di
Dario Lo Scalzo
07-12-2011
"I cambiamenti possibili sono tantissimi e noi lavoriamo affinché la somma di tanti piccoli cambiamenti produca anche un’evoluzione a livello sistemico. Lavoriamo perché ci siano più risorse per la cooperazione internazionale". La seconda parte dell'intervista a Marco de Ponte, Segretario Generale di ActionAid Italia.
Prosegue l’intervista a Marco De Ponte che ci racconta di ActionAid, un’organizzazione che difendendo le persone dalla marginalità e dall’esclusione aspira a divenire il motore di un cambiamento sistemico nel tessuto sociale e nella società civile nazionale e mondiale.
Nel vostro decennio di vita, che risultati concreti avete contribuito ad ottenere? Che impatto hanno le azioni di ActionAid?
La domanda sull’impatto è molto pertinente. Si può utilizzare il denaro, si può spendere tanto o poco senza necessariamente ottenere un impatto. ActionAid ha messo in piedi un sistema di valutazione dal nome ALPS (Accountibility Learning and Planning System) che ci porta a valutare non tanto quello che si fa (output) ma quello che si è ottenuto, il risultato finale (outcome).
Ogni anno lavoriamo direttamente con una decina di milioni di persone in giro per il mondo e questo cambia le vite degli individui; centinaia di migliaia di persone che hanno accesso all’istruzione, soffrono meno la fame perché vengono aiutate direttamente da ActionAid, ma, al di là delle migliaia di singoli progetti, è anche importante che si ottengano dei cambiamenti del quadro sociale.
Così come è importante ad esempio che una donna all’interno della propria comunità di villaggio sappia reclamare i propri diritti di fronte al suo compagno (e questo fa parte di un percorso individuale), allo stesso modo a volte produce grandi effetti riuscire a cambiare una singola virgola, un comma di una legislazione, perché ciò magari permette di cambiare il contesto.
I cambiamenti possibili sono tantissimi e noi lavoriamo affinché la somma di tanti piccoli cambiamenti produca anche un’evoluzione a livello sistemico. Lavoriamo perché ci siano più risorse per la cooperazione internazionale, perché si cambino le politiche energetiche del paese che poi informano la vita di tutti; per fare un esempio ci siamo impegnati ad evidenziare il danno che producono gli incentivi agli agro-carburanti che per offrire una soluzione apparentemente più ecologica alla nostra fame di energia, producono i fenomeni come 'land-grabbing' in vari paesi del mondo.
In ActionAid cerchiamo di mettere le esperienze che maturiamo a livello locale a disposizione di un processo di riflessione più ampia che genera raccomandazioni alle istruzioni che formulano le 'policies'. A volte si ottengono dei risultati immediati altre volte di processo. Oggi, come già detto, è stato nominato un ministro per la cooperazione internazionale. ActionAid lo chiedeva da tanti anni e adesso finalmente si è arrivati a questo riconoscimento. Questo è un risultato di processo non è un risultato finale, speriamo che permetta di mettere al centro dell’agenda politica del nostro paese le questioni di cui ci occupiamo.
Ci vuole pazienza, non sono mai vittorie sotto i riflettori. Le vittorie o i piccoli risultati di sistema che influiscono sulle singole persone vanno soppesati gli uni con gli altri. Ma ancora, per fare esempi pratici, in un paese come l’India, grazie anche al lavoro di ActionAid, è stato costituzionalmente riconosciuto il 'diritto' all’informazione (e non la mera 'libertà' di informazione). Le ricadute di questo sforzo sono potenzialmente enormi e forse anche in Italia su questo versante si dovrebbero fare diversi passi.
Ovviamente oltre a questo livello di impatto rimangono tanti risultati di cose molto pratiche, esiste l’attività concreta dei vari progetti sul campo. Da quando sono arrivato in ActionAid Italia abbiamo mobilitato 400 milioni di euro e questo ha senz’altro avuto un impatto sociale; resta il fatto che questo sarebbe una goccia se non se ne facesse sistema.
Il 'motto' della vostra strategia pluriennale è “Italia, sveglia!”. Sono stato positivamente colpito da alcuni concetti che indubbiamente ci sono cari e che sono di attualità come la cittadinanza partecipata e responsabile ed anche il dare una scossa al paese e ai cittadini, possiamo addentrarci ulteriormente in questo vostro pensiero?
I cambiamenti profondi nella società si ottengono attraverso la partecipazione. Noi abbiamo deciso di utilizzare la lente dell’accountability per cercare di migliorare il buon governo della nostra società. L’accountability è fatta di varie componenti: sicuramente la trasparenza nell’allocazione delle risorse e dei processi decisionali, assolutamente la partecipazione cioè la formazione delle decisioni che ci riguardano e la voglia e la necessità di dare conto di quali risultati si siano ottenuti.
Non solo di dove si è investito e di cosa si è fatto ma l’outcome, l’impatto, che cosa è veramente cambiato nella società in cui si è intervenuti. “Italia, sveglia!” vuole dire anche cercare di trasformare il contesto nel quale operiamo. Nel nostro paese c’è bisogno di riguadagnare il senso della responsabilità, quella collettiva, quella delle istituzioni e quella degli individui. Siamo un paese che per anni ha vissuto di annunci da parte delle istituzioni spesso non seguiti dai fatti; e siamo un paese in cui a volte i cittadini stessi pensano di potere dichiarare A e fare B.
Sogniamo un paese nel quale si chieda una ricevuta o uno scontrino fiscale senza nemmeno mettere in dubbio che sia quella la strada da percorrere ed in cui la responsabilità dei cittadini di fare la propria parte sia condivisa come dagli individui, nelle associazioni professionali, nelle associazioni no-profit, partecipando alla vita del paese affinché, proprio in virtù di questo, sia poi possibile chiedere conto allo Stato e alle istituzioni di restituire ciò che si mette in comune. ActionAid, con la sua strategia ha composto un prospetto di Principi per un’Italia Responsabile che è stato sottoposto anche a chi ha ed avrà delle responsabilità decisionali. È il nostro marchio di fabbrica per il lavoro dei prossimi anni.
È molto interessante la vostra idea di chiedere accountability al mondo politico e alle istituzioni. A beneficio dei nostri lettori, potresti chiarire questi concetti?
Vuol dire in primis partecipare alla formazione delle decisioni, rendere conto ex-post dei risultati e soprattutto dell’impatto che si è avuto, avere trasparenza nella gestione delle risorse e sicuramente responsabilizzazione nel volere concorrere a produrre soluzioni alternative. Di questi quattro elementi si nutre l’atteggiamento 'culturale' che ActionAid vuole promuovere in Italia e speriamo che con questa 'lente' si riesca ad informare le istituzioni e le parti sociali; questo ci darà credibilità ed affidabilità nei confronti dei cittadini e dei partner internazionali.
Che legame esiste oggi tra la vostra organizzazione, il mondo politico e la classe politica ai quali richiedete trasparenza?
ActionAid è un’organizzazione politica se politico è ciò che interessa la polis, il cittadino; chiunque faccia un lavoro approfondito contro gli squilibri di potere per recuperare capacità di scelta alle persone, alle istituzioni, agli stati più deboli, fa un lavoro profondamente politico. Ciò non vuol dire che l’organizzazione faccia un lavoro partitico, naturalmente. Il nostro atteggiamento verso la politica è laico, cerchiamo sempre di giudicare i fatti, i risultati e se dobbiamo metterci dalla parte di qualcuno diciamo sempre che siamo dalla parte dei poveri e degli esclusi. Ovviamente le nostre ricette possono di volta in volta piacere di più ad una parte politica rispetto ad un’altra ma sono sempre fondate sulla voglia di mettere i poveri e gli esclusi al centro.
ActionAid ambisce a 'posizionarsi', direi, in maniera trasversale in seno al tessuto sociale italiano, quali sono gli elementi di discontinuità da dovere innescare per potere giocare tale ruolo e poter portare avanti i vostri obiettivi di cambiamento, di trasformazione sociale e di cambio di velocità?
In Italia il gioco della politica o degli scambi sociali sembra un gioco a somma zero. Nessuno tende a cambiare o ha una proposta chiara per cambiare il paradigma entro il quale ci muoviamo o per mutare profondamente gli squilibri di potere esistenti. Tutti cercano di ottenere un piccolo vantaggio tattico a danno di qualcun altro; tra le parti sociali, nella tensione tra lavoratori e organizzazioni datoriali, persino tra le generazioni quando si discute di pensioni.
Ecco noi pensiamo che si debba cercare un elemento di discontinuità e che questo possa avvenire solamente nel momento in cui si fa un salto paradigmatico e cioè se si pensa al bene di tutti ampliando il terreno di gioco. Solo se le relazioni sociali verranno trainate dalla voglia del bene comune ed il gioco del dare ed avere va oltre lo scambio, il mio a scapito del tuo, solamente in questo modo, con proposte alternative di questo genere, si può fare un salto in avanti vero.
Ritenere per esempio che risorse per la cooperazione internazionale siano una spesa poco utile perché non si trasforma immediatamente in servizi per i cittadini italiani è una visione miope, perché anche la nostra credibilità internazionale beneficia del lavoro di cooperazione. È la stessa cosa per gli “investimenti sociali”, ad esempio il 5x1000 sappiamo che produce risorse per lo sviluppo del paese, mobilita le coscienze creando uno spirito di solidarietà ed un valore sociale fenomenale.
Quando si fanno scelte nell’interesse comune si cambia terreno di gioco. Si crea quel modo di lavorare che adesso sembra assente, si crea capitale sociale che poi è spendibile in altre sedi nell’interesse di tutti. Basta guardare il mondo, se non ci fossero miliardi di persone povere, queste persone potrebbero partecipare alla vita sociale con le loro intelligenze e con la loro capacità produttiva. Meno egoismi produrrebbero un mondo più vicino alla 'felicità', se vogliano utilizzare parole grosse.
In tal senso non si corre il rischio di trasformare ActionAid in un riferimento per la società civile che poi ne potrebbe richiedere un impegno a livello politico o comunque in ambiti che fuoriescono dalla missione dell’organizzazione?
Certamente uscire dal confine dell’esecuzione di progetti in altri paesi espone un’organizzazione come ActionAid al confronto con quella che è già la sua vera natura e cioè di organizzazione che si occupa di questioni di cittadinanza e quindi, se vogliamo utilizzare le parole per quello che sono, anche di organizzazione pienamente politica. Del resto la lotta alla povertà è un fatto politico. Chi è povero reclama diritti e qualcuno deve aiutarlo a raggiungerli. Non abbiamo paura di definirci per quello che siamo, cerchiamo di cambiare le condizioni politiche nelle quali le società si trovano.
La sfida maggiore è quella di potere rispondere alle domande che si vanno creando e non sempre è facile. A livello locale ciò significa sapersi confrontare con le esigenze che emergono dal territorio e dare delle soluzioni, ma un’organizzazione ha sempre dei limiti, ed è così anche per ActionAid; limiti di capacità di raggiungere luoghi e problemi in maniera efficace. L’errore non è comunque mai da legare al timore di affrontare questioni profondamente politiche, come l’accesso al cibo o l’accesso all’istruzione; semmai può essere un errore pensare di esprimersi con competenza su tutto.
In tal caso si corre il rischio di perdere la credibilità anche su ciò che invece si conosce bene. Bisogna non avere l’ambizione di avere una risposta su tutto, per questo non siamo una proposta per la società a tutto campo come magari potrebbe essere un partito politico. Però sappiamo che non ci sono confini ben delimitati ex ante tra le cose di cui occuparsi. Per esempio, oggi, per parlare di accesso alla terra si deve tenere in conto questioni più propriamente ambientali, energetiche, di conflitti. Bisogna anche parlare delle questioni e dei problemi sapendo che essi si inseriscono in un contesto che occorre conoscere e nel quale occorre sapersi muovere con una certa disinvoltura. Tutte queste sono cose politiche, certamente; ma tenersi lontani dalla politica significa solo rimanere marginali ed inefficaci.
Che messaggio ti piacerebbe trasmettere ai lettori de Il Cambiamento?
Ai lettori de Il Cambiamento e non solo, il messaggio che il cambiamento è possibile mettendosi assieme nell’intera sfera della politica, dei problemi nazionali ed internazionali.
Questa è la prima generazione che ha le conoscenze, le competenze scientifiche e sociali, e le risorse per risolvere il problema della fame. Secondo la FAO sconfiggere la fame in tutto il mondo costa poco più di 40 miliardi di dollari. Pensiamo alle manovre finanziarie che abbiamo fatto in Italia, alle risorse investite per tenere in piedi il sistema creditizio, pensiamo come parte di queste risorse potrebbero essere utilizzate per vincere la fame.
Il secondo messaggio è rivolto a ciascuno di noi se vogliamo raggiungere dei cambiamenti sistemici. Chi ci legge deve essere convinto di essere il prossimo leader di se stesso; deve assumersi le proprie responsabilità e non solo limitarsi a richiedere la responsabilizzazione ad altri. Prendere delle responsabilità nella vita sociale a partire dalla propria famiglia, dal proprio lavoro, dal proprio contributo nel pagare le tasse, da quello di partecipare ad un consiglio di classe o di condominio, di fare parte di un organo decisionale nelle amministrazioni locali o qualunque altra responsabilità. Insomma il cambiamento non viene mai da fuori ma dipende sempre da noi.
Conoscere non è abbastanza; bisogna mettere in pratica ciò che sappiamo. Nemmeno volere è abbastanza; bisogna fare
Johan Wolfgang Goethe