di
Matteo Marini
29-10-2013
Una cinquantina di indagati tra i quali almeno tre società: si è chiusa ieri l'inchiesta per disastro ambientale a carico della dirigenza Ilva di Taranto e del Gruppo Riva. Intanto, con 15 anni di ritardo, solo adesso si inizia a pensare alla bonifica di quei suoli.
Torniamo a parlare di Ilva. Dopo la chiusura di ieri dell’inchiesta, sono 50 gli indagati (tra dirigenti, politici e funzionari) e almeno tre società. Ai loro avvocati difensori e ai rappresentanti legali la Procura della Repubblica di Taranto sta per far recapitare l’avviso di conclusione delle indagini preliminari. Il reato contestato è disastro ambientale. “I legali di Fabio Riva”, scrive l’Ansa, “ in libertà vigilata a Londra dallo scorso gennaio - hanno intanto chiesto copia delle perizie dell'incidente probatorio conclusosi il 30 marzo 2012”.
Oltre a questo, si aggiunge anche un’altra tegola. “È opportuno ricordare che l'esigenza di bonifica di quei suoli è stata espressa per legge già nel 1998 (Dpr 196/1998) e che, quindi, si inizia oggi a pensare di dare seguito a questa necessità con circa 15 anni di ritardo, ricominciando dalla verifica dell'ovvio”. Con queste parole Agostino Di Ciaula, presidente della sezione pugliese dell'Associazione Internazionale Medici per l'ambiente, spiega l’avvio delle procedure di caratterizzazione (verifica della presenza di un microrganismo in un campione di materiale) dei suoli di Statte, comune che come Taranto rientra nel Sin (Sito di interesse nazionale) e riceve finanziamenti per la bonifica dell'area esterna dell'Ilva.
L’accusa di Di Ciaula, è rivolta quindi ad un sistema che per troppo tempo è stato tenuto in piedi. Quei 15 anni di ritardo, continua il dottore: “hanno significato per quel territorio, in termini epidemiologici, centinaia di malati e decine di morti in più all'anno, per 15 anni (in realtà molti di più), a causa delle matrici (aria, acqua, terra) inquinate. Ma non si pensi affatto che sia finita qui”.
Il paradosso, evidenzia poi Di Ciaula, è che: “da un lato si stanziano 119 milioni (che non saranno sufficienti) per l'avvio della bonifica mentre dall'altro, contemporaneamente, si autorizzano con decreto legge due discariche (una per rifiuti pericolosi, l'altra per rifiuti speciali), che continueranno ad inquinare quelle stesse matrici ambientali che si vogliono bonificare e che faranno risparmiare a Ilva circa 300 milioni di euro, cioè oltre il doppio della cifra prevista per la bonifica”.
Non ci si salva neanche con l'autorizzazione per decreto legge perché, aggiunge il medico dell’Isde, “secondo una tecnica politica ormai consolidata, evita la procedura di autorizzazione integrata ambientale. La tecnica è quella del voler riempire d’acqua lo scolapasta e segue lo stesso filo logico dell'ultima Aia concessa ad Ilva, quella che da un lato pretende di tutelare l'ambiente, dall'altro vuole farlo senza interrompere la produzione e, dunque, l'emissione di inquinanti”.
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