La scuola insegna davvero a socializzare?

Davvero oggi, con mascherine, distanziamento e allarmi, si può pensare alla scuola come luogo di "socializzazione"? Già prima le perplessità e le critiche andavano crescendo, ora occorre una riflessione profonda su ciò che sta accadendo.

La scuola insegna davvero a socializzare?

Ci sono sempre più perplessità sui reali benefici del sistema di insegnamento scolastico classico, soprattutto per la cosiddetta scuola dell’obbligo, su cui emergono molti dubbi.

Dovrebbe far riflettere già lo stesso fatto che imporre ai bambini di stare fermi e seduti per ore, quando sono al massimo delle loro energie e sempre in movimento, è qualcosa di completamente contro natura. Il bambino ha bisogno di muoversi e di imparare secondo i suoi ritmi e invece lo si blocca in un luogo chiuso ascoltando immobile qualcuno per ore.

Ma quando si parla della scuola in forma critica, di solito l’argomento più forte a favore nonostante i suoi grandi limiti è quello per il quale a scuola i bambini socializzano.

Ma è veramente così? Proviamo a rispondere a questo dubbio con le parole di Andrè Stern (padre, musicista, compositore, liutaio, relatore di conferenze, scrittore, autore e giornalista) tratte dal suo libro “Non sono mai andato a scuola”.

«Come possiamo davvero credere che i bambini socializzino tra loro solo se frequentano i loro coetanei, chiusi in una classe a tenuta stagna, condividendo ogni giorno uno stesso programma stabilito nelle alte sfere? Come possiamo ammettere che la data di nascita e la situazione geografica dei bambini siano gli unici criteri in cui raggrupparli?» scrive Stern.

E ancora: «Ho vissuto in un contatto e in una condivisione permanente con gli altri, alcuni più giovani, altri più vecchi. L’arricchimento reciproco derivava proprio da questa diversità, da questo cosmopolitismo. C’era sempre qualcosa da imparare da qualcuno, così come c’era sempre qualcosa da portare a qualcuno. Ho potuto scegliermi gli amici, così come loro mi hanno scelto. Sono le nostre vite e le nostre strade, i nostri interessi e le competenze che ci hanno portato ad incontrarci, e non la data e il luogo scritti sulle nostre carte di identità. Le nostre amicizie si sono formate giorno dopo giorno. E quando si sono rotte, non si sono trasformate in guerra fredda a causa di una frequentazione quotidiana, inevitabile in una classe».

La tanto decantata socialità a scuola è infatti spesso una guerra fredda, un confronto costante fra chi ha questo o quel capo di abbigliamento firmato e chi no, cosa che spinge i genitori a non essere da meno comprando vestiti costosi o smartphone ultimissimo modello, pur di non fare sfigurare il figlio nella passerella scolastica. Spese che poi faranno ammazzare di lavoro i genitori con le conseguenze che staranno meno con gli stessi figli che magari in futuro poi diventeranno dei disadattati o problematici e non si capirà il perché.

A scuola più che la socializzazione si assiste spesso alla ghettizzazione e la bullizzazione di chi per un motivo o per un altro è escluso dal “gruppo”. Di per sé quindi anche sulla socializzazione ci sono grossi dubbi e ora che con la cosiddetta emergenza coronavirus, viene stabilito il distanziamento sociale, addio pure a quella presunta e assai discutibile minima socializzazione. Già di socializzazione ce ne era effettivamente poca o niente prima, figuriamoci con le classi che si stanno approntando con la motivazione del coronavirus, le cui conseguenze, dati alla mano, pare proprio che nei giovani siano decisamente rare, cosa che quindi rende assai dubbia l'opportunità delle misure che si vogliono prendere.

Ma forse non tutti i mali vengono per nuocere; magari proprio una situazione di disagio ancora più grande e pronunciata può spingere qualche genitore a chiedersi se ha davvero senso e utilità una scuola strutturata in modo così ostico, asociale, complicato e competitivo e se sia veramente positivo per i propri figli. Esempi di scuole parentali, alternative, libertarie, democratiche stanno nascendo un po’ ovunque e dimostrano che un’altra educazione più rispondente alle esigenze di bambini, ragazzi e anche dei genitori esiste ed è percorribile.

Lavori come quelli del progetto "Tutta un'altra scuola" sono un ottimo punto di partenza per conoscere e sperimentare metodologie di insegnamento diverse, dentro e fuori la scuola statale, di successo e soddisfazione per genitori e bambini. Forse è proprio il caso di provare.

E qui trovate i docu-video che "Tutta un'altra scuola" ha realizzato per trasmettere un messaggio importante di fiducia e consapevolezza, invitando a mantenere saldi i pilastri che l'educazione ha nelle relazioni, nella scelta di spazi e tempi e nella trasmissione di contenuti, esperienze e saperi.

 

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