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“Italia sveglia!”, l'impegno di ActionAid per il cambiamento
di
Marco De Ponte 30-05-2013
Sfiducia e sconfitta, rassegnazione e deresponsabilizzazione sono i sentimenti dominanti tra i cittadini del nostro Paese, un Paese che ormai da decenni sta attraversando una crisi soprattutto di valori. Eppure “il cambiamento è responsabilità nostra” e “l'Italia deve svegliarsi”. Questo il messaggio di Marco De Ponte, Segretario Generale di ActionAid Italia che ha lanciato la strategia “Italia sveglia!”.
Quattordici anni fa ricevetti una telefonata. Mio padre aveva subito un attentato. Rimase 7 anni in coma e non c’era nulla da fare se non aspettare in silenzio. Eppure mia madre provò di tutto fino a consumarsi lei. In questi mesi Bill Emmott descrive l’Italia come la sua ragazza in coma, con amore e scarse speranze.
L’Italia è un paese in crisi non da 4-5 anni ma da decenni. È una crisi complessa (non solo economica) che ha prodotto prima i più bassi tassi di crescita d’Europa, poi anche la contrazione del PIL; ma è anche una crisi di valori e di capacità di immaginare l’Io Futuro. La crisi, oltre che a toccare le tasche di tutti noi, ci ha toccato la testa!
È un dramma che ha frantumato il senso della parola futuro; ha minato la capacità di chi ora ha 40 anni, e quella di generazioni più giovani della mia, di immaginare il futuro. È aumentato il senso di malessere, la sfiducia. A molti manca la fiducia in se stessi, non solo quella dei mercati.
Ha detto bene Caracciolo in una videointervista di qualche giorno fa: questo Paese è diventato di nessuno. Nel senso che è stato assalito da un’ondata di deresponsabilizzazione e di auto giustificazioni (è sempre 'colpa di altri', dei politici che curano i loro interessi, dello Stato che ti abbandona… è addirittura colpa del cielo se piove, manco più di un “governo ladro”…).
Nel senso profondo di sconfitta può però metter radici anche l’indolenza, che è pure peggio. Ingiustificabile. Molti giustificano la propria inerzia con un disco incantato: “non è possibile cambiare”, “non ci sono le condizioni”, “la politica non può fare nulla”, “ io non posso fare nulla”. Il disco incantato di chi crede di non avere più risorse per resistere a questi tempi opachi, al declino. Che tutto sia “uguale, piatto, ineluttabile”.
E da questo qualunquismo prendono forza pure modi di fare intollerabili o nocivi per la collettività come l’evasione fiscale (120 miliardi!). Si vive senza rispetto per il proprio Paese, per gli altri, in ultima analisi per se stessi! È così che si innesca un circolo vizioso per il Paese, per il nostro welfare, per la collettività, per lo stesso stato d’animo dei cittadini, addirittura contro la nostra felicità in sé.
Ci si sente in gabbia. Ma se siamo in gabbia, ci sono delle ragioni e delle responsabilità della società e della politica.
Innanzitutto, il disinvestimento della politica nel radicamento. Un tempo due grandi culture politiche, quella cattolica e quella comunista si fronteggiavano sulle due sponde del Tevere ma anche fino ai Don Camillo e Peppone di provincia; si poteva essere d’accordo o meno, ma comunque erano radicate sul territorio: stavano negli oratori, nelle case del popolo, nei mercati. Poi queste culture si sono stancate e si sono fatte superare dalla comunicazione di massa semplificata e semplificante. Poi c’è stato anche un disinvestimento nella cultura in generale, che ha prodotto tra l’altro un deficit di conoscenza delle istituzioni.
Vi faccio un esempio; in questi giorni sto facendo uno dei miei tanti traslochi di casa e mi è capitato tra le mani il mio sussidiario della V elementare. Sapete che ho trovato lì dentro? 5 pagine di “educazione civica”: si parla di diritti e doveri, della governance democratica, di quartieri, comuni, difesa del territorio; erano gli anni Settanta, erano gli anni in cui lo Stato riteneva importante indicare al cittadino che può partecipare per decidere. Questi temi sono scomparsi dal dibattito pubblico anche se ci sarebbero molti più mezzi per partecipare davvero, oggi.
Sono però diventati per forza il pane quotidiano di ActionAid, e delle organizzazioni con cui ActionAid lavora. Abbiamo cominciato a produrre materiali, manuali, kit per le scuole, facciamo campagne su temi che anni fa erano compito dello Stato, perché l’insegnamento dell’educazione civica a scuola i nostri figli non la studiano più!
Perché ActionAid si è dovuta fare carico di queste questioni? Perché il cambiamento non può essere solo un giudizio sugli errori di chi ci sta intorno o di chi ci precede. Di chi è complice di aver fatto perdere credibilità all’Italia sia davanti agli italiani che nel mondo. Di chi è stato corresponsabile nella crescita dello spread, ma anche – insieme e prima - dell’esclusione sociale delle categorie deboli (spread ed esclusione sono legati eccome, a doppio filo, come lo è il tradimento del patto generazionale, altro che balle!).
Il cambiamento è responsabilità nostra: l’Italia deve svegliarsi, nel senso che deve superare il gioco a somma zero di cui è prigioniera (tu prendi “tanto” e dunque escludi me da “altret-tanto”, o viceversa). Deve acquisire per se stessa una visione che crei “valore in più”, difendere il diritto di avere diritti. E riconoscere che ci sono dei doveri che fanno parte del convivere civile tra noi e con altri popoli.
Certo, non è facile mettersi in gioco per non sentirsi in gabbia. È una partita difficile. Anzi io direi è una corsa… lunga. E questa corsa ActionAid la vuole correre, la sta correndo. La vuole correre buttando il cuore e la mente in ogni falcata. Perché non basta raggiungere il traguardo. È importante come ci si arriva a questo “benedetto” traguardo. E con chi ci si arriva.
Basta uomini soli al comando (di donne finora se ne sono viste tropo poche per lamentarsene): a tirare in testa al gruppo serve che ci siano le idee e soprattutto l’onestà del fare al posto dell’inganno delle politiche degli annunci (pronti per essere dimenticati il giorno dopo). Abbiamo già corso con metodo, trascinando nella corsa nuovi “maratoneti” (beh l’anno scorso questo stesso sabato ho accompagnato 2 di loro per 100km in strada, altro che maratone). Abbiamo già sperimentato modelli diversi, e dobbiamo continuare a farlo.
ActionAid è stata disposta a cambiare: e oggi siamo qualcosa di diverso da quello che eravamo 10-15 anni fa. Siamo cambiati e lo abbiamo fatto anche con il rischio di perdere qualcosa. Ci siamo messi in gioco.
La nostra strategia emerge dalla maturità di AA Italia, tiene conto del momento storico e della crisi del modello di sviluppo che vediamo vacillare tutti i giorni in Italia, come altrove nel mondo occidentale. Come ActionAid, in Italia siamo in grado di produrre una riflessione seria, un’analisi politica e storica, un contributo continuo e sostanziale anche alla Federazione (che abbiamo costruito per un decennio) con orgoglio, mettendoci soprattutto capitale intellettuale, ben oltre il denaro che abbaglia i distratti, come fosse la misura unica della nostra solidarietà.
Oggi siamo qualcosa di diverso, non solo “più grande” perché muoviamo 50 milioni di euro, ma davvero in grado di trasformare… Non siamo solo un’organizzazione di 150mila sostenitori, 60mila attivisti, decine di gruppi locali, 100 membri dello staff… Siamo un’organizzazione fatta da 1+1+1+1+1+1.
Sono queste le risorse di ActionAid, l’energia che ci fa andare avanti nella corsa, che abbiamo rilanciato, allungato, ripreso più volte, sicuramente con ritmo diverso rispetto al passato, dall’anno scorso, dall’ultimo giro.
Sono queste le risorse, tu, tu, tu… che ci hanno permesso di capire prima, che non basta soltanto aiutare qualcuno e poi che non basta neppure solo protestare: occorre creare soluzioni e proporre alternative.
Occorre impegnarci per riempire gli spazi, le voragini di mancanza di futuro che si creano attraverso povertà, esclusione sociale.
La battaglia che ActionAid deve fare è politica; è quella che ha già iniziato e che deve continuare con "Italia Sveglia!", per contribuire ad immaginare un futuro: a partire dalla quotidianità, dalle cose concrete.
Dal birrozzo (la biretta come dicono i romani) in piazza, alla riunione del comitato di quartiere, dalle chiacchiere col tassista sempre incazzato col traffico o quelle con il vicino di casa che non va oltre le battute banali, alle chiacchiere con sconosciuti delle vacanze al mare. Anzi io solo in montagna dove c’e’ poca ressa! Al momento della spesa al mercato…
Una battaglia davvero trasformativa, una sfida alla società italiana, ma anche – e prima - con noi stessi. Una sfida che è fatta di responsabilità.
L’altra sera ho incontrato durante un evento pubblico un signore di una sessantina d’anni: era un esodato. Mi ha detto: “non prendo lo stipendio da diversi mesi, ma ai 25 euro per Hasha (la bambina che sostiene con ActionAid in India) ci tengo. Per me è importante”. Ecco… importante è la Parola Chiave.
Ecco perché noi, ogni giorno, questa trasformazione della società, questo cambiamento (non solo l’aiuto semplice ed acritico) dobbiamo sentirlo importante, urgente. Questo cambiamento avviene se il futuro lo si immagina insieme, se da 1+1+1+1 si diventa ancora di più, 100mila, 200mila, i 5 milioni che ci siamo detti di voler raggiungere con la nostra capacità di comunicare!
Ognuno con la propria forza, con il proprio ruolo, con la propria consapevolezza. Una reazione a catena: gli astronomi direbbero “una supernova”. Ecco… ActionAid in Italia deve essere una supernova! Mi è venuto in mente un altro esempio che vorrei condividere.
Di tutte le stazioni in cui mi capita di girare – e vi assicuro che sono tante – ce n’è una in cui non si ferma nessun treno. In quella stazione, alla Leopolda di Firenze, qualche mese fa Baricco ha usato un’immagine che mi è rimasta in mente: sapete cosa facevano gli arabi quando conquistarono la Spagna? Appena approdavano sulla costa, distruggevano le navi che li avevano portati lì.
È una storia forse violenta che ha però anche il significato di idea di conquista non di una terra, ma di un orizzonte nuovo: sono qui, sono arrivato, ho navigato in acque insicure e ora rimango. Sono arrivato per restare non per andarmene, per costruire, per partecipare.
Insomma non siamo nati per questo e non ci adageremo mai ad essere una componente dell’industria della solidarietà, siamo qui per essere il cuore di un movimento di trasformazione della società.
Siamo qui per essere portatori di una sfida che si vince solo se diciamo ogni giorno: sono qui, non me vado, partecipo e sveglio una parte – forse non tutta – d’Italia. Con pieno senso di responsabilità, ma anche con riacquisita capacità di immaginare il proprio futuro. E di abitare un mondo che abbiamo in testa, prima che fuori di noi. Per mio padre, i vostri figli, per smentire Bill Emmott e forse anche molti nostri concittadini che dormono o sanno solo urlare. Per riuscire ad essere davvero noi, il cambiamento che vogliamo nel mondo… Italia sveglia!
Commenti
Perfettamente d'accordo.
Dobbiamo ricominciare a studiare e a lavorare con amore perché,solo se ognuno di noi ha l'orgoglio di essere il migliore,il beneficio sarà di tutti.
Maria-Rossella Maccolini, 30-05-2013 04:30
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