L’aver creduto alle promesse scintillanti del consumismo ha creato una serie di conseguenze nefaste che ora si mostrano in tutta la loro drammaticità. L’ambiente è devastato, siamo sommersi da rifiuti e la valanga non accenna a diminuire anzi aumenta; le malattie di ogni tipo, derivanti dall’inquinamento e dal “progresso scientifico “ al servizio di aziende senza scrupoli, mietono vittime a tutto spiano. La speranza nella vita si è ridotta al lumicino e quindi i figli non si fanno più, anche perché nella nostra società in cui deve sempre trionfare l’ego, per quale motivo ci si dovrebbe “sacrificare” per qualcun’altro? Un qualcun’altro a cui poi non si potrebbe neanche dedicare tempo dato che, a causa della tecnologia, non c’è più tempo di fare nulla, solo di lavorare per rincorrere le cose da comprare che la stessa tecnologia ci dice di comprare, altrimenti siamo “poveri” rispetto al vicino di casa.
E così, niente figli e con la popolazione sempre più vecchia nei prossimi decenni; se il trend non si inverte, si prevede la scomparsa della mitica stirpe italiana. E’ chiaro che l’immigrazione sia da una parte fintamente combattuta ma dall’altra è assolutamente necessaria affinché il nostro paese non si desertifichi. Ma soprattutto che ci siano nuovi consumisti pronti ad alimentare la macchina infernale della compravendita e un nutrito serbatoio di lavoratori a basso costo che sono la panacea di qualsiasi azienda, esattamente come lo furono in passato gli immigrati del meridione. Fateci caso, non c’è pubblicità che non inserisca anche persone di colore, asiatiche o comunque dai tratti non italici.
E a chi dice che i figli non si fanno perché siamo “poveri” e non ci sono soldi, è ovvio rispondere che siamo così poveri che sprechiamo l’impossibile e buttiamo quotidianamente soldi dalla finestra. E se ciò non bastasse è sufficiente citare il dato per cui nel 1946, anno successivo alla fine della guerra mondiale con il paese distrutto e la povertà vera, eravamo il paese con la più alta natalità fra quelli usciti dal conflitto. Quindi non si tratta certo di condizioni economiche ma dell’aver perso speranza nella vita, nel futuro e di pensare sempre e solo a se stessi.
Il risultato di queste politiche suicide sono un paese sempre più vecchio e fatto di persone illuse dalla tecnologia che le connette ma che si dimenticano di avere relazioni vere e si ritrovano immancabilmente sole. Città che sono abitate in gran parte da single e anziani assistiti da eserciti di badanti, che in quel caso vanno benissimo e nessuno si sogna di respingerle alle frontiere, tanto per non smentire mai la nostra proverbiale ipocrisia.
Anziani che, una volta sfruttati dalla megamacchina produttiva, sono abbandonati a loro stessi e non hanno alcun ruolo anche se hanno ancora esperienza, saggezza, capacità; nella società dell’usa e getta, soprattutto delle persone, l’anziano, che per le comunità arretrate quindi intelligenti è la saggezza e ha un ruolo importante nella società, da noi lo si mette davanti alla televisione, a bere in un bar o sulle panchine da qualche parte, facendogli vivere giorni fotocopia fino a quando non si spegnerà.
E questo, dalla televisione, dai media, dai social, dagli scranni del parlamento, ci dicono che sia il paese migliore possibile, il massimo che possiamo desiderare e dobbiamo anche essere grati, contenti di pagare mille, tributi, imposte, balzelli, tasse, prebende, bolli, per tenere in piedi uno zombie di società che non va da nessuna parte, non ha più alcun valore ed è destinata immancabilmente a estinguersi.
Non c’è altra strada che costruire una società che dia ancora speranza di vita e nella vita abbandonando ogni remora, paura, timore di lasciare una nave che affonda e porterà con sé chiunque pensi che rimanere aggrappato a ciò che è noto, consueto, falsamente rassicurante lo possa salvare in qualche modo, cosa che non succederà.