Il 18 gennaio un’ondata di piena dovuta alla straripamento del fiume Crati, ha ricoperto l’area archeologica di Sibari, vicino Cosenza. Un immenso patrimonio storico giace sotto strati di fango e i danni, se non si interviene subito, potrebbero essere inestimabili.
Migliaia di anni di storia ricoperti da una spessa coltre di fango. È quanto accaduto all’area archeologica di Sibari (Cosenza), perla della Calabria ionica e antichissimo crocevia di popoli e culture. Dopo lo straripamento del fiume Crati, duecentomila metri cubi di acqua e fango hanno inghiottito tutto, dal Parco del Cavallo alle fontane monumentali, fino ad un impianto termale del I secolo. Sul caso è stata aperta un’indagine per accertare eventuali responsabilità e parte dell’area è stata messa sotto sequestro.
L’allarme era stato già lanciato nel 2010 dalla sovrintendenza regionale che a gran voce aveva richiesto la manutenzione dei canali di bonifica a causa dell’elevato rischio di inondazione. L’appello è rimasto inascoltato e l’ondata di piena è arrivata puntuale il 18 gennaio a ricoprire pezzi di storia di inestimabile valore. L’ennesimo disastro annunciato, spettacolo tristemente noto, frutto di mala gestione e noncuranza a cui, dopo Pompei, è difficile abituarsi.
Un gruppo di intellettuali, su proposta del Quotidiano di Calabria, ha deciso di rivolgersi direttamente al Presidente della Repubblica, al nuovo governo e agli enti competenti per salvare uno dei patrimoni culturali più importanti d’Italia. Chiedono che vengano destinati fondi e mezzi straordinari per la ripulitura, la messa in sicurezza ed il ripristino dello scavo archeologico, perché, come si legge nell’appello, una volta pompata via l’acqua: “il problema più grave sarà l’enorme quantità di fango che rimarrà sulle strutture e sugli strati antichi e che dovrà essere rimossa immediatamente, prima che abbia il tempo di solidificarsi e rendere tutte le operazioni di verifica dei danni, scavo, pulizia e restauro molto difficili o, addirittura, impossibili”.
Il 23 e il 24 marzo, il Fai ha aperto il Parco al pubblico in occasione della ventunesima Giornata di Primavera, “affinché tutti, calabresi e italiani, possano vedere i danni della stupidità e della disonestà umana”, come dichiarato dal vicepresidente del FAI, Marco Magnifico. Sul sito web del FAI è inoltre in corso una raccolta firme “Anch’io per Sibari”. Lo scopo è quello di non far spegnere i riflettori sulla vicenda.
Secondo il FAI infatti, le aree golenali, ossia le aree di sfogo di un'eventuale piena non sono 'libere' ma bensì occupate da piantagioni di aranceti e, per questo motivo, non possono svolgere il loro compito di contenimento delle acque esondate. Sottoscrivendo l’appello, si chiede il ritorno della legalità nelle aree golenali e demaniali dell'area archeologica di Sibari. Una battaglia che mira, dunque, a diventare da stimolo per costruire basi solide perché una simile tragedia non si ripeta.