di
Giorgio Cattaneo
07-11-2011
Il presidente israeliano Shimon Peres ha annunciato che il conto alla rovescia è ormai imminente: entro pochi mesi contro l'Iran e il suo programma nucleare potrebbe scatenarsi quella che da alcuni è già stata definita la 'terza guerra mondiale', aperta da un raid aereo e missilistico. Alcune ipotesi e constatazioni sulla situazione geopolitica attuale.
Tempo scaduto: tra poco parleranno le armi? Contro l’Iran, nel mirino per il suo programma nucleare, potrebbe scatenarsi la 'madre di tutte le guerre', aperta da un raid aereo e missilistico entro pochi mesi se l’Aiea denuncerà la preparazione di bombe atomiche. Esplicito il presidente israeliano, Shimon Peres: conto alla rovescia ormai imminente.
È la conferma di un pericolo reale, denunciato con insistenza da analisti come il canadese Michel Chossudovsky: “La terza guerra mondiale non è mai stata così vicina”. Liquidato Gheddafi e neutralizzato Assad, la Nato è padrona del Mediterraneo e il regime di Teheran appare isolato: mentre l’Unesco pensa di inserire la Palestina nel patrimonio dell’umanità, Israele testa nuovi missili e organizza war games in Sardegna. E anche gli inglesi tifano per la guerra, che Obama sperava di riuscire almeno a rinviare.
“Mentre l’attenzione internazionale è concentrata sulla crisi finanziaria e dei debiti sovrani – scrive Simone Santini su Clarissa. – una nuova voragine, forse ancor più drammatica, rischia di aprirsi nel breve periodo: una voragine che si chiama guerra”.
Sembra la conferma dell’allarme lanciato continuamente da osservatori come Giulietto Chiesa: “Siamo di fronte a un’epocale collasso finanziario del capitalismo basato su carte false, trilioni inesistenti e conti truccati, col debito statunitense che ha raggiunto livelli stratosferici: in questo caso, la guerra è la soluzione migliore per fare tabula rasa”.
Non una crisi regionale, ma una guerra planetaria innescata da conflitti in apparenza locali come quello libico: la conquista di Tripoli da parte della Nato, dopo la secessione africana del Sud Sudan, ha di fatto tagliato alla Cina i rifornimenti strategici (petrolio e gas) sui quali Pechino aveva investito moltissimo. E ora, l’Iran: molto più vicino ai confini cinesi, il paese degli ayatollah – partner fondamentale di Pechino – potrebbe diventare il detonatore di un conflitto planetario.
“La rottura della diga, il 'game changer' – scrive ancora Santini – potrebbe avvenire la prossima settimana con la divulgazione di un rapporto dell’Agenzia atomica internazionale”. Gestita fino al 2009 con grande equilibrio dall’egiziano Mohammed El Baradei, già contrario alla guerra in Iraq scatenata dalla menzogna ufficiale delle 'armi di distruzione di massa' di Saddam, secondo indiscrezioni l’Aiea si appresterebbe ora ad accusare l’Iran di procedere verso la costruzione della bomba atomica, anche se i ripetuti controlli e le numerose ispezioni hanno accertato che finora Teheran non ha violato il “trattato di non proliferazione”.
Secondo il Guardian, l’Iran starebbe invece implementando nuove centrifughe per l’arricchimento dell’uranio spostandole in istallazioni sotterranee e fortificate nei pressi della città di Qom. Per questo, secondo un alto funzionario governativo britannico, rimasto anonimo, “oltre i 12 mesi non potremmo essere sicuri che i nostri missili possano essere efficaci: la finestra si sta chiudendo, e il Regno Unito deve procedere con una pianificazione razionale”.
Venti di guerra, verso un attacco annunciato che sembra ormai dietro l’angolo: “Gli Stati Uniti potrebbero farlo da soli, ma non lo faranno”, dice ancora il funzionario londinese, “per cui abbiamo necessità di anticipare le loro richieste: ritenevamo di avere tempo almeno fino a dopo le elezioni americane del prossimo anno, ma ora non siamo più così sicuri”.
Le notizie che si rincorrono descrivono un clima internazionale di grave allarme, a partire ovviamente da Israele: Tel Aviv spinge perché l’attacco all’Iran sia scatenato entro la primavera 2012. Ne parla apertamente il maggior quotidiano israeliano, Yedioth Ahronot, che descrive il dibattito in corso tra 'colombe' preoccupate dalle conseguenze del raid e 'falchi' come il premier Netanyahu e il ministro della difesa Ehud Barak, decisi a sferrare l’attacco contro il nemico strategico Ahmadinejad, che ha sempre dichiarato di voler cancellare Israele dalla carta geografica del Medio Oriente.
Anche il paese sembra diviso sulla possibilità di una guerra, dice ancora Clarissa: secondo il sondaggio pubblicato dal quotidiano Haaretz, quattro israeliani su dieci (il 41% del campione) sarebbero favorevoli al raid, mentre quasi altrettanti (il 39%) sarebbero contrari; in attesa di decifrare l’intenzione degli incerti, Haaretz sostiene che in ogni caso la maggioranza (il 52%) si fida della valutazione e delle decisioni che vorranno prendere Netanyahu e Barak.
Intanto, Israele si prepara al peggio: il 3 novembre un’esercitazione ha mobilitato il paese per quattro ore, simulando una difesa contro attacchi missilistici dall’esterno. Le forze armate hanno testato con successo un nuovo missile balistico capace di raggiungere l’Iran, e l’aviazione israeliana ha appena condotto a termine un’imponente esercitazione nella base Nato di Decimomannu in Sardegna, con sei squadroni di cacciabombardieri impegnati a simulare azioni d’attacco su lunghe distanze con rifornimenti in volo.
Se fino a ieri le autorità israeliane parlavano di “esercitazioni di routine”, denunciando la “fuga di notizie” innescata da due ex dirigenti Mossad, Meir Dagan e Yuval Diskin, a confermare l’allarme è lo stesso Peres, premio Nobel per la pace, che il 4 novembre ha dichiarato alla tv commerciale Canale 2 che l’opzione militare si sta affrettando: “I servizi di sicurezza di tutti i Paesi comprendono che il tempo stringe e di conseguenza avvertono i rispettivi dirigenti, perché a quanto pare l’Iran si avvicina alle armi nucleari”.
Nel tempo che resta, ha aggiunto Peres, insistendo sulla tempestività dell’imminente azione, “dobbiamo esigere dai Paesi del mondo di agire, e dire loro che devono rispettare gli impegni che hanno assunto, e far fronte alle loro responsabilità: sia che si tratti di sanzioni severe sia che si tratti di una operazione militare”.
Sempre l’inglese Guardian, aggiunge Simone Santini, il 2 novembre ha pubblicato un reportage secondo cui le forze armate del Regno Unito starebbero intensificando i preparativi in vista di attacchi missilistici degli Stati Uniti contro siti iraniani. Gli strateghi della Royal Navy starebbero esaminando la migliore dislocazione possibile nell’area mediorientale delle unità navali, tra cui i sottomarini dotati di missili da crociera Tomahawk.
Londra sarebbe pronta a concedere agli americani l’utilizzo dell’isola di Diego Garcia, nell’Oceano Indiano, già usata come fondamentale base d’appoggio in precedenti conflitti nella regione. L’Iran è tornato al centro delle preoccupazioni diplomatiche dopo la guerra in Libia: anche se Barack Obama non avrebbe intenzione di imbarcarsi in un nuovo conflitto, potrebbe esservi 'costretto' dall’atteso rapporto nucleare dell’Aiea, dopo le voci di 'complotto iraniano' contro l’ambasciatore saudita negli Usa.
Finora, le installazioni atomiche iraniane – destinate dichiaratamente all’uso civile – hanno resistito anche agli attacchi cibernetici sferrati dall’Occidente, e gli americani stanno riposizionando le proprie forze nella regione. Secondo il professor Chossudovsky, l’obiettivo è – da anni – l’accerchiamento dell’Iran: “Dalla seconda guerra mondiale, non si era mai visto un simile spiegamento di forze”. L’idea, spiega Clarissa, è di compensare il ritiro delle forze combattenti dall’Iraq ampliando la presenza militare nella penisola arabica, come ai tempi della prima guerra del Golfo, con nuovi stanziamenti in Kuwait, in Arabia Saudita e negli Emirati, e inviando ulteriori contingenti navali nel braccio di mare che separa le monarchie petrolifere dall’Iran.
Nonostante la crisi e i tagli (solo annunciati) alla spesa militare, gli Usa rilanciano: obiettivo, una “Nato del Golfo” con Bahrein, Qatar, Oman, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Arabia Saudita, che renda permanente la prova generale di collaborazione appena sperimentata in Libia. “Gli scenari fin qui illustrati – si domanda Santini – puntano dritto verso un confronto militare o, come pensano alcuni analisti, fughe di notizie e pianificazioni militari servono per aumentare la pressione su Teheran, lanciando moniti credibili, per ottenere maggiori successi diplomatici?”.
La risposta, in un senso o nell’altro, non tarderà probabilmente ad arrivare. “Nel frattempo, a fronte di un possibile conflitto con esiti devastanti, il movimento pacifista pare del tutto inerme ed impreparato. Tornerà ad agitarsi, forse, quando sarà ormai troppo tardi. Ammesso che non lo sia già ora”.
Articolo tratto da LIBRE
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