Bli al posto del Pil, secondo il nuovo indice Ocse in Italia si vive male

L'Ocse suggerisce un nuovo metodo per calcolare il benessere di un paese, il 'Better life index', alternativo al vecchio Pil che si è rivelato ormai del tutto inadeguato. Ne emerge che nel Bel Paese si vive in realtà piuttosto male, anche confrontando l'indice con quello di molti altri paesi europei.

Bli al posto del Pil, secondo il nuovo indice Ocse in Italia si vive male
In Italia, paese del sole, del mare, del lieto vivere, si vive in realtà piuttosto male. Almeno a tener fede al nuovo indicatore di benessere ideato dall'Ocse in alternativa al Pil. Si chiama Bli, acronimo di Better life index e si ripropone di tener conto di parametri diversi da consumi, investimenti ed esportazioni, che tradizionalmente sono indice della ricchezza di un paese. Funziona così. I trentaquattro paesi membri dell'Organizzazione per il Commercio e lo Sviluppo Economico sono stati classificati in base ad 11 criteri: abitazione, reddito, lavoro, partecipazione civile, istruzione, ambiente, amministrazione, salute, soddisfazione personale, sicurezza ed equilibrio tra lavoro e privato. Ogni paese ha un punteggio relativo a ciascuno di questi parametri. La novità è che non esiste una graduatoria fissa, ma ogni utente si può creare la propria in base all'importanza relativa che attribuisce ad ogni criterio. Quindi se non ci interessa particolarmente il reddito ma ricerchiamo una comunità e la soddisfazione personale potremmo trasferirci in Danimarca; se abbiamo a cuore l'ambiente la Svezia è il paese che fa per noi; e di buona salute si gode soprattutto in Australia e Canada. E l'Italia? A quanto abitare nel Bel Paese non rende più piacevole l'esistenza, visto che si colloca sotto la media Ocse rispetto a quasi tutti i parametri. Mediamente al ventiquattresimo posto su trentaquattro, appena sotto a Israele, Slovenia e Repubblica Ceca; appena sopra Corea, Polonia e Grecia. Dati che ribaltano le graduatorie dettate dal Pil. Ma il Better life index non è certo il primo indicatore che mette in discussione l'esattezza del Pil. Molte sono le alternative che gli sono state proposte nel tempo. Dall'indicatore del progresso reale, alla felicità nazionale lorda, all'indice di sviluppo umano. Il punto probabilmente è proprio questo. Il Pil ha ormai da tempo dimostrato la sua inadeguatezza a rappresentare l'effettivo benessere di una nazione. Come disse per primo primo Bob Kennedy nel celebre discorso alla Kansas Univesity del 1968, esso "misura tutto, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta". Le radici di questo scollamento fra l'indicatore ed il benessere effettivo sono da ricercarsi probabilmente nelle sue origini. Il Pil fu creato a cavallo fra la grande depressione degli anni Trenta ed il secondo dopoguerra. Sebbene fin d'allora il suo ideatore, tale Simon Kuznets alla guida di un team di ricercatori del Ministero del Commercio degli Usa, nutrisse delle perplessità sull'utilizzo dell'indice – tant'è che decise di dimettersi – è accettabile che in un periodo di ristrettezze e povertà, ad un aumento della produzione e dei consumi corrispondesse un aumento del benessere delle famiglie. Allora aumentare i propri consumi significava avere accesso a beni di prim'ordine, che garantivano un reale miglioramento del tenore di vita, delle condizioni igieniche etc. Certo questo non avviene oggi. Nel bel mezzo di una crisi economica mondiale pretendere che le famiglie aumentino i loro consumi – perlopiù ridotti a vezzi inutili – significa costringerle a rinunciare ad investire le proprie risorse ed il proprio tempo in attività che comporterebbero un reale miglioramento della qualità della vita – magari anche della qualità della società in cui vivono.

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