Il glifosato è uno degli erbicidi più utilizzati a livello mondiale per il controllo delle erbe infestanti in agricoltura, orticultura, silvicultura e manutenzione del verde urbano.
Nel marzo del 2015 l'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (Iarc) lo ha catalogato come “probabile cancerogeno per gli umani”. Ad aprile 2015 l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) è stata incaricata dalla Commissione Europea di prendere in considerazione le conclusioni dello Iarc ed effettuare una revisione nell'ambito del processo legale di rinnovo dell'autorizzazione dell'uso del glifosate in Europa. Contrariamente al rapporto Iarc, le ricerche di Efsa sono arrivate alla conclusione che è "improbabile che il glifosato possa costituire un pericolo cancerogeno per gli esseri umani”. I risultati opposti delle due valutazioni hanno generato, nei mesi seguenti, un duro dibattito tra esponenti delle due Agenzie circa la metodologia applicata nella determinazione della possibile cancerogenicità dell’erbicida.
Sebbene le conclusioni dell'Efsa avrebbero permesso il rinnovo quindicennale della licenza per il glifosate da parte della Commissione Europea, a marzo 2016 il Comitato permanente su piante, animali, cibi e mangimi (Paff) non ha proceduto a tale rinnovo a causa dell’opposizione di alcuni paesi, tra cui l’Italia. Nell’aprile 2016 il Parlamento Europeo ha votato una risoluzione non vincolante che esortava, tra l'altro, la Commissione a rinnovare l'autorizzazione al commercio del glifosato per sette anni invece di quindici e limitatamente all’uso professionale. In ambito UE è stato quindi varato il Regolamento 1313/2016 che prevede misure di limitazione nell’uso di formulati a base di glifosato, ripreso in Italia dal Decreto 9 agosto 2016 che proibisce l’utilizzo dell’erbicida in luoghi di interesse pubblico (parchi, giardini, ecc) e ne vieta totalmente l’impiego per fini non agronomici.
Nel frattempo l’Agenzia europea delle sostanze chimiche (Echa) nel marzo 2017 ha confermato la classificazione del glifosato come sostanza che può causare seri danni agli occhi, tossica per l'ambiente acquatico con effetti a lungo termine.
In questo quadro di valutazioni anche contrastanti, un cittadino ed alcuni eurodeputati, appellandosi alle disposizioni della Convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni in materia ambientale, hanno fatto richiesta di accesso all’Efsa relativamente agli studi sulla tossicità e cancerogenicità del glifosate alla base delle sue valutazioni; tali studi, mai pubblicati, sono ritenuti infatti fondamentali per determinare la dose giornaliera ammissibile di glifosate, oltre a contenere risultati e analisi sulla cancerogenicità della sostanza attiva.
L’Efsa ha però negato l’accesso a tali studi perché, ha spiegato:
. la divulgazione di tali informazioni avrebbe danneggiato gli interessi commerciali e finanziari delle imprese autrici degli studi stessi,
. non esisterebbe, secondo Efsa, alcun interesse pubblico prevalente alla divulgazione di questo genere di informazioni
. gli studi non avrebbero fornito informazioni relative alle emissioni nell’ambiente, ai sensi della Convenzione di Aarhus
. l’accesso a tali studi non sarebbe servito per una valutazione scientifica dei rischi relativi al glifosate.
I ricorrenti si sono dunque rivolti al Tribunale dell’Unione europea per chiedere l’annullamento del rigetto. E il Tribunale ha dato torto all’Efsa, annullando la sua decisione di negare l’accesso agli studi effettuati.
Ha dunque stabilito che l’Efsa debba rendere pubblici tali studi in quanto “l’interesse del pubblico ad accedere alle informazioni sulle emissioni nell’ambiente è non solo quello di sapere che cosa è, o prevedibilmente sarà, rilasciato nell’ambiente, ma anche di comprendere il modo in cui l’ambiente rischia di essere danneggiato dalle emissioni in questione”. Per i giudici europei, infatti, il pubblico è tenuto ad essere informato sui rischi ambientali legati alla diffusione del glifosate.
Gli studi di cui è stato chiesto l’accesso, per il Tribunale UE conterrebbero a tutti gli effetti informazioni “[riguardanti] emissioni nell’ambiente” ai sensi della Convenzione di Aarhus e l’Efsa non avrebbe quindi dovuto negarne la divulgazione.
Per il Tribunale l’interesse pubblico è dunque superiore a quello delle aziende (e meno male...), trattandosi di una sostanza che, nel suo utilizzo normale, è destinata ad essere rilasciata nell’ambiente, i suoi impatti prevedibili non sono solamente teorici, visto che i residui sono presenti nel cibo, nelle piante e nelle acque, ma reali; il pubblico deve accedere non solo alle informazioni sulle dispersioni ma anche a quelle sulle conseguenze a medio e lungo termine sull’ambiente, per esempio sugli organismi che non sono target primari della sostanza.