Fino a una trentina di anni fa eravamo in pochi a dare l’allarme per cercare di porre l’attenzione su un problema di enorme portata come quello del cambiamento climatico e delle sue conseguenze drammatiche. Come da copione, eravamo considerati catastrofisti, eccessivi, si diceva che la situazione non era così grave, qualche esperto aveva pure il coraggio di affermare che il riscaldamento della terra era fisiologico, che erano aspetti ciclici, non c’era nulla di cui preoccuparsi.
Poi si venne a sapere che chi negava i cambiamenti climatici era spesso lautamente prezzolato dalle industrie petrolifere e le stesse pagavano giornalisti o sedicenti esperti per confutare le tesi dei sempre più numerosi scienziati che in maniera indipendente dimostravano la grande pericolosità dei cambiamenti climatici e le dirette responsabilità umane in merito.
Oggi, praticamente più nessuno confuta quello che “i catastrofisti” dicevano già tempo addietro e cioè che i cambiamenti climatici non solo sono un prodotto delle attività umane ma che stanno anche correndo più velocemente del previsto e creando sempre più gravi e irreversibili problemi. Le conferenze sul clima decidono poco e nulla e quel poco che decidono viene persino disatteso; si continua ad andare avanti più o meno come se nulla fosse. Oltre agli ambientalisti, molte personalità stanno dando l’allarme; fra queste anche quello che è considerato uno tra i più grandi scrittori indiani viventi, Amitav Ghosh, che ha dedicato un libro sull’aspetto della rimozione collettiva del problema dei cambiamenti climatici e il relativo scarso interesse della letteratura per questo tema. Il libro si chiama emblematicamente “La grande cecità” e Ghosh, cercando di capire il perché di questa rimozione collettiva, mette in discussione il paradigma che qualsiasi cosa venga dal progresso (occidentale) sia di per sé positiva e auspicabile.
Analizza come gli uomini nella loro arroganza non si rendano conto che è impossibile imbrigliare la natura e costringerla ai propri voleri spesso del tutto innaturali. Ci parla della rimozione dei rischi facendo esempi di varie città costiere dove la crescita dipende dall’assicurarsi che si chiuda un occhio proprio sui rischi. Scrive delle centrali nucleari in India che a causa di eventi climatici estremi potrebbero avere problemi come in Giappone. E mettendo l’accento sulla scelleratezza e stupidità umana, citando la tragedia della centrale nucleare di Fukushima nota come “Nel medioevo erano state collocate lungo il litorale delle tavolette di pietra per mettere in guardia dagli tsunami: alle generazioni future veniva detto senza mezzi termini: ”Non costruite le vostre case al di sotto di questo punto!". I giapponesi non sono di certo meno attenti di qualunque altro popolo alle raccomandazioni degli antenati: eppure, non solo hanno costruito esattamente dove era stato detto loro di non farlo, ma ci hanno piazzato una centrale nucleare.
Siamo sempre alle prese con il nostro ridicolo e suicida progresso che disprezza i popoli indigeni e li giudica inferiori anche se poi sono gli unici che si sono messi in salvo dallo tsunami e considera gli antichi e la loro saggezza ed esperienza come cose di cui non tenere conto. Con un cellulare in tasca, noi ci sentiamo padroni del mondo, tranne quando appunto uno tsunami spazza via noi, il nostro cellulare e le nostre centrali nucleari. Impressionanti erano infatti nelle città giapponesi post tsunami, le code di fronte alle cabine telefoniche, le uniche che funzionavano dopo che erano saltati tutti gli altri modernissimi sistemi di comunicazione.
Anche il grande scrittore indiano per cercare le cause dei cambiamenti climatici giunge alle conclusioni ormai arcinote almeno per chi studia la situazione da tempo e cioè che il sistema della crescita è insostenibile da ogni punto di vista, ecco la sua versione: Gli stili di vita nati dalla modernità sono praticabili solo per una piccola minoranza della popolazione mondiale. L’esperienza storica dell’Asia dimostra che il nostro pianeta non consentirà che questi stili di vita siano adottati da tutti gli esseri umani. Non è possibile che ogni famiglia del mondo abbia due automobili, una lavatrice e un frigorifero, non per ragioni tecniche o economiche, ma perché altrimenti l’umanità morirebbe soffocata. E’ stata dunque l’Asia a strappare la maschera al fantasma che l’aveva attirata sul palcoscenico della Grande Cecità, ma solo per ritrarsi inorridita da quel che aveva fatto; lo shock è stato tale che ora non osa neppure nominare cosa ha visto - perché essendo salita su questo palcoscenico, ora è in trappola come tutti gli altri. L’unica cosa che può dire al coro che aspetta di accoglierla nei suoi ranghi è :”Ma voi avevate promesso…e noi vi abbiamo creduto!”. In questo suo ruolo di sempliciotto inorridito, l’Asia ha anche messo a nudo, col proprio silenzio, i silenzi sempre più evidenti che stanno al cuore del sistema di governance globale.
Ghosh prosegue citando Gandhi che con profetica lungimiranza già nel 1928 affermava:” Dio non voglia che l’India debba mai abbracciare l’industrializzazione alla maniera dell’occidente. Se un intera nazione di trecento milioni di persone (attualmente l’India ha un miliardo e trecento milioni di abitanti n.d.a.) dovesse intraprendere un simile sfruttamento delle risorse il mondo ne resterebbe spogliato come da una invasione di cavallette” Questa citazione è sorprendente per la schiettezza con cui va dritto al cuore del problema: i numeri. E’ la dimostrazione che Gandhi, come molti altri, capiva intuitivamente quel che col tempo la storia dell’Asia avrebbe dimostrato: che la pretesa universalista della civiltà industriale era una mistificazione; che uno stile di vita consumista, se adottato da un numero sufficientemente ampio di persone, sarebbe ben presto diventato insostenibile, conducendo all’esaurimento di tutte le risorse del pianeta.
Sarà proprio perchè Amitav Ghosh non è un “esperto”, non è uno scienziato, un economista o un politico, che riesce a capire chiaramente e semplicemente quello che è lampante così come il suo illustre predecessore? Infatti fa esattamente quello che non fanno le conferenze internazionali sul clima che essendo gestite da politici non possono che barare sulla crescita che non viene mai messa in discussione e quindi non si arriva mai a vere soluzioni ma solo vaghi intenti e rimandi infiniti del problema. Ghosh invece giustamente collega i cambiamenti climatici ad una crescita esponenziale che è insostenibile da ogni punto di vista e contrappone la sostanzialmente inconcludente conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici e l’enciclica papale Laudato sì che invece è estremamente dura nei confronti dell’idea di una crescita infinita o illimitata che ha tanto entusiasmato gli economisti, i teorici della finanza e della tecnologia. E’ a causa del paradigma tecnocratico che non ci si rende conto a sufficienza di quali sono le radici più profonde degli squilibri attuali, che hanno a che vedere con l’orientamento, i fini, il senso ed il contesto sociale della crescita tecnologica ed economica.
Ghosh conclude con una analisi che riporta in auge le vere e profonde conoscenze che proprio in un ambito di crisi saranno una possibile salvezza, citando anche il recupero dei legami comunitari e delle abilità manuali, aspetti centrali di cui già da tempo abbiamo scritto nei nostri testi.
Nel corso degli ultimi decenni la parabola della Grande Accelerazione ha coinciso con la traiettoria della modernità: ha portato alla disgregazione delle comunità, a un individualismo e un’anomia sempre più accentuati, all’industrializzazione dell’agricoltura e alla centralizzazione dei sistemi distributivi. Allo stesso tempo ha rafforzato il dualismo mente-corpo al punto da produrre l’illusione, propagandata in modo così potente nel cyberspazio, che gli esseri umani si siano liberati dai vincoli materiali al punto da essere diventati personalità fluttuanti scisse da un corpo. L’effetto cumulativo di tutto ciò è la progressiva scomparsa di quelle forme di sapere tradizionale, abilità materiali, arti e legami comunitari che, con l’intensificarsi dell’impatto del cambiamento climatico, potrebbero invece fornire un sostegno a un gran numero di persone in tutto il mondo - soprattutto a coloro che ancora oggi sono legati alla terra. Ma la rapidità con cui la crisi sta avanzando potrebbe quantomeno impedire che alcune di queste risorse scompaiano.
Non può che essere un aspetto positivo, in una situazione di grande cecità che personalità di questo tipo giungano anche loro a conclusioni simili a quelle che da tempo enunciamo e le portino alla grande ribalta anche se poi lo stesso Ghosh deve sconsolatamente notare che pure giornali attenti alle tematiche ambientali come il Guardian o l’Indipendent danno molta più importanza e risalto alle vacanze all’estero ad alto tasso di emissioni e alla Formula 1, che non alle notizie sul cambiamento climatico.
Ma forse, chissà, possiamo ancora rinsavire e levarci la benda dagli occhi.