di
Alessandra Profilio
15-05-2013
Il presidente della Provincia di Taranto, Giovanni Florido, e altre tre persone sono state arrestate oggi nell'ambito dell'inchiesta “Ambiente svenduto”. Il reato contestato è quello di concussione e si riferisce alla discarica Mater Gratiae, situata all'interno dell'Ilva e destinata ai rifiuti speciali.
Si è aperto oggi un nuovo triste capitolo della storia infinita dell'Ilva di Taranto. È stato infatti arrestato questa mattina il presidente della Provincia di Taranto, Giovanni Florido, dai militari della Guardia di Finanza nell'ambito dell'inchiesta su presunti favori all'Ilva denominata “Ambiente svenduto”. Insieme a Florido sono stati eseguiti altri tre arresti.
In carcere è finito anche l'ex consulente dell'Ilva, Girolamo Archiná, e l'ex assessore provinciale all'Ambiente, Michele Conserva. Ai domiciliari, invece, il funzionario pubblico Specchia.
L'ex consulente dell'Ilva Girolamo Archinà, addetto ai rapporti istituzionali, era già detenuto dallo scorso 26 novembre insieme ad altri nell'ambito della seconda fase dell'inchiesta “Ambiente svenduto”, quella che ha portato anche al sequestro delle merci, liberate poi ieri con un provvedimento del gip Patrizia Todisco, lo stesso giudice che oggi ha firmato le ordinanze di custodia cautelare.
Il reato contestato dal gip Patrizia Todisco ai quattro arrestati è quello di concussione e si riferisce alla discarica Mater Gratiae che si trova in una cava all'interno del perimetro dello stabilimento e destinata ai rifiuti speciali. L'altro reato ipotizzato è quello di induzione indebita a dare o promettere utilità contestato ad Archinà, Florido e Conserva.
Secondo l'inchiesta della Procura, sarebbero state esercitate indebite pressioni su dirigenti della Provincia di Taranto affinché l'Ilva ottenesse l'autorizzazione a continuare ad utilizzare la discarica interna allo stabilimento, nella cava 'Mater Gratiae', sebbene quest'ultima non avesse i requisiti ambientali necessari.
Nella discarica in questione l'azienda stoccava anche sacche contenenti amianto accanto a scorie di lavorazione ancora fumanti, come riportato da ilfattoquotidiano.it.
L'azienda siderurgica, insomma, intendeva continuare a smaltire i rifiuti industriali pericolosi in un'area interna all'azienda invece di rivolgersi a discariche autorizzate e idonee all'esterno con conseguente aggravio dei costi.
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