di
Francesco Bevilacqua
21-09-2010
Fabbriche svendute a investitori stranieri, multinazionali che per ottimizzare i costi e aumentare i profitti su scala globale delocalizzano la produzione licenziando i lavoratori. Una scena già vista, stavolta è il turno de La Perla, a Bologna. La storica azienda di intimo rischia di gettare sul lastrico più di trecento famiglie.
Sono 335 le famiglie che rischiano di finire sul lastrico nel giro di poche settimane, forse pochi giorni. Questo è infatti il numero di operai della storica azienda bolognese di abbigliamento intimo La Perla, che sono interessati dal provvedimento di licenziamento annunciato in questi giorni dalla JH Partners, il fondo di investimento americano che dal 2007 è proprietario del marchio.
250 di loro sono già in cassa integrazione dallo scorso anno, ma all’inizio del 2011 la situazione si dovrà risolvere con il licenziamento o il reintegro. A questi 250, poi, se ne sono aggiunti altri 85, mettendo a rischio più della metà del corpo lavoro dell’azienda (655 dipendenti).
Nonostante la situazione tragica dal punto di vista sociale, la proprietà presenta il suo piano di rilancio come "un progetto ambizioso e coraggioso, che comporterà dei sacrifici ma che sarà in grado di trasformare La Perla in un’azienda ancora più forte e competitiva". Dunque, neanche in questo difficilissimo momento competitività economica e quindi massimizzazione dei profitti vengono messi da parte.
Purtroppo scene come questa si sono già ripetute molte volte. Senza spostarci chissà quanto, la Sinudyne, azienda produttrice di televisori di Ozzano Emilia, sempre in provincia di Bologna, ha subito una sorte analoga nel 2005 quando, acquistata da un fondo estero, fu costretta a chiudere per lo spostamento della linea produttiva in Lituania.
In quell’occasione le parole dell’allora assessore provinciale alle Attività Produttive furono queste: "L’impossibilità di avere come interlocutori soggetti con reali rappresentatività e poteri, derivante dalla mancata identificazione della reale proprietà, costituita da un intricato sistema finanziario di 'scatole cinesi', ha prodotto l’impossibilità di operare in termini concreti sui processi di trasformazione che erano invece possibili. La distanza tra proprietà e territorio ha portato alla perdita definitiva di un marchio storico".
I lavoratori dell’azienda La Perla si affideranno ai sindacati per essere tutelati, anche se l’affidabilità di questi ultimi e la reale volontà di raggiungere un accordo, anche a costo di un duro scontro con la proprietà, sono in dubbio. La CISL mette già le mani avanti ricorrendo alla motivazione della crisi per giustificare il fallimento della strategia industriale, intanto la CGIL critica già il nuovo piano, troppo incentrato sul contenimento dei costi e sulla riduzione dei posti di lavoro.
Purtroppo una soluzione immediata e valida per salvare dal licenziamento questi 335 operai e le migliaia di loro colleghi che in tutta Italia si trovano nelle stesse condizioni è molto difficile da trovare, forse non esiste neanche. Ma questa situazione richiama con forza la necessità di ripensare la struttura stessa del nostro sistema economico, troppo globalizzato e sregolato.
È necessario rimettere al centro il territorio, la sua forza lavoro e le sue materie prime. Senza paura di essere tacciati di protezionismo, bisogna assumere posizioni anche forti, che tengano lontano speculatori e investitori stranieri, grandi multinazionali che drenano ricchezza dal tessuto economico locale per reinvestirla altrove, provocando la morte di tutte le attività locali e tradizionali che non possono competere a livello commerciale.
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