Greenpeace - in collaborazione con l’agenzia creativa britannica Don’t Panic - lancia il video “La piccola esploratrice”, per mettere in luce l’impatto distruttivo che i pescherecci a strascico hanno sul fragile ecosistema sottomarino dell’Artico e la scia di distruzione che seminano. Dopo il video vincitore del Festival internazionale della creatività Leoni di Cannes e del Premio D&AD (Design & Art Direction), “Everything is NOT Awesome”, il cui successo ha contribuito alla fine della partnership durata cinquant’anni tra Lego e Shell, Greenpeace affronta ora una nuova sfida. Greenpeace chiede al settore della pesca industriale di fermare la pesca a strascico nel Mare di Barents e nelle acque intorno alle Svalbard per proteggere un ecosistema fragile, e al governo norvegese di crearvi un’area marina protetta. La campagna si batte inoltre perché la grande distribuzione interrompa i rapporti commerciali con i fornitori coinvolti nella pesca distruttiva in queste acque. Aumentano in maniera allarmante i pescherecci a strascico che si spostano sempre più a nord per pescare in zone delicate precedentemente ricoperte di ghiaccio e diversi scienziati condividono le preoccupazioni di Greenpeace sull’impatto di questi pescherecci. “In questo video abbiamo dato vita all’immaginazione di una bambina, per catturare la vera bellezza dell’Artico. È fragile, incantevole e ospita alcune creature uniche al mondo” afferma Joe Wade, direttore e cofondatore di Don’t Panic. “Il successo di ‘Everything is NOT Awesome’ ha mostrato come un video sul web possa avere un impatto globale molto forte. È vitale assicurare un futuro al fragile ecosistema artico: il video della piccola esploratrice trasmetterà questo messaggio a milioni di persone nel mondo” commenta Isadora Wronski, campagna Artico di Greenpeace. Per saperne di più sulla campagna: www.savethearctic.org
La pesca a strascico e i suoi effetti
Una delle tecniche più dannose è la pesca a strascico, un metodo industriale basato sull’utilizzo di enormi reti zavorrate da pesanti carichi e dotate di ruote metalliche, che raschiano i fondi marini, rastrellando (e distruggendo) tutto ciò che trovano lungo il loro percorso, dai pesci fino ai coralli centenari.
Molte specie, anche in via di estinzione, sono raccolte senza ragione e poi rigettate in mare, spesso già morte. Queste perdite “collaterali” (bycatch) raggiungono, in certi casi, l’80% o perfino il 90% del pescato. Per di più, ampie superfici sul fondo degli oceani, che costituiscono l’habitat dove i pesci trovano cibo e protezione, vengono schiacciate e distrutte. Le reti più grosse utilizzate nella pesca a strascico hanno una “bocca” grande quanto un campo da rugby e lasciano cicatrici marine lunghe più di 4 km. Le ferite inferte all’ecosistema possono essere permanenti. La pesca a strascico, inoltre, lascia in sospensione sedimenti (a volte tossici) responsabili di una torbidità dell’acqua sfavorevole alla vita. Questo genere di pesca cancella le caratteristiche naturali dell’ambiente che in condizioni normali permettono agli animali marini di vivere, riposarsi, nascondersi.
Spesso utilizzata dalle navi industriali nelle acque d’alto mare (libere), a volte regolamentata nelle acque territoriali, questa pratica, accusata di avere fortemente contribuito alla sovrappesca, dimostra in maniera lampante che manca una gestione globale del settore.
Gli ecosistemi dei grandi fondi marini sono caratterizzati da un’eccezionale biodiversità. Gli studi scientifici degli ultimi venticinque anni hanno permesso di identificare ambienti marini ricchissimi al di là dei 400 metri, fino a 2000 metri e più di profondità. Nonostante l’assenza quasi totale di luce, la forte pressione e le correnti debolissime, nelle acque profonde si trovano numerose specie. Questi pesci, che vivono in condizioni estreme, hanno una crescita molto lenta, una speranza di vita assai lunga e un’età di riproduzione tardiva; sono particolarmente vulnerabili a perturbazioni del loro ambiente. Gli ecosistemi marini a rischio non sono solo quelli dell’alto mare: anche la pesca a strascico sui monti sottomarini e sui ripidi pendii del margine continentale, al confine della piattaforma, provoca gravi danni.
La comunità scientifica e molte Ong chiedono una moratoria internazionale per proteggere i fondi marini dell’alto mare dalla pesca a strascico. Allo stato attuale, gli sforzi dei governi in questo senso sono insignificanti.
La piccola esploratrice
di
Redazione
11-03-2016