Intervista a Padre Giuseppe Russo (seconda parte)

Di seguito la seconda parte dell’intervista al redentorista Padre Giuseppe Russo, prete di strada e militante nella Palermo anni '70, che ci racconta dei suoi lunghi anni trascorsi nel quartiere CEP di Palermo e ci fornisce la sua visione della società attuale.

Intervista a Padre Giuseppe Russo (seconda parte)
Nella scorsa puntata di questa intervista, il redentorista Padre Giuseppe Russo ci ha raccontato del suo arrivo a San Giovanni Apostolo, noto anche come CEP (Centro Edilizia Popolare), un quartiere di Palermo sorto intorno agli anni '70 e costituito prevalentemente da fabbricati di edilizia popolare, afflitto dalla mafia e dai problemi della gente. In questa seconda puntata Padre Russo continua il suo racconto di quegli anni e ci offre una visione della società odierna. Padre Russo, quando partì dal CEP ebbe modo di rincontrare il boss del quartiere? La persona che le disse che era "scemo"? E più in generale, quali furono le vostre interazioni durante i 12 anni trascorsi nel "suo" quartiere? Come fu vissuta da quel boss la partecipazione della gente al miglioramento delle condizioni di vita dopo il suo arrivo? Ebbe altri contatti con il boss? Quel tizio era un subalterno, tanto che presiedeva in una sola strada, via Giuseppe Cammarano. Non ebbe lunga vita, perché cadde ammalato e poi morì. Durante la sua degenza aiutai la sua famiglia economicamente. Il vero boss lo conobbi in seguito, ma era gente subalterna ad altri. Non fui più disturbato dopo che capirono che la mia funzione era quella di far crescere quella gente alla quale appartenevano. Secondo lei c'è stata in passato una volontà reale di superare lo stato di degrado di quel quartiere, così come di altri a Palermo? Di certo la realtà del CEP dei nostri giorni non è quella degli anni settanta; oggi è un quartiere integrato alla città. La parrocchia e la scuola lo hanno trasformato. Quindi la sua apertura verso la gente, la sua azione e la sua presenza sono state le armi vincenti per guadagnare la fiducia e la stima degli abitanti del quartiere… Alcuni episodi raccontati in precedenza fanno capire quanta riconoscenza quella gente aveva verso la mia persona, che si esprimeva in stima. Ancora oggi quando vado a Palermo e qualcuno del CEP mi incontra, mi fa festa e si sente onorato a salutarmi. Qualche mese fa un uomo di circa trent'anni stava in Viale Leonardo da Vinci a vendere sale, mi ferma e mi dice: "Vossia nun è patri Russu? Quannu vossia era o Michelangelo ero nicu". Sicuramente 'lottare' quotidianamente in quel contesto non è cosa facile. Come si riesce a convivere con la pressione e la pesantezza di essere parte di un sistema con una forte cultura mafiosa? E con il contatto con la mafia? Credo che un sacerdote o meglio un sacerdote appartenente ad una Congregazione, che ha lasciato tutto, non possiede nulla, cioè vive nella povertà, che non ha sogni di carriera, che è solo, ma ha per compagnia Gesù, trova la forza e la serenità di amare e di essere amato; anche con le proprie debolezze trova la costanza per andare avanti senza paura, perché la paura è una grande cattiva consigliera. Per lavorare in questi ambienti bisogna avere un fiato lungo. Per prima cosa bisogna ignorarli e mai rivolgersi a loro per un favore, anche se piccolissimo. Bisogna agire con grande dignità e trattare tutti allo stesso modo. Questa gente capisce se un sacerdote lavora per i bisognosi e dà voce a chi non ne ha. Non bisogna usare il loro metodo quello dell’aggressione, ma essere costanti nel perseguire il bene comune. Cosa ha lasciato al CEP, cosa ha dato concretamente a quel 'mondo a parte'? In poche parole, che eredità lascia al CEP? Che risultati concreti ha contribuito ad ottenere? Il mio impegno primario è stato di dare dignità a questa gente, convinto che non si può parlare di Gesù a chi non ha dignità o meglio non è uomo libero. Puntai sulla alfabetizzazione. Su questo problema mi vennero incontro i Gesuiti del Centro Studi Sociali, con loro abbiamo condotto due inchieste a tappeto. Il risultato fu sconcertante. Ne parlarono anche le grandi testate giornalistiche nazionali ed estere, definendo il CEP: "Terzo mondo di Palermo". Tanto scalpore facilitò il colloquio con gli amministratori, che subito trovarono il denaro per finanziare le scuole. Dopo la costruzione delle scuole mi buttai a capofitto per avere un complesso religioso più che dignitoso. Tutto ciò portò gli abitanti ad uscire dal loro ghetto ed oggi il CEP ha acquistato dignità. Ha dei rammarichi o dei rimorsi guardando a quel periodo di vita vissuta al CEP? Certamente no. La mia giovane vita, le mie energie, la mia fantasia li ho spesi totalmente per il bene di quella gente, perché li trattavo alla pari. II giorno della sua partenza ha sospirato pensando che ne era uscito vivo? Quali furono le sue sensazioni e le sue emozioni? Mi trasferii con grande rammarico. Io ero innamorato di quella gente e mi sentivo il loro fratello maggiore per la mia cultura, per la mia operosità, che essi riconoscevano. Quando si sparse la voce che dovevo lasciare, mi venivano a trovare e mi dicevano: "Parrì, nun si nnissi, ristassi cun natri. Comu sinu ad ura s’ha mangiato l’ossu, ora che s’avi a mangiari a carni si ni va, ristassi cun natri". Ci fu anche chi propose di isolare il quartiere per protesta, ma io per non creare disordine dissi: "Io me ne voglio andare". Lo strappo dal CEP per me fu molto doloroso tanto che nella pubblicazione 'Il Quartiere CEP di Palermo', misi come sottotitolo: amore spezzato. Se fosse stato un 'uomo comune' come tanti altri e non Padre Russo, si sarebbe lanciato comunque in un'avventura come quella del CEP? Non so, come volontario per un'associazione o in altre vesti? Certamente sono stato educato per la giustizia e per la condivisione, trasmesse con il DNA. Se non avessi intrapreso la vita religiosa in una Congregazione, non so in quale posto mi sarei collocato. Sai, spesso tante volte mi affiora una domanda: perché o si è dal lato dei poveri o si è da quello del capitale e degli affari disonesti? Padre Russo, ha mai avuto paura di lasciarci la pelle al CEP? Mai, perché sempre mi sono lasciato guidare dall’ubbidienza. Questa è stata la mia forza e la mia ricchezza. Poi ho trovato tanta solidarietà e tanto amore tra quella gente. Parlando più in generale, ha potuto mai constatare delle connessioni tra la criminalità mafiosa e le istituzioni, una sorta di quiete e pacifico vivere senza calpestarsi i piedi? In quei tempi con il Cardinal Pappalardo ci sentivamo quasi al sicuro. Poi lavorando al CEP non stavo in una sede di prestigio, anche se 'un giorno sì e un giorno no' venivano a trovarmi i giornalisti del Giornale di Sicilia e de L’Ora e quelli della RAI, il CEP era una terra di missione. Al CEP più che mafia vi era delinquenza agguerrita, che alcune volte dava fastidio anche alla stessa mafia. Vedi l’uccisione di giovani emergenti Capello, Ciresi così come la triste storia del giovane Gabriele di cui non ricordo il cognome, scomparso alla vigilia del matrimonio. Con che stato d'animo visse gli anni Novanta, per intenderci gli anni dei 'magistrati della speranza', Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e del 'giudice ragazzino' Rosario Livatino? Questi tristi avvenimenti mi convinsero a lasciare l’insegnamento nei licei per andare ad insegnare alla scuola media Giuseppe Cocchiara del CEP, per spingere i ragazzi ad allargare il loro orizzonte. Ci riuscii e dopo un anno di insegnamento fui eletto vicepreside e portai i ragazzi in giro per i musei, per la città, nelle zone archeologiche, proiettai film, li feci partecipare a concerti. Scoprirono un mondo nuovo e molti di questi ragazzi, dopo la licenza media, si iscrissero alle scuole superiori. Altri sacerdoti dopo di lei hanno seguito la strada del loro credo, delle loro idee, delle sue stesse convinzioni e della sua stessa forza nella fede e nella Provvidenza, un esempio noto a tutti è quello di Padre Puglisi. In alcuni casi ci hanno rimesso la vita. Lei si reputa solamente maggiormente fortunato nel poterci raccontare di esperienze e di un vissuto simili? Cosa spiega la crudeltà della mafia in alcuni casi? Credo di non avere avuto la stessa sorte di Padre Puglisi, che io ho conosciuto personalmente, perché non ho avuto fretta nel raggiungere determinate mete. Ai primi giornalisti che all’inizio vennero a intervistarmi e mi chiesero se stavo al CEP per indottrinare la gente, rispondevo costantemente: "Prima facciamo l’uomo libero e poi il cristiano". L’impegno sociale che ho profuso mi ha facilitato ad entrare nell’animo di molti di essi. La mafia è guadagno e al CEP, che non c’era niente da spartire, la mafia era povera, se si può dire così. Un grosso delitto mafioso al CEP l’abbiamo vissuto, ma i fatti non si sono svolti al CEP. Un certo Angileddu, venditore di contrabbando di sigarette era, per dire, il guardiano dei palazzi in costruzione di Inzerillo, imprenditore edile capo mafia di Uditore-Passo di Rigano. L’Inzerillo fu ucciso e Angileddu pretendeva di succedergli, ma la cupola già aveva eletto il successore. Allora Angileddu ricattò una decina di giovani e fece un atto di forza, ma la mafia gli creò il vuoto attorno, eliminando i suoi fiancheggiatori. Alla fine restarono Angileddu e Giuvannu u funcia, che furono invitati a discutere. Andarono, ma furono 'incaprettati'. I due cadaveri furono messi dentro una macchina e bruciati in una traversa del viale della Libertà. Secondo lei, c'è una frontiera tra paura e coraggio? C'è una correlazione tra l'individualismo e il dare deliberatamente agli altri? Non c’è né paura e né coraggio, c’è solo indifferenza e disinteresse. Manca cioè l’Amore. Padre Russo, dove vive oggi e di cosa si sta occupando? Vivo ad Agrigento da undici anni. Per ubbidienza mi sono trasferito in questa città col mandato di consolidare e restaurare il complesso liguorino con la chiesa dedicata a S. Alfonso. Agrigento la conoscevo come città splendida per la sua storia, i suoi monumenti, il suo bellissimo territorio. Ma dopo quindici giorni dal mio arrivo entrai in crisi. Non riuscivo a colloquiare, trovai una città sfatta, un centro storico abbandonato ai colombi e ai topi, quartieri satellitari, che la rendono più vasta di Palermo. Operazione di latrocinio con la vendita di terre, anche quelle freatiche, di nessun valore sia per l’edilizia pubblica che per l’edilizia privata. Osservando questo sfacelo incominciai a denunziarlo in diverse maniere e scrivendo centinaia di articoli, con le omelie in chiesa, con la pubblicazione su l’emigrazione siciliana, oltre che con un testo sulla morale vissuta dei primi cristiani con riferimento alla morale vissuta oggi, e con una storia molto dettagliata sulla presenza dei Redentoristi ad Agrigento dal 1761 ad oggi. Guardandosi indietro e analizzando i lunghi anni trascorsi come Padre, che riflessioni le vengono in mente? Cosa cambierebbe e cosa farebbe esattamente alla stessa maniera? Mi sono lasciato guidare dalla Provvidenza secondo il suo dettame. Non ho alcun rimorso, perché mi sono sforzato a dire la verità senza se e senza ma. Lottando molto spesso a denti stretti, ho cercato di portare avanti progetti per il bene degli altri, mai per il mio. Con questo modo di essere andrò avanti negli anni futuri, convinto che in questa vita non c’è nulla di ripetibile. Come ha visto cambiare il mondo ed in cosa? Sotto un certo aspetto il mondo è migliorato, si è conquistata più dignità e più benessere. Valori questi che oggi vanno regredendo. Ho vissuto la guerra e il dopo guerra. Ho lottato anch’io, anche se all’inizio non materialmente, ma impegnandomi a formarmi per seguire chi si adoperava per la ricostruzione morale e materiale dell’Italia. Questo mio impegno del passato e di oggi deriva da quella scuola di pensiero. Oggi l’Italia è nuda, è in mano al precariato, la famiglia è in sfacelo, la politica si fa solo per il tornaconto personale e non per il bene della polis. Che cosa troverà un domani chi nasce oggi? Parlava prima di anni futuri, quali sono i suoi futuri progetti? Sto nelle mani della Provvidenza. Anche se vado per i settantasei anni non intendo tirare i remi in barca. Se non avrò posti di responsabilità, sarebbe un mio bene, pur continuando ad annunziare la Parola di Dio, a collaborare alla storia della Congregazione, a portare a termine dei progetti iniziati. Sappiamo che lei è anche uno scrittore, di cosa scrive e quali sono le sue ultime opere realizzate? Le mie ricerche riguardano la storia e la storia della Congregazione del SS. Redentore, ho pubblicato due biografie, una storia del Quartiere di Uditore di Palermo, ma non escludo altri argomenti come l’ultima pubblicazione per il mio 50° anno di sacerdozio che è un commento alle Litanie Lauretane. È un libretto elegante che contiene bellissime incisioni della prima metà dell’Ottocento nelle pagine di numero pari ed il commento nelle pagine dispari. Padre Russo, prima di ringraziarla per averci permesso di ripercorrere alcuni anni della sua vita ed anche quelli del nostro paese, mi preme farle una domanda. In tutta onestà, cosa pensa oggi dell'operato della chiesa sul territorio in una terra come la Sicilia? Credo che la Chiesa oggi si sia adagiata nel dolce far niente. I sacerdoti hanno uno stipendio fisso per 8x1000. Non hanno mordente e vivono in una calma lugubre, che presuppone la morte. Non vi è annunzio della Parola e spesso si è solo cristiani di facciata. Le feste religiose sono state trasformate in feste ludiche, quando servivano per evangelizzare. Agrigento e provincia sono morti. I paesi dell’entroterra non hanno scuole, perché non nascono figli. Nessuno alza la voce, sia i vescovi, che i sacerdoti. Non esiste laicato cattolico. La politica del compromesso ha annullato la fantasia e appiattito qualunque pensiero. Dopo il ’68 vi fu anche in Sicilia un movimento di 'preti sociali' che poi fu bruciato. Oggi si vivacchia e se qualcuno timidamente fa delle osservazioni, si cerca di emarginarlo. Per concludere, che messaggio le piacerebbe trasmettere ai lettori de II Cambiamento? Rompiamo l’individualismo, che ci siamo creato. Ritorniamo allo spirito della polis per creare senso di comunione, che apporta pace e benessere. Le contrapposizioni ci portano all’isolamento per ritornare allo stato di povertà. Il segreto dell’essere è quello di essere per gli esseri affinché anch’essi possano essere: ecco il vero benessere - Dario Lo Scalzo

Commenti

grande padre Russo mi ha sposata nel 78 a soli 17 anni ed ha battezzato mia figlia sempre nel 78 un uomo di chiesa da rispettare x tutto il bene che ha fatto
carmela, 11-09-2011 05:11

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