Siamo sempre più educati ad essere altrove, al sicuro da qualsiasi emozione, da qualsiasi sensazione condivisibile. Guardiamo senza vederli, né (soprattutto) percepirli, il tracollo in borsa, una strage ed una partita di calcio, la costante è la comodità del nostro divano. Guardiamo stando altrove illudendoci che nulla ci tocchi, che la ripartenza della feroce crisi greca sia qualcosa di virtuale e non un segnale d’allarme, che gli ospedali bombardati a Damasco siano un videogioco inevitabile.
Guardando, anestetizziamo gli eventi e smontiamo il rapporto causa effetto tra quell’evento e la vita reale e, quando l’effetto ci tocca (magari dopo anni e magari indirettamente), non sappiamo come gestirlo, né lo comprendiamo.
E’ come un migrante che bussa alla porta, non rientra fra le cose possibili: non esce da uno schermo eppure è il granello di sabbia che spacca gli ingranaggi di una routine inclusiva solo a distanza.
Essere “where is the action” è un privilegio riservato solo alla regia del Truman Show o a chi alimenta la Matrix. Ormai è passato tanto tempo e dobbiamo stare spenti…
Almeno un quarto della popolazione mondiale è abituata a vivere di sensazioni mediate ed indirette e tende ad avere reazioni spropositate, crolli emotivi, comportamenti compulsivi o ad ignorare completamente la realtà…
Pensare che la vita sia altrove, scorra su di uno schermo o sul filo di una chat e non possa comunque raggiungerci è il primo passo per diventare incapaci di gestire situazioni che impongono una reale empatia, una reale comprensione della realtà, una presenza completa e senza vie di fuga.
Eventi che impongono la forza di esserci e capire se e come intervenire nel corso degli eventi.
La virtualizzazione non agisce sui rapporti causa-effetto, non elimina le conseguenze degli atti, non impedisce esodi di migranti, crisi economiche e l’incredibile aumentare dei bambini greci abbandonati a loro stessi che non sono così lontani dalle nostre case come i meninos de rua brasiliani che spariscono (sic) per fare spazio alle olimpiadi…
Quando la realtà busserà alle nostre porte o entrerà nelle nostre vite come risponderemo? Con una chat usando lo spam o cercando di avere supporto con un tweet?
Oppure sorrideremo pensando “io sono qui con tutto me stesso per aprire la porta e vedere cosa posso fare”?
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