Abbiamo incontrato Gideon Kossoff, ecologista e teorico sociale di fama internazionale, che ha dedicato diversi anni allo studio dei rapporti esistenti fra gli esseri umani e l’ambiente. Kossof ritiene indispensabile riorganizzare la nostra vita quotidiana secondo principi ecologici e olistici, se vogliamo affrontare veramente una delle sfide più importanti della contemporaneità: la transizione a una società sostenibile.
Gideon Kossoff, può spiegarci innanzitutto che cosa è l’olismo?
È a tutti noi familiare l’espressione “il tutto è più della somma delle sue parti”. Per esempio, si può capire molto poco di un albero guardando solo le sue foglie, radici, tronco, frutti e semi. Ciò che conta veramente è come tutte queste parti siano in relazione le une con le altre, e come le parti ed il tutto si influenzino a vicenda.
L’olismo riguarda lo sviluppo: l’interezza dell’albero è qualcosa che cresce e che si scopre col passare del tempo. L’olismo è partecipativo (si potrebbe dire parte-cipativo): le parti dell’albero formano la sua interezza, quindi non ha senso parlare di tutto l’albero senza badare a ciò che le sue singole parti fanno.
L’olismo riguarda anche la diversità, nel senso che tutto l’albero dipende dalle molte sue parti per migliorare, e se una qualunque di queste sue parti è compromessa, allora il miglioramento del tutto diminuisce. E poiché le parti dell’albero concorrono ad esprimere i differenti aspetti del tutto, l’olismo riguarda la creatività.
In poche parole, l’olismo riguarda lo sviluppo, la partecipazione, la diversità e la creatività. È quindi possibile capire perché è una nozione così radicale, quando applicato alle relazioni umane.
È stato per Lei stimolante sviluppare la ricca biblioteca dello Schumacher College?
La biblioteca del College ha oltre 6000 libri che trattano ogni aspetto di quella che potrebbe essere chiamata la 'visione ecologica mondiale' che sta attualmente emergendo. Questo include (in ordine sparso) libri su ecofilosofia, ecopolitica, ecopsicologia, teoria di gaia, globalizzazione, ecodesign, teorie del caos e della complessità, scienza goethiana, culture indigene, psicologia archetipica, sciamanismo, astrologia, alchimia, misticismo e buddismo.
Dato che tutto questo materiale è tenuto in uno spazio relativamente piccolo, è una collezione unica ed altamente 'concentrata'. Una manifestazione esterna di ciò che succede nella mia mente! Raccogliere questi libri è stata una forma di auto-espressione. Nel College puntano ad un mondo molto più interessante di quello in cui ora viviamo…
Tempo fa ha affermato che sarebbe meglio dare più spazio alla comprensione che alla conoscenza. Pensa che ciò potrebbe aiutarci ad avere un approccio meno mentale, meno intellettuale con l’ecologia, e a comprendere ancora la natura, piuttosto che conoscerla o analizzarla?
Abbiamo bisogno di pensare in modo diverso, per sviluppare un nuovo tipo di intelletto che sia inclusivo e partecipativo, invece che esclusivo ed astratto. Una forma di intelletto che contestualizzi invece che decontestualizzare, un intelletto non strumentale che cerchi di capire invece che controllare. L’intelletto astratto e strumentale che domina la mentalità occidentale non solo media la nostra relazione con la natura, ma anche le relazioni che abbiamo gli uni con gli altri; e non è solo nelle nostre teste, è incarnato nella struttura di istituzioni, burocrazie, corporazioni, università ecc. Molti filosofi e critici culturali del ventesimo secolo hanno scritto dei difetti e della distruttività di questo tipo di intelletto, e penso che ci siano molti segni nella società contemporanea che le persone si stiano ribellando a ciò. Forse, un giorno, un 'modo di conoscere' la natura e noi stessi più soddisfacente finalmente prevarrà.
È possibile creare una visione comune senza imporre leggi?
Ponendo questa domanda in modo diverso: una visione comune finisce inevitabilmente con l’essere autoritaria? Questa è un’area problematica. Una visione comune corre il pericolo di negare la diversità, o le 'differenze' come direbbero i post-modernisti, per cui non potremmo che sperare in interventi isolati e localizzati. Dall’altro lato, senza una visione comune, senza un’alternativa possibile, non c’è modo di sfidare collettivamente il sistema dominante. Cosa che abbiamo urgentemente bisogno di fare.
Ci serve quindi una visione comune che delinei i contorni di un tipo diverso di società, ma che permetta un’interpretazione locale, in altre parole, la diversità. In questo modo potremmo avere qualcosa di non autoritario, o non imposto.
Come possiamo trovare il modo o lo spazio di avviare il cambiamento, nell’'abbondanza' (anche di informazioni contrastanti) in cui oggi viviamo?
Oltre che di una visione, penso che abbiamo bisogno di relazionare ciò che abbiamo attorno a noi, nelle società contemporanee, a questa visione. Dove possiamo vedere i semi che potrebbero, se coltivati, dare vita a questa visione? Siamo circondati da moltissimi 'semi', grazie ad attività creative sociali e culturali. È solo che abbiamo difficoltà a capire il significato di così tante attività, perché non abbiamo una visione alla quale relazionarle, e non siamo molto allenati a capire che cosa è creativo socialmente e culturalmente.
C’è decisamente bisogno di riscoprire cose che abbiamo poco saggiamente abbandonato negli ultimi decenni. È possibile riscoprire oggi caratteristiche dell’era pre-industriale, senza cadere in romanticismi inutili o folli nostalgie?
Sono d’accordo, è tragico che così tanta conoscenza, cultura, pratica sociale ecc. siano state 'abbandonate'. Anzi, penso che il termine 'abbandonate' sia troppo innocente, troppo passivo. Sarebbero più indicate parole come 'distrutte' o 'annichilite'. Ed ora la questione è come capire il 'segreto' delle società pre-industriali, e la natura di ciò che è stato perduto.
Che cosa ha permesso alle comunità tradizionali di prosperare attraverso le generazioni, spesso in circostanze estremamente difficili, con risorse minime e pochissima tecnologia? Come, nonostante il fatto che la vita fosse così difficile, le culture tradizionali sono spesso riuscite a condurre con grazia le proprie vite? Penso che la risposta a questo tipo di domande sia la chiave della nostra sopravvivenza.
Ha ragione, però, è un errore idealizzare queste culture. La vita era spesso difficile, ed aveva molti aspetti che oggi riterremmo inaccettabili. Ciononostante, abbiamo bisogno di guardare alle culture sostenibili del passato per capire come le culture sostenibili del futuro potrebbero sembrare.
Influenza suina e vaccini sprecati, vertice di Copenhagen e suo fallimento, perdita generale di fiducia nelle Istituzioni: ci sarà presto una rivoluzione? Se sì, sarà violenta o silenziosa?
Come ci insegna la teoria della complessità, e come possiamo vedere dagli eventi storici, le transizioni nei sistemi complessi (naturali e sociali) possono succedere molto velocemente e senza preavviso, quando raggiungono un tipping point. Ognuno però si fa sorprendere.
Personalmente, non penso che nessun tipo di rivoluzione sia imminente, ma mi piacerebbe essere smentito. Forse, quando fra qualche anno più alternative saranno sperimentate, quando la conoscenza di come fare le cose in modo differente sarà più diffusa, quando un’alternativa all’attuale sistema dominante sarà evidente a più persone, e quando l’inadeguatezza del sistema dominante diventerà indiscutibile anche tra i più stupidi e i più interessati, forse lì le cose cambieranno molto velocemente e, si spera, non violentemente.
Gideon Kossoff, ecologista e teorico sociale di fama internazionale, ha dedicato diversi anni allo studio dei rapporti esistenti fra gli esseri umani e l’ambiente come chiave per lo sviluppo di una società sostenibile. Studioso del pensiero utopico, di storia del pensiero anti-autoritario e di molte materie affini, dal 1998 al 2007 ha coordinato il Master in Scienze Olistiche presso il prestigioso Schumacher College, in Inghilterra, del quale ha sviluppato la biblioteca (6500 volumi). Lavora presso il Centre for the Study of Natural Design della Dundee University.