Le manifestazioni erano state annunciate e si sono tenute, per quanto riguarda il Veneto, in zone ad alta densità di coltivazioni vitivinicole, dove sono ormai più che evidenti gli effetti deleteri di un uso intensivo della chimica tossica. Erano 176 le associazioni e i movimenti che hanno aderito alla Marcia Stop Pesticidi, chiedendo lo stop ai prodotti che creano danni alla salute e all'ecosistema.
Nel Trevigiano la gente ha protestato anche contro il progetto di far riconoscere dall’Unesco le colline del Prosecco come patrimonio dell’umanità: «Ormai sono troppo inquinate», non si può "barare" così.
Gli appuntamenti per cortei e manifestazioni sono stati a Follina in provincia di Treviso, Verona, Trento, Lago di Caldaro a Bolzano, Codroipo in provincia di Udine e Bologna. “Occorre realizzare quanto già dovrebbe essere previsto dal Piano d’azione nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari e accompagnare l’agricoltura verso una transizione agroecologica”, ha spiegato Daniela Sciarra di Legambiente.
I dati del dossier Stop Pesticidi 2019 hanno confermato come «Boscalid, Chlorpyrifos, Fludioxonil, Metalaxil, Imidacloprid, Captan, Cyprodinil siano alcuni dei residui di pesticidi più diffusi negli alimenti – ha detto ancora Legambiente – Si tratta di fungicidi e insetticidi utilizzati in campo e di cui ancora troppo spesso si ritrovano residui negli alimenti e nell’ambiente, in primis nelle acque superficiali e profonde come testimonia l’ultimo rapporto Ispra».
Dal rapporto emerge che solo il 61% dei campioni di alimenti (verdura, frutta e prodotti trasformati), analizzati dai laboratori pubblici italiani, risultano regolari e privi di residui di pesticidi. I residui tossici si trovano soprattutto su pere, uva da tavola, pesche e fragole.
Le associazioni e movimenti di Veneto e Friuli hanno anche attaccato l’Unesco, criticando la proposta di riconoscere le colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene come patrimonio dell’umanità. La richiesta è sponsorizzata dalla Regione Veneto e dal governatore Luca Zaia. Un dossier è partito dallo studio dell’avvocato Alessandra Cadalt di Vittorio Veneto alla volta di Mechtild Rossler, direttore Unesco, e di Icomos, il Consiglio internazionale dei monumenti e dei siti che si sta occupando di istruire la pratica.
«Le colline dove sorgono ora i vitigni per la produzione industriale del prosecco (intendendo per tale la produzione in cui preponderante è l’utilizzo di macchinari in luogo dell’opera dell’uomo e l’utilizzo massivo di pesticidi di sintesi) sono state completamente stravolte a causa degli sbancamenti, eradicazioni di alberi, anche secolari o storici, eliminazione di siepi, per far posto alla monocultura del prosecco» dicono le associazioni.
Secondo la Lipu, nella Pedemontana trevigiana, anche a causa dei pesticidi e dell’eliminazione dei prati, è scomparso il 52% delle specie di uccelli, tra cui cardellino, allodola, quaglia, passera mattugia, rondini. Inoltre, “nella stragrande maggioranza delle aree coltivate a prosecco tra aprile e agosto/settembre di ogni anno la popolazione è limitata nel proprio diritto alla salute e nel proprio diritto di proprietà” a causa delle irrorazioni dei vigneti. In molti casi, dopo i trattamenti, le persone confinanti con il campo di vite, “accusano difficoltà respiratorie, bruciore di gola, eruzioni cutanee, e anche capogiri”. Per non parlare della scomparsa di lucciole, bombi e cavallette, oltre alla diminuzione delle api, come confermato da un’inchiesta aperta dalla Procura di Udine.
La strada non può che essere quella del biologico e della preservazione della biodiversità.