Qui di seguito l'intervento dell'avvocato Riccardo Bianchini, ospitato su AltaLex.
«L'entrata in vigore del Decreto Legge n. 44/2021 suscita l'attenzione degli interessati al tema dell'obbligo vaccinale.
In questo breve scritto si intende svolgere alcune considerazione immediate – e dunque necessariamente poco meditate e, soprattutto, non sviluppate in ogni loro logica conseguenza – in relazione ai contenuti dell'art. 4 del decreto legge. Disposizione, questa, che come ampiamente dato conto dalla stampa, prevede una vaccinazione obbligatoria per il personale sanitario.
Si tratta di una disposizione che, a fronte di un articolato meccanismo di trasmissione di informazione (che coinvolge Ordini professionali, datore di lavoro, Regione e Aziende Sanitarie), porta all'identificazione dei soggetti sottoposti all'obbligo vaccinale e, poi, all'instaurazione di un percorso all'esito del quale, in caso di mancata accettazione di sottoporsi al vaccino, si giunge ad esiti molto drastici: il demansionamento (con possibile riduzione del compenso), ma anche la sospensione del rapporto di lavoro per i dipendenti (con sospensione di ogni forma di reddito), e la sospensione dalla possibilità di esercitare la professione per i liberi professionisti.
Molti punti della disposizione normativa stupiscono, ma il punto su cui si vuol concentrare questo scritto, perché meritevole della massima attenzione, riguarda direttamente il punto cruciale della questione.
Il presupposto logico-giuridico dell'imposizione di una vaccinazione obbligatoria è ovviamente che questa sia indispensabile per il perseguimento di un interesse pubblico.
E nel caso di specie, la narrazione che sostiene l'introduzione della norma sta nell'affermare che il personale sanitario deve essere vaccinato per evitare che esso, nelle proprie attività di contatto con i pazienti, rischi di essere veicolo di contagio del virus.
A fronte di ciò – e considerando la gravità delle conseguenze per i restii alla vaccinazione (oltre che il ricorso alla decretazione d'urgenza) - ci si aspetterebbe quindi una chiara evidenza scientifica della circostanza che i soggetti vaccinati non siano capaci di trasmettere la malattia (almeno per un certo lasso di tempo).
Ma, al riguardo, ecco cosa comunica in modo ufficiale l'Agenzia Italiana del Farmaco sul proprio sito web, nelle sezioni dedicate alle risposte alle domande più frequenti:
Meccanismi d’azione e protezione dei vaccini Pfizer e Moderna
4. Le persone vaccinate posso trasmettere comunque l’infezione ad altre persone?
Gli studi clinici condotti finora hanno permesso di valutare l’efficacia dei vaccini mRNA sulle forme clinicamente manifeste di COVID-19, ma è necessario più tempo per ottenere dati significativi per dimostrare se i vaccinati si possono infettare in modo asintomatico e contagiare altre persone. Sebbene sia plausibile che la vaccinazione protegga dall’infezione, i vaccinati e le persone che sono in contatto con loro devono continuare ad adottare le misure di protezione anti COVID-19.
6. I vaccini proteggono solo la persona vaccinata o anche i suoi familiari?
I vaccini proteggono la singola persona, ma se siamo in tanti a vaccinarci, potremmo ridurre in parte la circolazione del virus e quindi proteggere anche tutte le persone che non si possono vaccinare: la vaccinazione si fa per proteggere sé stessi, ma anche la comunità in cui viviamo.
(Fonte: Aifa - Vaccini a mRNA: domande e risposte, ultima consultazione il 03/04/2021)
Efficacia e sicurezza della vaccinazione con Vaxzevria (ex COVID-19 Vaccine AstraZeneca)
9. Le persone vaccinate posso trasmettere comunque l’infezione ad altre persone?
Gli studi clinici condotti finora hanno permesso di valutare l’efficacia del vaccino Vaxzevria sulle forme clinicamente manifeste di COVID-19. È necessario più tempo per ottenere dati significativi per verificare se i vaccinati si possono infettare in modo asintomatico e contagiare altre persone. Sebbene sia plausibile che la vaccinazione protegga dall’infezione, i vaccinati e le persone che sono in contatto con loro devono continuare ad adottare le misure di protezione anti COVID-19.
(Fonte:Aifa - Vaccini a vettore virale: domande e risposte, ultima consultazione il 03/04/2021)
In altri termini, viene imposta una vaccinazione obbligatoria sulla base di una “plausibile” incapacità di trasmissione del virus da parte dei soggetti vaccinati.
Ma, attenzione, sebbene sia “plausibile” tale incapacità di trasmissione del virus, chi entra in contatto con la persona vaccinata deve comunque adottare le misure di protezione: prescrizione, quest'ultima, che rende evidente come sia altrettanto “plausibile” che essi siano comunque portatori di possibile contagio.
Non solo, quindi, manca l'evidenzia scientifica della mancata trasmissione del virus da parte dei vaccinati: essa neppure è ritenuta “probabile”, ma solo “plausibile” (ossia possibile, come molti fatti che, poi, in effetti, non si verificano) nella stessa misura in cui sia “plausibile” che siano comunque contagiosi.
Su questa base scientifica viene imposto un trattamento sanitario obbligatorio, che ha ad oggetto peraltro la somministrazione di un farmaco dichiaratamente ancora in fase di studi. E, quel che è peggio, ciò avviene nell'assordante silenzio di nessun coro di dissenso (ma forse sarebbe meglio dire nel plauso collettivo).
Non si comprende dunque quale sia la base giuridica (e prima ancora logica) che possa giustificare l'imposizione di un vero e proprio trattamento sanitario obbligatorio. A tale riguardo, invero, si potrebbe eccepire in punta di diritto che non si è davanti ad un vero e proprio trattamento sanitario obbligatorio eseguito coattivamente. I destinatari della norma potrebbero infatti decidere di non sottoporsi ad esso, con l' “unica” conseguenza di vedersi demansionati o sospesi dal lavoro: quel lavoro che peraltro costituirebbe il fondamento della Repubblica stessa.
Il tema diviene quindi generale, e dovrebbe far sorgere in molti una domanda decisamente allarmante: in quale tipo di ordinamento è ammissibile una disposizione normativa che impone un trattamento sanitario per il fatto che sia “plausibile” trarne dei benefici per l'interesse pubblico?
Non è questione di No-Vax, terrapiattismo o rapporti con civiltà aliene: si tratta, molto più banalmente, di comprendere quale sia il confine di ciò che il potere politico può o non può fare e sulla base di quali risultanze scientifiche nell'ambito del nostro sistema costituzionale. E il fatto che la grande maggioranza della popolazione approvi la misura, se addotta come motivazione per sostenere politicamente e giuridicamente la bontà della norma, dovrebbe avere un'eco decisamente sinistra: le ragioni del costituzionalismo, come ben noto, stanno proprio nel porre dei limiti al potere della maggioranza.
Un'ultima considerazione finale sul tema del consenso informato.
Si fa fatica ad immaginare una categoria più attrezzata dei medici a valutare se il trattamento sanitario che gli viene proposto sia adeguato e, dunque, ad esprimere un effettivo consenso informato.
Dovrebbe sorgere una forte preoccupazione, almeno in coloro che ritengono lo strumento del consenso informato un elemento essenziale di civiltà giuridica e medica, già nel vedere che invece che esso viene estorto proprio a coloro che dovrebbero avere le competenze per farsi un'idea tecnicamente e scientificamente corretta della questione».