di
Andrea Degl'Innocenti
13-06-2013
Le recenti elezioni islandesi hanno portato alla formazione di un governo di centrodestra che ricalca il modello pre-crisi. Possibile che gli islandesi abbiano già perdonato i propri politici? Più probabilmente hanno incanalato la propria rabbia nella direzione sbagliata, finendo per premiare coloro che con le proprie riforme ultraliberiste condussero il paese sull'orlo del collasso.
Alla fine è andata come quasi tutti immaginavano, molti temevano. Il Partito dell’indipendenza ed il Partito progressista hanno formato un governo di centrodestra, come negli anni d’oro del liberismo più sfrenato. “Penso che molte persone rimarranno sorprese da come verrà formato il governo. Non esistono solamente due torri", mi aveva detto speranzosa Birgitta Jonsdottir, leader del partito pirata islandese (lo stesso balzato recentemente agli onori della cronaca internazionale per aver offerto protezione a Edward Snowden, la “gola profonda” che ha rivelato alla stampa i segreti dei programmi di sorveglianza della National Security Agency americana).
Ma Birgitta si sbagliava. Il leader del Partito progressista (Pp) Sigmundur David Gunnlaugsson è il nuovo primo ministro dell'Islanda, con Bjarni Benediktsson, leader del Partito dell’indipendenza (Pi), nel ruolo di ministro delle Finanze.
Ancora torniamo a chiederci come è possibile? Per i lettori che non abbiano troppa confidenza con la recente storia islandese è d’obbligo fare un breve riassunto di cosa ha significato per il paese essere guidato per una quindicina d’anni da questi due partiti.
I quindici anni a cui si fa riferimento sono quelli che vanno dai primi anni Novanta al 2008. Sebbene il Pi ed il Pp siano stati da sempre i due partiti principali ed abbiano guidato il paese (uniti o separatamente) per buona parte della sua storia democratica, il periodo in questione è quello che più di qualsiasi altro ha stravolto la vita degli isolani. L’era Oddsson.
David Oddsson era salito alla guida del paese come leader del Pi nel 1991 e vi era restato ininterrottamente fino al 2004, per poi lasciare l’incarico all’amico e collega di partito Geir Haarde. In questi anni, assieme ai colleghi del Partito progressista con i quali spesso condivideva la formazione del governo, Oddsson avviò le grandi privatizzazioni e in particolar modo la privatizzazione del sistema finanziario, fino ad allora proprietà esclusiva dello stato.
Le banche vennero acquistate dagli esponenti di quella che stava diventando sempre più la nuova classe dirigente islandese: un gruppo di imprenditori/finanzieri senza scrupoli che amavano definirsi i “nuovi vichinghi”. In pochi anni l’Islanda si trasformò in uno dei paesi più ricchi e “felici” del mondo. Ecco un estratto da una rivista islandese che ricostruisce gli stravolgimenti culturali dell'epoca.
“Aeroplani pieni di islandesi di ritorno da Londra, il centro commerciale d'America, e New York con borse piene di oggetti tecnologici di alto livello o abbigliamento di design riempivano l'aeroporto a Keflavik. Consumismo appariscente è il nome dato al gioco. Restare al passo dell'ultima moda è d'obbligo per chiunque. Enormi suv riempiono le strade.” [1]
Oppure ecco cosa scriveva uno dei più noti scrittori islandesi contemporanei, Einar Mar Gudmundsson:
“Tutti salivano orgogliosi nelle loro macchine nuove, anche in macchine che non possedevano affatto, macchine piene di debiti, dalle ruote al tetto” [2].
Nel frattempo, sempre secondo Einar Mar, “I governanti del paese dormivano profondamente, alzavano le spalle e brindavano con i baroni della finanza, addirittura si offendevano se non venivano invitati alle loro feste che risplendevano delle luci, del glamour e dello scintillio di Hollywood”. [2]
Finché tutto finì di botto. La crisi innescata dai subprime americani travolse l’isola come uno tsunami, le banche fallirono, la nazione si trovò sull’orlo della bancarotta. Delle rivolte che seguirono ho già scritto varie volte, e rimando i lettori agli altri articoli che trovate linkati alla fine del testo, oppure se avete la pazienza di aspettare, al libro che ho terminato di scrivere e che uscirà a giorni.
Ciò che preme capire ora è perché i due partiti principali responsabili della crisi del 2008 hanno riottenuto la fiducia dei cittadini. Dicevamo già, in un precedente articolo che in realtà si può parlare di vittoria solo per il Partito progressista, mentre il Partito dell’indipendenza ha ottenuto un risultato decisamente modesto rispetto alle aspettative e ai suoi trascorsi.
Abbiamo anche accennato all’importanza che ha avuto la questione Europa/euro sul voto: il Pp è stato premiato anche – soprattutto – per le sue posizioni contrarie all’ingresso dell’Islanda nella zona euro, mentre il centro sinistra è stato punito per la ragione opposta. Abbiamo detto anche della enorme frammentazione e dispersione dei voti cosiddetti di protesta, che si sono distribuiti su ben 11 piccoli partiti.
Tuttavia c’è una lettura che ho trovato particolarmente interessante: quella fornita dalla giornalista Kári Tulinius della rivista islandese Reykjavik Grapevine. La giornalista sostiene che a partire dalle rivolte del 2008-2009 in Islanda ha sempre vinto le elezioni il partito che è meglio riuscito ad incanalare la mai sopita rabbia popolare.
“Dal momento che il crollo finanziario, la rabbia si è espansa attraverso l'Islanda come Godzilla su Tokyo.” E anche se “al governo di sinistra è stato ampiamente di aver fatto un buon lavoro in termini di gestione economica, […] i loro avversari hanno avuto Godzilla dalla loro parte.” [3]
Il Partito progressista ed il suo leader Sigmundur David Gunnlaugsson sono riusciti a premere i tasti giusti. Hanno promesso la riduzione del 20 per cento del debito dei proprietari di casa che non riescono a far fronte al mutuo; hanno attaccato con vigore la moneta unica europea sostenendo che si sarebbero opposti ad un ingresso dell’Islanda nell’euro.
Tutte misure sacrosante, ma sulle quali pesa un forte sospetto di demagogia e di promesse da campagna elettorale. Ancora non sono chiare le modalità con le quali saranno messe in atto. Inoltre, ricordando che si tratta degli stessi partiti che causarono la crisi, si può citare il buon vecchio Einstein che affermava “Non possiamo pretendere di risolvere i problemi pensando allo stesso modo di quando li abbiamo creati”. Dunque delle due l’una: o gli esponenti dei partiti di governo hanno cambiato radicalmente modo di pensare, oppure stanno solo di cercare di sfruttare al meglio, per i propri fini, la rabbia degli islandesi.
NOTE:
[1] ERLINGSDOTTIR, I., Changing Iceland’s Culture, in Iceland Review, 47.04 (2009), p. 67.
[2] GUDMUNDSSON, E. M., Hvíta bókin. Il libro bianco, 2009.
[3] TULINIUS, K., So What's This Right-Wing Election I Keep Hearing About?, in Reykjavik Grapevine, disponibile su
LEGGI TUTTI GLI ARTICOLI SULLA RIVOLUZIONE ISLANDESE
PER APPROFONDIRE LEGGI IL LIBRO "ISLANDA CHIAMA ITALIA - STORIA DEL PAESE CHE RIFIUTO' IL DEBITO", EDIZIONI LUDICA
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