di
Andrea Degl'Innocenti
03-09-2013
Un rapporto dell'Ismu sui flussi migratori svela che per la prima volta negli ultimi anni il numero di stranieri immigrati nel nostro Paese è superato dal numero di italiani emigrati all'estero. La crisi economica ha riportato l'Italia ad essere un paese di emigranti, che non sono più poveri e poverissimi, ma perlopiù giovani laureati cui il nostro paese non offre alcuna opportunità.
“Ci rubano il lavoro, sono sporchi, puzzano, sono criminali, lavorano in nero, non pagano le tasse, sono mantenuti dai nostri contributi”. Se state pensando alle chiacchiere da bar di qualche leghista sugli immigrati romeni, marocchini o albanesi vi state sbagliando. Sono – plausibilmente - le chiacchiere da bar di qualche razzista turco, argentino, tedesco o brasiliano sui recenti arrivi di un popolo tornato ad essere di migranti: gli italiani.
Già. I dati Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità) parlano chiaro: per la prima volta nel 2012 in Italia si sono registrati più emigranti che immigrati. Contro un saldo di +27mila stranieri sul suolo italiano rispetto al 2011, circa 50mila italiani – quasi il doppio - hanno fatto le valige e sono partiti all’estero. Così il bel libro di Gian Antonio Stella “L’orda. Quando gli albanesi eravamo noi” potrebbe tornare di estrema attualità.
Certo, oggi si tratta di un tipo di emigrazione molto diverso rispetto a quello dei 26 milioni che in varie ondate e nell’arco di circa un secolo (fra il 1875 ed il 1975) abbandonarono il nostro paese in cerca di un lavoro e di un futuro migliore. Gli emigranti di allora appartenevano alla fascia più povera della popolazione: mettevano i loro pochi averi nella famosa valigia di cartone chiusa con dei legacci di spago e partivano alla ventura.
Ma non sempre era così. A volte capitava che non arrivassero proprio a destinazione. È il caso, sospeso tra leggenda e realtà, di alcuni migranti siciliani che, anziché raggiungere Ellis Island, si ritrovarono, dopo svariati giorni di navigazione, ad essere scaricati sulle coste toscane; lì delusi e raggirati non si persero d’animo e fondarono una nuova località tuttora esistente, “La California”, la loro America.
Ma la situazione per coloro che riuscivano ad approdare nei “nuovi mondi” non era poi tanto migliore. Ad aspettare quella folta massa di persone generalmente poverissime e con un grado di alfabetizzazione tra i più bassi di tutta Europa, c’erano spesso pregiudizi infamanti e un sentimento antitaliano diffuso che è stato a lungo foriero di discriminazioni sociali e che solo in tempi relativamente recenti sembra essersi dissolto.
Tuttavia ancora oggi, ad indicare il generico italiano, restano nomignoli infamanti diffusi in tutto il mondo: wop (without passaport e trasposizione di 'uappo'), dago (per la nomea di accoltellatori, da dagger, ovvero 'coltello', 'accoltellatore'), carcamano (usato in Brasile per indicare una persona che truffa sul peso della bilancia), macaroni (mangiatori di pasta).
Ma vennero gli anni del boom economico, della nuova ricchezza. Gli italiani si cambiarono d’abito, si dettero una ripulita ed il paese si trasformò in breve in una ambita meta di immigrazione. Finalmente erano altri – gli albanesi, i marocchini, i romeni, i senegalesi, gli zingari - ad essere sporchi, criminali, ladri. A meritare nomignoli dispregiativi come vucumprà.
Il parallelo potrebbe continuare mettendo a confronto i titoli dei principali quotidiani italiani di oggi sugli immigrati con quanto scrivevano i giornali stranieri sugli italiani ad inizio secolo, per i quali si rimanda al sito www.orda.it che presenta una vasta raccolta di materiale dell'epoca.
Infine, ecco l’ennesimo cambiamento di rotta. La crisi economica scoppiata nel 2008 ha avuto fra gli effetti collaterali quello di trasformare nuovamente l’Italia in un paese di emigranti.Le prime avvisaglie si erano avute già a partire dal 2010, con un netto calo del saldo fra gli stranieri che entravano e quelli che uscivano dal nostro paese (69mila).
Quest’anno per la prima volta si è registrata la crescita zero dell’immigrazione, mentre continuano ad aumentare coloro che decidono di abbandonare l’Italia. I connazionali che vivono all’estero hanno raggiunto quota 4 milioni e 200mila, avvicinandosi sempre più ai 5 milioni e 430mila stranieri residenti in Italia.
Oggi però a lasciare il paese non sono più i poverissimi. Piuttosto sono soprattutto i giovani laureati, che in patria non riescono a trovare un lavoro adeguato alla propria formazione. È un paradosso, come spiega Gian Carlo Blangiardo, docente di Demografia alla università Milano-Bicocca e curatore del rapporto Ismu: “Da una parte importiamo giovani stranieri laureati che finiscono per trovare un mestiere poco qualificato, dall'altra esportiamo giovani cervelli che soltanto all'estero trovano una professione alla loro altezza”.
Ma sono i flussi migratori nel loro complesso ad essere cambiati. Se fino a pochi anni fa l'80 per cento dei migranti si spostava dai paesi del sud del mondo verso il nord, oggi un terzo si sposta all'interno dei paesi più poveri, un terzo continua a voler raggiungere i paesi più ricchi del nord (soprattutto Europa e Usa), e l'ultimo terzo (vera e propria novità) dai Paesi più ricchi si sposta nei paesi emergenti (Argentina, Brasile, Turchia).
La crisi economica ha cambiato radicalmente lo scacchiere geopolitico internazionale, e con esso i flussi dei migranti. Il confine fra paesi di immigranti e paesi di emigranti, fra discriminanti e discriminati, è sempre più vago.
Il presente articolo è stato scritto con il contributo di Marco Franci, esperto di flussi migratori e di storia degli italiani all'estero.
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