L'Italia sta dalla parte del petrolio sporco. Al momento di esprimersi sull'aggiornamento della direttiva Ue sulla qualità dei carburanti - che mira a disincentivare sul mercato europeo l'acquisto di combustibili non convenzionali, per il pesante impatto sull'ambiente -, il nostro Paese ha votato insieme ad altri a favore delle lobby del settore.
La direttiva sulla qualità dei carburanti (2009/30/CE) rivede la precedente normativa del 1998, introducendo l'obbligo per i fornitori di ridurre l'intensità di gas serra dell'energia per il trasporto stradale. L'obiettivo sarebbe una riduzione del 6%, rispetto ai valori del 2010, delle emissioni legate ai carburanti entro il 2020.
L'intensità di carbonio cambia però anche in relazione alle modalità di estrazione e produzione dei combustibili, con un impatto ambientale più pesante nel caso del petrolio estratto da fonti non convenzionali. Secondo la Commissione europea, il petrolio estratto da sabbie bituminose, ad esempio, determina il 23% di emissioni di CO2 in più rispetto agli altri combustibili fossili.
Uno dei metodi di estrazione dalle oil sands consiste infatti nello sradicare gli alberi per drenare l'area l'interessata e trasportare le sabbie recuperate in impianti in cui il bitume viene separato dalla sabbia utilizzando, per ogni barile di greggio da produrre, fino a 5 barili d'acqua. Senza dimenticare i vapori tossici rilasciati nell'aria dagli scarti del processo di lavorazione.
Per questo motivo la Commissione europea ha proposto di aggiornare la Fuel Quality Directive (FQD), vincolando i fornitori a riportare l'intensità di carbonio dei combustibili, che sarebbe pari a 107 grammi per megajoule di carburante nel caso delle sabbie bituminose e a 87,5 grammi per i carburanti fossili convenzionali. L'obiettivo di Bruxelles sarebbe quello di spingere il mercato europeo a favorire i combustibili con minore impatto ambientale e ad estromettere quelli più dannosi, incentivando gli operatori del settore a realizzare innovazioni per aumentare la sostenibilità dei propri prodotti.
Il 23 febbraio il Comitato di Esperti composto dai rappresentanti degli Stati membri si è espresso sulla revisione della direttiva, bloccando la proposta della Commissione europea. Sul voto ha pesato sin dall'inizio la pressione del Canada, principale estrattore da sabbie bituminose, che da tempo cerca di ostacolare l'adozione di interventi legislativi in materia e ha già minacciato rappresaglie commerciali nei confronti della direttiva Ue.
I 128 voti contrari e gli altrettanti astenuti hanno infatti schiacciato gli 89 favorevoli alla disciplina, ma senza raggiungere la maggioranza assoluta necessaria per respingere il provvedimento. Tra questi anche l'Italia, che ha votato insieme a Spagna, Polonia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Lituania e Ungheria contro la proposta di Bruxelles.
Nessuna sorpresa per la commissaria europea per l'azione per il clima Connie Hedegaard che, consapevole del “lobbismo contro la proposta della Commissione”, si aspettava un no compatto da parte degli esperti e guarda con favore al fatto che sia stata solo rimandata. L'auspicio, ha fatto sapere la commissaria, è che i governi capiscano “che i carburanti non convenzionali devono essere, ovviamente, considerati per le elevate emissioni, attraverso valori separati”.
Posizione analoga per il WWF, che ha denunciato la scelta italiana e ha chiesto al governo di cambiare rotta quando, in sede di Consiglio, saranno i ministri europei dell'Ambiente ad esprimersi sulla proposta. Se anche in quella circostanza, probabilmente nel mese di giugno, non si riuscirà a raggiungere la maggioranza qualificata, contro o a favore, la Commissione europea potrà procedere autonomamente.
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