di
Paolo Ermani
02-08-2012
Da quando la Procura di Taranto ha disposto il sequestro dell'Ilva, gli operai dell'acciaieria più grande d'Europa protestano per difendere il loro diritto al lavoro, sebbene quest'ultimo metta in pericolo la loro stessa vita. "Ci si chiede mai, però, quante persone sono senza posto di lavoro proprio a causa dell'Ilva?"
In merito alla questione dell’ILVA di Taranto, Rossana Rossanda dalle colonne del Manifesto ce lo dice senza dubbi ed esitazione: il diritto al salario è sacrosanto, se i "padroni" inquinano devono essere perseguiti loro, gli operai non c’entrano nulla. Gli operai sono le vittime inconsapevoli di tutto e la colpa è solo dei padroni, punto e basta.
Non mi stupisco che l’ideologia comunista sia in crisi se annovera tali menti elastiche e obiettive.
Mi ricordo che quando dovetti scegliere tra fare il militare e l’obiettore di coscienza, decisi per l’obiezione di coscienza. All’epoca erano previsti venti mesi piuttosto che dodici, non sapevi dove ti mandavano, eri discriminato, additato come nemico della patria, avrei sicuramente perso il lavoro che facevo etc., eppure l’ho fatto e con me molte altre persone. Ma quello che ho fatto io era ben poco rispetto a chi invece in maniera estremamente coerente ha optato per l’obiezione totale al servizio militare e si è fatto dodici mesi di carcere. E chi ha optato per queste soluzioni non era di certo figlio di nobili.
Dietro ad ogni generale c’è un esercito e se qualcuno nell’esercito israeliano diserta, sono sicuro che anche la signora Rossanda ne è felice.
Ebbene c’è molta differenza fra chi manda al macello la gente e chi obbedisce ed esegue questo macello? In maniera del tutto consapevole i "padroni" inquinano, devastano, ingannano, ma hanno bisogno di un esercito per farlo e questo esercito sono le persone che consapevolmente lavorano per questi padroni.
È risaputo da sempre e da tutti, compresi coloro che ci lavorano, che l’Ilva di Taranto uccide. Uccide sia chi ci lavora, sia i propri familiari e l’ambiente, ma dopo anni e anni l’unica presa di posizione efficace è quella della magistratura che non può fare altro che tentare di fermare il massacro.
I "padroni" hanno il miglior alleato in chi dice “meglio morire di cancro che di fame” perché grazie a ciò non solo i padroni ricattano tutti ma si arricchiscono sulla pelle di chi poi muore davvero di cancro.
Ma proviamo a ragionare in maniera diversa da quello che normalmente si fa quando si dice che se chiudesse l’Ilva ci sarebbero migliaia di persone senza lavoro. Ci si chiede mai infatti quante migliaia di persone sono senza lavoro per colpa dell’Ilva?
In una terra meravigliosa, quanto turismo di qualità si sarebbe potuto fare senza la sua pestifera presenza? Quanta agricoltura di qualità e quanta tecnologia rinnovabile e bioedile si sarebbe potuta sviluppare in una terra dove il sole e il vento di certo non mancano? E invece di dirottare le risorse che avrebbero creato e creerebbero molti più posti di lavoro in questi settori, sono state dirottate nelle fauci di un mostro che divora vita, ambiente e soldi.
E quanto costa alla collettività e quindi ai lavoratori stessi, la perdita di tutta questa ricchezza e opportunità? Quanto costa in termini sanitari il danno continuo alle persone? Quanto costa e costerà per i prossimi decenni il risanamento ambientale complessivo?
Non mi aspetto nulla dai padroni, non mi aspetto nulla dal governo, la vera soluzione saranno i nuovi 'obiettori del lavoro' che diranno no alla loro morte, a quella dei loro cari e dell’ambiente dove vivono. Persone che si metteranno assieme e saranno sicuramente capaci di trovare soluzioni migliori che non continuare a regalare vite e soldi al mostro.
Agendo in questo modo bisognerebbe rimboccarsi le maniche certo, ci sarebbero difficoltà, bisognerebbe lottare contro scetticismi, paure e inerzie ma sarebbe senz’altro meglio che continuare comunque a faticare con la sola prospettiva di vedere se stessi e la propria città morire e poi magari fra qualche anno subire pure la beffa di vedere il proprio caro posto di lavoro delocalizzato in qualche paese più disperato del nostro, così come è già accaduto innumerevoli volte.
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