo essere 'eco'. Quanto però la multinazionale svedese low cost può essere considerata realmente sostenibile dal punto di vista ambientale, economico e sociale?

La geografia del paesaggio italiano è in costante e mutevole evoluzione, provate a monitorare Google earth o map o qualsiasi webgis, o ancora più semplicemente percorrere qualsiasi infrastruttura durante un range temporale non necessariamente lungo per rendersi conto dell’antropizzazione crescente dei luoghi. Il cemento delle lottizzazioni e dei servizi annessi e connessi ha trovato posto soprattutto nelle adiacenze di nodi stradali ed autostradali e viceversa, alimentando blob di cemento e asfalto tecnicamente definiti sprawling: si abbandonano i centri urbani costosi ed inquinati e si va nelle periferie anonime assurte a dormitori. In corrispondenza dei sobborghi si insediano le cattedrali del consumo rassicurante, democratico e ‘liquido’, quei centri commerciali provider di prodotti e servizi uguali da Bolzano a Catania. Il rituale per eccellenza viene consumato in quegli enormi blocchi color blu lucido con la scritta in giallo, diventati negli anni mete turistiche o, addirittura, costruiti in seguito a raccolta firme di sostenitori locali stufi dei pellegrinaggi in altre regioni: parlo di Ikea, la multinazionale svedese specializzata nella vendita di mobili, complementi d'arredo e oggettistica domestica low cost, che annovera 258 centri di vendita in 37 paesi, gran parte dei quali in Europa. Il carattere innovativo di Ikea che ne ha decretato il successo fa leva su tre fattori: il risparmio, l’essere ‘eco’ e la ‘sindrome da Lego'. Ikea, infatti, si limita a fornire i materiali smontati, di origine certificata e in un formato facilmente trasportabile, sarà il cliente a provvedere a propria cura al trasporto ed all'assemblaggio del mobile. Sono stato un paio di volte in un mega store Ikea, ma la struttura labirintica degli spazi espositivi mi disturbava e mi disorientava, abbastanza da tenermene alla larga il più a lungo possibile. Ho scoperto, poi, che la struttura dell'Ikea è un'arma psicologica tesa a confondere e disorientare i clienti in modo da farli spendere sempre di più. La multinazionale scandinava, in ogni caso, ha reso asset fondamentali della sua strategia aziendale i valori, gli usi e costumi del paese di origine che si riflettono nel design, nello stile razionale e lineare, una perfetta sintesi tra funzionalità ed estetica. La comunicazione del gruppo svedese, lo spot 'Ikea basta poco’ è paradigmatico in tal senso, è driver di questi valori: apertura mentale, essenzialità, familiarità. L’impegno di Ikea per la sostenibilità sembrerebbe notevole e la Corporate Social Responsability uno dei suoi tratti distintivi: si va dal Cause Related Marketing al finanziamento di progetti di Cooperazione allo Sviluppo, dal legno certificato all’uso di energie alternative (Ikea punta ad essere completamente indipendente dal punto di vista energetico nel giro di qualche anno) per ridurre le emissioni di gas clima-alteranti, dalla lavorazione del cotone eco-compatibile all’utilizzo razionale di risorse idriche. L’impegno sociale di Ikea si manifesta anche attraverso le collaborazioni con diverse Ong ed istituzioni pubbliche che si occupano di temi sociali e di ambiente (Unicef, Save the Children, WWF). Un accurato controllo di tutta la filiera di produzione garantirebbe, poi, che tutto il ciclo di vita dei prodotti sia sostenibile. Il successo commerciale di Ikea è indubbio, la sua formula funziona: ha arredato e arreda milioni di appartamenti, ha creato l’immaginario di un mondo di clienti-progettisti/arredatori low cost, ha esportato ovunque l’idea che la semplicità abbinata alla funzionalità possano sopperire alla mancanza di originalità. Non basta, Ikea vuole spingersi oltre e costruire anche la cornice di quegli spazi arredati in maniera lineare e razionale. Il colosso svedese, infatti, ha deciso di investire nel mattone e il glossario dell’urbanistica sostenibile si va ad arricchire dell’ennesimo neologismo, per cui accanto o dentro alle città intelligenti (smart city), a quelle in transizione (transition town), agli eco-quartieri ad impatto zero, in un futuro molto vicino avremo gli ‘Ikea District’, rigorosamente low cost, semplici e funzionali. Ikea sta progettando un intero quartieread Amburgo nei pressi dell’aeroporto, in un'area di cinque ettari, per costruire uffici, appartamenti, negozi per migliaia di persone all’insegna della democratica accessibilità per il portafogli di tutti e con la irrinunciabile dimensione sociale della casa scandinava. Un simile progetto è stato presentato anche a Londra nelle vicinanze del parco olimpico, dove si dovrebbero realizzare 1.200 edifici, destinati appunto ad alloggi, uffici, un albergo e dei negozi. Provo a fare alcune riflessioni più scevre possibili dai miei pregiudizi su multinazionali e mega store, per capire se Ikea è un’azienda effettivamente sostenibile nella dimensione sociale, economica ed ecologica. Facendo una piccola ricerca nel web e leggendo attentamente i bilanci di sostenibilità pubblicati on-line sul sito della società, emerge la poca trasparenza del gruppo svedese e l'impossibilità di conoscere il reale bilancio consolidato dell’azienda. Sempre sul sito di Ikea si può trovare una lista di attività, comportamenti, azioni future, un imprecisato futuro, che verranno implementate per rendere ancora più sostenibile l’azienda; parliamo di impegni vaghi e senza obiettivi precisi. Tenere i prezzi dei prodotti bassi, per un colosso che fa del low cost il dogma assoluto della sua strategia di marketing, significa abbassare il costo del lavoro il più possibile, da qui la delocalizzazione nei paesi dove una debole legislatura sui diritti dei lavoratori e un’inefficiente apparato sindacale fanno sì che un operaio Ikea venga pagato 1,60 euro al giorno, come accede in alcuni paesi asiatici, in Cina soprattutto, dove avviene il 30% della produzione totale di Ikea. Non vi è traccia di certificazioni relative ai diritti e alla sicurezza dei lavoratori nella strategia green di Ikea, come ad esempio la OHSAS18001 (Occupational Health and Safety Assessment Series che identifica uno standard internazionale per un sistema di gestione della Sicurezza e della Salute dei Lavoratori), e le accuse in rete sull’atteggiamento del colosso scandinavo nei riguardo dei lavoratori abbondano. La Responsabilità Sociale di cui si vanta il gruppo svedese risponde, poi, ad una strategia top-down senza nessun coinvolgimento degli attori locali dei territori dove sono insediati i suoi negozi, un atteggiamento tipico delle aziende multinazionali che localmente non hanno nessun legame con il territorio ed i relativi stakeholders. Ikea vende prodotti low cost che durano poco quindi destinati ad ingrossare le discariche, scelta più sostenibile sarebbe quella di produrre prodotti che durino di più; è localizzata in zone periferiche, fattore questo che incrementa le emissioni a causa dell’incremento di traffico diretto ai negozi. Il catalogo Ikea è considerato il più importante strumento di marketing del gruppo, dato che influisce sul 70% del budget dedicato al marketing aziendale; nel 2008 ne sono state stampate 198 milioni di copie ed è, dopo la Bibbia, il testo più diffuso al mondo, pubblicato ogni estate in 52 differenti edizioni, in 27 lingue per 35 paesi. È sostenibile, benché certificata e di origine controllata, questo tsunami di carta? Per quanto riguarda i nuovi investimenti del gruppo nel settore immobiliare, anche qui si risponde ad una logica top-down per esportare un modello abitativo ovunque, senza tenere conto delle caratteristiche socio-culturali della comunità autoctona, imponendo un modo di abitare che andrà bene in Svezia, ma ciò non garantisce, come tutti i modelli che pretendono di essere universali, che possa essere applicato a differenti contesti territoriali. Sostenibilità è innanzitutto valorizzare e riqualificare l’esistente, signori Ikea, altrimenti il rischio di tirare su l’ennesimo sprawling è alto. Nuove periferie, senza soluzione di continuità, figlie del concetto di città globale. Vanno sparendo le città degli individui, quelle città che avevamo costruito per difenderci e dalle quali poi ci siamo difesi, per fare posto alle città intelligenti, in transizione. Se il modello Ikea prenderà piede le nostre città rischieranno di diventare ‘invisibili’, una falsa democrazia socio/immobiliare senza nessun capitale sociale.

Commenti

Questo articolo su Ikea è secondo me poco oggettivo. Uso abbastanza i prodotti Ikea, pur non essendo un fan sfegatato. Un articolo piu' oggettivo dovrebbe confrontare Ikea con gli altri produttori di mobili. In sostanza, a me servono un tavolo ed una sedia. Se li voglio il piu' ecosostenibili possibile, dove li compro da Ikea o da un altro mobilificio? Quest punto non è trattato. I mobili ikea durano poco. Cosa significa? Quanto durano rispetto ad altri mobili? Secondo me durano molto. Ma anche questa è solo un'opinione, non significa quasi nulla, se non confronto le durate. I mobili ikea, piu' di altri, sono separabili semplicemente in diversi materiali (legno, vetro, plastica, metalli) e quindi semplicemente riciclabili. Spesso sono di legno non trattato. Altri mobilifici producono mobili con laccature tossiche che rendono piu' complesso lo smaltimento. Abbastanza daccordo sul consumo di suolo, sullo spreco di carta per il catalogo e sugli operai sottopagati in Cina. Avrei gradito un'analisi sull'impatto ambientale dovuto al trasporto di merci. Per esempio lessi che la bicicletta di Leroy Merlin era fatta con pezzi provenienti da 30 paesi diversi, quindi il consumo di petrolio per costruirla era immenso. Nell'articolo non compare invece un'analisi quantitativa di questo tipo.
Corrado, 28-09-2012 03:28
premesso che le multinazionali non mi piacciono in quanto tendono ad omologare gli individui che, per natura sono diversi, faccio presente quanto segue: i prodotti IKEA, per quello che conosco non durano poco e ritengo che siano di buona qualità. Per quanto concerne il "fai da te" non mi sembra un fatto negativo. Nel mondo dell'edilizia alcuni portano avanti il concetto dell'auto costruzione che per'altro era normale in Italia nei primi anni 50. Per quanto attiene ai prezzi: se i prodotti sono buoni, hanno una discreta durata nel tempo e in più costano poco non vedo il lato negativo visto il tipo di società in cui le multinazionali ci costringono a vivere. Se ad esempio posso comprare una cameretta completa a mio figlio con 1.300 euro in luogo dei 3.000 minimo necessari in un normale negozio di arredamento non vedo perchè non devo farlo. Proseguendo sul discorso economico: le normali ditte di arredamento ricaricano i costi, a mio parere, in modo esagerato determinando così un elevato prezzo di vendita e non sempre la qualità del prodotto vale il prezzo. Le soluzioni di arredamento IKEA sono, a mio parere, gradevoli da un punto di vista estetico che è semplice e razionale; per questo non stancano. Poi se uno pretende mobili firmati da Architetti di grido se li paga.
Giovanni Gregoretti, 28-09-2012 06:28
per me ikea non e' sostenibile perche' vende piatti a base di carne (di renna) nei suoi ristoranti... e pellame... Piccola cosa? non direi, visto che la produzione di "carne" e' piu' impattante sul clima di tutto il settore dei trasporti! In questo genere di analisi, perche' non cominciare a considerare anche gli animali?
valter fiore, 29-09-2012 12:29
Aggiungerei anche che Ikea compare tra le aziende che hanno acquistato (e acquistano?) legname dall'Indonesia, stando a quanto riportato nelle ultime scene del documentario di Patrick Rouxel "Green" sulla distruzione della foresta pluviale e reperibile all'indirizzo http://www.greenthefilm.com/
Ilaria, 29-09-2012 01:29
Voglio fare due premesse: 1)Leggo quotidianamente le news de "Il Cambiamento"che sono semprevariegate ed approfondite; 2)Non credo alle favole della pubblicità di IKEA,ma ciò non mi esime di riconoscerle qualche merito. I prezzi sono decisamente bassi e ciò mi ha permesso di arredare casa con pochi soldi,razionalizzando gli spazi,il tutto senza tralasciare il buon gusto. Non è vero che i mobili durano poco,basta usarli con le dovute maniere. I prezzi sono chiari,per cui se quello che voglio comprare mi piace lo compro,altrimenti non lo faccio. Sono stufo e mi ritengo sufficientemente offeso dai manifesti dei mobilifici nostrani,che promettono falsi sconti,lavorazioni artigianali fasulle,ecc. L'impatto ambientale di un mobile in legno massello non è forse maggiore di un mobile composto anche con carta riciclata? Per questione di tempo circa un anno fa ho comprato una cucina di una azienda italiana(dove sia stato effettivamente fabbricato non è scritto da nessuna parte)ed ho speso circa %u20AC13.000.Di recente sto ristrutturando una piccola vecchia casa e per spendere poco ho acquistato una cucina alla IKEA. Posso assicurare che pur non essendo un falegname,le antine,le strutture ed il top sono della medesima qualità di quella"italiana",tenendo conto che il costo è 3/4 volte inferiore.Mi dispiace enormemente dover tifare per gli svedesi,ma la realtà è questa. Piuttosto che vedere l'effetto Lego di IKEA,valorizzerei invece il concetto positivo che c'è dietro l'acquisto low cost e cioè,che non occorre spendere tanta parte della propria vita lavorativa per comprare i mobili,specialmente per i giovani.Quei soldi possono essere spesi per la propria cultura,per fare qualche viaggio in più,ecc. P.S.:da quanto descrivo,si può capire che frequento spesso l'IKEA. La scortesia con cui vengo trattato dal personale probabilmente non fa parte del codice etico della suddetta ditta,ma di un costume tutto italiano di pensare che quello di fronte non è un cliente,ma una persona che viene a "rompere" e che rispondere alle sue domande non dovrebbe essere un optional,bensì un dovere e meglio ancora un piacere!
Mario, 29-09-2012 10:29
Salve, ho letto i vostri commenti e ci tenevo a fare alcune precisazioni: Esigenze editoriali mi impediscono di scrivere articoli che potrebbero assurgere a vere e proprie ricerche, attraverso le quali effettivamente fare un'analisi di comparazione tra Ikea e altre aziende del settore, o addirittura fare un'analisi LCA (Life Cycle Assessement) dei prodotti Ikea. Io provo a lanciare input, spunti di riflessione, supportati ovviamente da prove oggettive di quello che dico. A me premeva soprattutto sottolineare l'incongruenza tra quello che dichiara Ikea e quello che effettivamente fa in termini di sostenibilità. La qualità, ad esempio, di un prodotto è un parametro relativo, la mia considerazione viene fuori sia da esperienze personali e di persone a me vicine che dalla consultazione di forum tematici e siti web. Sono daccordo sul fatto che il momento storico richiede un'attenzione particolare verso i costi che una famiglia deve sostenere, ma facendo un'analisi comparativa dei prezzi per ciò che riguarda cucine e divani ho appurato che altre ditte, parlo di ditte locali, garantiscono prezzi e qualità migliori. Per quanto riguarda altri aspetti della sostenibilità di cui si vanta Ikea io ho posto il focus solo su alcuni altrimenti il mio articolo sarebbe stato infinito, sicuramente la gestione dei ristoranti non è molto eco-compatibile come non lo è l'utilizzo di carne che ha un'impronta ecologica notevole. Resta il fatto che Ikea è un'azienda è stata tra quelle pioniere per ciò che concerne la sostenibilità, che non bisogna dimenticare è un percorso senza fine ma che sicuramente paga in termini di reputazione, ma ho l'impressione e più di un'impressione che Ikea si sia un po seduta sugli allori. Se poi si considera il recente interessamento per il business immobiliare viene da pensare che effettivamente Ikea fa del Green Washing e la sua strategia aziendale è quella di una multinazionale che fagocita tutto. Grazie per i vostri commenti, sono per me stimolanti e preziose occasioni di confronto.
Umberto Mezzacapo, 01-10-2012 07:01
non amo le crociate, ma ritengo che ikea sia nè più ne meno una multinazionale che, rivolgendosi a un pubblico vasto, logicamente utilizza strategie di comunicazion e marketing più raffinate di altre aziende. Quindi un abile uso di pubblicità, politically corret, ecologia sbandierata, ma la sostanza è business: ogni tanto uno scivolone, per me tale è, come aver cancellato dai cataloghi sauditi ogni immagine femminile per non "offendere"... Io se voglio un mobile ecologico a bassso costo lo ordino al mio amico che a tempo perso lavora il legno: sostengo l'economia locale, il km 0 è garantito, il prezzo concorrenziale anche con ikea e se mi rompo il mobile alla fine lo posso bruciare nella stufa senza temere emissioni di gas tossici.
gianpietro, 01-10-2012 08:01
errata corrige: bicicletta di Leroy Merlin, intendevo bicicletta di Decathlon.
Corrado, 02-10-2012 09:02
mi meraviglio che le persone non capiscano una cosa fondamentale.Comprare cose all ikea è distruggere la nostra cultura il lavoro sul nostro teritorio saremo costretti ad essere tutti operai ikea perchè guadagnando poco non ci resta che spendere poco ma avere comunque tutto. Il futuro è l appiattimento delle nostre personalità l impossibilità al sacrificio per comprare una buona cosa fatta su misura per te e solo per te ( se così è !!) ed essere tutti uguali e felici come sul catalogo ikea senza personalità e senza difetti, ma efficienti. Se ognuno di noi qualsiasi lavora faccia pensasse che non conta perchè tanto c' è qualcuno che lo può fare a meno e meglio allora smettiamola ed iscriviamoci alle liste di collacamento per essere selezionati tra i lavoratori ikea. vorrei far notare che sarebbe molto più semplice e libero usare le cose usate per chi ha pochi soldi ed usufruire di artigiani ,locali ormai strozzati dalle tasse ec ostretti ad abbassarsi al prezzo del low cost. Perchè quello che conta è che costi poco e che si possa comprare tanto e poi e poi epoi epoi ....non ci lamentiamo della crisi !!!
Monia Pieri, 15-10-2012 11:15

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