di
Andrea Degl'Innocenti
06-10-2011
Continuano le modifiche al disegno di legge bavaglio. Escluso l'obbligo di rettifica per blog e siti internet - che resterà comunque per le testate online registrate - vengono introdotte misure più restrittive sul fronte delle intercettazioni. Restano però molte perplessità sulla possibilità di effettuare una reale censura su scala nazionale ad una piattaforma globale come il web.
Mentre il paese va a rotoli, un gruppo di strani individui chiusi in un palazzo nel centro di Roma continua a lambiccarsi il cervello da giorni su quale sia il miglior modo per impedire che la gente si lamenti. Come se il fatto di non poter esprimere le miserie che ci circondano, e in qualche misura non conoscere quelle che circondano gli altri, o la pochezza di chi ci governa, potesse in qualche modo migliorare la nostra condizione.
Gli individui, lo si sarà capito, sono i membri della commissione Giustizia alla Camera. La legge a cui stanno lavorando, definita dai suoi detrattori, non a caso, legge “bavaglio”, dev'essere per loro un vero rompicapo. Come fare, la domanda principale, a tenere a bada qualcosa di immenso e incorporeo come il web? Sarebbe come cercare di tappare la bocca, ad uno ad uno, a ciascun avventore di qualsiasi bar o circolo del paese.
La legge
L'ultima versione del disegno di legge che era scaturita, dopo due anni di cervellotiche discussioni, aveva fatto infuriare, due giorni fa, persino un gigante del web come Wikipedia, che ha oscurato le proprie pagine in lingua italiana per protestare contro l'obbligo di rettifica entro 48 ore per qualsiasi sito internet previsto dall'articolo 29.
Le enormi proteste scaturite hanno probabilmente convinto la commissione a fare marcia indietro su questo punto. Si apprende oggi che con un emendamento è stato eliminato tale obbligo per quanto riguarda i blog; esso rimarrà soltanto per le testate registrate.
Frenata sul fronte diffamazione, la commissione ha però portato un affondo decisivo sul tema delle intercettazioni, quello che sta più caro al nostro Presidente del Consiglio. Con altri due emendamenti presentati dal Pdl ed approvati dalla maggioranza dei nove membri della commissione di giustizia, è stato introdotto il carcere – da sei mesi a tre anni – per i giornalisti che pubblicano intercettazioni “irrilevanti”, ed è stata vietata la pubblicazione delle intercettazioni fino alla cosiddetta "udienza filtro".
In pratica si impedisce non solo di trascrivere ma di dare notizia, di dire che esistono, su tutte le intercettazioni che emergono dai processi – conosciute anche dalla difesa – precedenti all'udienza filtro. L'emendamento è apparso talmente lesivo della libertà di stampa da convincere la relatrice del testo, Giulia Bongiorno di Fli, a rinunciare al proprio incarico per protesta.
Ad ogni modo, fra mille dissensi, si va verso il voto della Camera. Una volta che la commissione Giustizia avrà ultimato il testo definitivo del disegno di legge questo verrà passato al vaglio del parlamento. È probabile che dopo lo strappo della Bongiorno il Governo deciderà di porre l'ennesima fiducia sulla legge.
Cosa cambia?
La batosta più grossa, a questo punto, è quella che viene data ai giornali online. Per le testate registrate resta invariato l'obbligo della rettifica entro 48 ore, e ad esso si aggiungono regole decisamente restrittive per quanto riguarda la pubblicazione delle intercettazioni. La rigidità delle pene applicate – che prevedono persino il carcere – sembrano volte soprattutto a spaventare i giornalisti e fanno leva su l'autocensura e i sentimenti di autoconservazione.
Perplessità
Oltre al giudizio etico, restano diverse perplessità e molti punti da chiarire su come verrà applicata la legge. Innanzitutto, a quali giornali si applica? Su internet i confini fra nazioni sono molto più vaghi che nel mondo fisico e dunque anche le leggi nazionali fanno fatica a trovare applicazione nella piattaforma globale del web.
Ad esempio, verranno considerati italiani solo i giornali che si appoggiano su server che si trovano fisicamente in Italia? In questo caso aggirare la legge sarebbe fin troppo facile: basterebbe migrare su server esteri. Peraltro – riporta in un articolo il Fatto Quotidiano – ci sono paesi come l'Islanda che negli ultimi tempi stanno attirando sui propri server molti giornali e blog internazionali data la protezione legislativa che offrono alla libertà d'espressione. Se fosse vera questa ipotesi, a conti fatti, gli unici a rimetterci sarebbero i server nostrani, che si vedrebbero improvvisamente spopolati.
Oppure la legge si applicherà a tutti i contenuti in italiano? A parte l'effettiva fattibilità di una soluzione del genere – come vietare ad esempio a persone di altre nazioni di scrivere contenuti in italiano? - anche questa soluzione non sarebbe poi così efficace. I siti italiani, all'interno dei propri articoli, potrebbero linkare a siti stranieri che riportano ciò di cui si vuole dar notizia. Figurarsi se qualche giornale straniero non riporterà la versione originale delle intercettazioni.
Infine, si applicherà a quelle testate che sono di proprietà di una società italiana, o il cui direttore è italiano? In questo caso sicuramente verrebbero affossati i giornali online nostrani, ma non si impedirebbe comunque di far circolare le informazioni. Esse continuerebbero ad arrivare tramite i social network sites ed i molti fautori della libertà di stampa che dall'estero – magari in contatto con i giornalisti italiani – continuerebbero ad informare.
Insomma, tentare di mettere un bavaglio all'informazione in rete è un'operazione quasi impossibile. Più che un compiuto disegno legislativo, sembra l'ultimo valzer di una classe – e una fazione – politica ormai incapace di agire sulla sostanza delle cose che per ripicca si accanisce sulla forma. Così incapace di cambiare la propria immagine deforme, continua a prendersela con lo specchio che indefesso la riflette.
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