A 36 anni dal disastro ecologico che nel 1976 investì la bassa Brianza, entra in vigore l'aggiornamento della normativa comunitaria sulla prevenzione dei rischi industriali, che da quel tragico incidente prende il nome, la direttiva Seveso. Negli stessi giorni in cui in Venezuela esplode la più grande raffineria del Paese.
Il 10 luglio del 1976 un incidente nello stabilimento chimico Icmesa di Meda, in Brianza, durante una reazione industriale per la produzione di triclorofenolo, portò al rilascio di una nube tossica contenente tra due e tre kg di diossina. La nube andò a contaminare il territorio di undici comuni - tra cui, i più colpiti, Seveso, Meda, Desio e Cesano Maderno - e ad intossicare la popolazione e almeno 3mila animali non umani. Dopo oltre trent'anni, l'incidenza di forme tumorali e di disturbi alla tiroide nell'area si attesta ancora su livelli preoccupanti.
Incidenti di questo tipo non erano nuovi in Europa. Tredici anni prima, nel 1963, l'esplosione di uno stabilimento della Philips-Duphar, oggi Solvay, vicino ad Amsterdam, provocò l'avvelenamento di cinquanta persone, di cui dieci riportarono disturbi permanenti. Nel 1968, a Bolsever, in Inghilterra, un'altra esplosione durante la produzione di triclorofenolo. Ma in quei casi, a differenza di quanto accaduto a Meda, poiché le valvole di sicurezza erano situate all'interno della fabbrica, la contaminazione rimase confinata tra le sue mura. In Italia, invece, le valvole erano esterne e la nube invase la campagna e l'abitato.
Per quanto in tanti allora cercassero di minimizzarlo, l'impatto dell'incidente sulla salute e sull'ambiente non poteva essere negato. La risposta europea arrivò nel 1982 e fu chiamata appunto direttiva Seveso. Per la prima volta, l'Europa si dotava di uno strumento di gestione dei rischi industriali, che si proponeva anche di garantire un'informazione trasparente ai cittadini sui potenziali problemi connessi alla vicinanza di uno stabilimento industriale, sui possibili incidenti e sulle relative misure di sicurezza. L'Italia la recepì solo nel 1988, due anni dopo il disastro di Černobyl'.
Oggi la Commissione europea rivede quella normativa, già aggiornata nel 1996, per adeguarla al nuovo regolamento sulla classificazione delle sostanze chimiche, che entrerà in vigore entro il 2015.
Seveso III - ha spiegato il commissario per l'Ambiente Janez Potočnik - obbliga gli Stati membri a preparare piani di emergenza per le aree vicine a impianti industriali che contengono ingenti quantitativi di sostanze pericolose e “comporterà anche una migliore informazione dei cittadini che saranno maggiormente coinvolti nelle decisioni riguardanti la pianificazione del territorio”.
La nuova versione della direttiva rende infatti più rigorose le norme per l'ispezione degli stabilimenti e introduce una distanza 'di sicurezza' dall'abitato per i nuovi impianti. In base al testo, inoltre, l'accesso ai dati sui rischi dovrebbe essere garantito anche per via informatica e i cittadini dovrebbero poter partecipare ai progetti di pianificazione del territorio e avviare azioni legali nel caso in cui questi principi venissero violati.
Ma il condizionale è d'obbligo. Le nuove norme saranno operative a partire dal 1° giugno 2015. Quanto questa data segnerà un effettivo miglioramento del grado di sicurezza di chi vive nei pressi di stabilimenti industriali dipenderà da una serie di fattori che vanno oltre l'impianto legislativo. Dal rigore con cui queste regole saranno applicate e i controlli effettuati alla serietà di chi dovrà assumersi le proprie responsabilità, anziché cercare il cavillo giuridico dietro cui ripararsi. Dipenderà anche dall'onestà – dei tecnici e delle autorità pubbliche, della proprietà e dei sindacati - di riconoscere eventuali problemi, anche quando a sollevarli sarà la popolazione, anziché squalificare ogni protesta con l'ormai trita accusa di sindrome Nimby. Allora sì, qualcosa cambierebbe.
In fondo, prima di quel tragico 10 luglio, l'Icmesa si era distinta per anni di 'ordinaria contaminazione' del territorio. La popolazione e l'amministrazione di Meda protestavano contro i gas immessi in atmosfera, gli scarichi tossici nelle acque, i roghi degli scarti di lavorazione.
Ma per la proprietà le accuse erano 'assurde', le responsabilità altrove.