di
Sara Del Bello
22-07-2011
Nel giorno del ritrovamento dei corpi dei coniugi brasiliani José Claudio Ribeiro da Silva e Marìa do Espìrito Santo, impegnati da oltre 20 anni per difendere la foresta Amazzonica contro l'abbattimento illegale di alberi, la Camera dei Deputati brasiliana ha approvato una legge che ha suscitato molte polemiche. Vediamo quali sono i punti più controversi che la caratterizzano.
La foresta Amazzonica, il polmone del mondo, si estende nel bacino del Rio delle Amazzoni, con una superficie pari a circa 7 milioni di km². Tuttavia, la selvaggia ed incontrollata deforestazione, che da anni minaccia l'esistenza di questa immensa ricchezza naturale, continua senza limiti, nonostante gli appelli e le battaglie portate avanti da numerose organizzazioni ambientaliste e da attivisti, molti dei quali hanno perso la propria vita in difesa di questo prezioso patrimonio.
È il caso dei coniugi brasiliani José Claudio Ribeiro da Silva e Marìa do Espìrito Santo, uccisi il 24 maggio di quest'anno, a seguito di ripetute intimidazioni da parte di chi mal sopportava uomini e donne, come da Silva e sua moglie, che da più di vent'anni erano impegnati a difendere la loro terra contro l'abbattimento illegale di alberi. E proprio nello stesso giorno del ritrovamento dei due corpi, la Camera dei Deputati brasiliana approva, con 410 sì e 63 voti contrari, una legge di riforma del Codice Forestale, promossa dal deputato Aldo Rebelo, a capo del partito comunista brasiliano. Un episodio che suscita molte polemiche e proteste, tanto nel mondo ambientalista, quanto all'interno di gran parte dell'opinione pubblica locale.
Tra i punti più controversi di questo atto legislativo che, per la sua approvazione finale, attende il voto al Senato e la firma del presidente della Repubblica Dilma Rousseff, vi è sicuramente quello relativo alla concessione di un'amnistia per tutti coloro i quali abbiano proceduto a disboscare, al di fuori dei limiti previsti dalla legge, prima del luglio 2008. Una norma, peraltro fortemente criticata dalla stessa presidente Rousseff, che costituisce un vero e proprio incentivo ad un comportamento illegale, dando man forte a chi da sempre antepone gli interessi economici alla tutela ed alla salvaguardia di un ambiente ogni giorno più a rischio.
Il testo prevede, inoltre, la riduzione delle Aree di Preservazione Permanente, previste dall'attuale Codice del 1965. Come rileva un recente rapporto condotto dal Ministero dell'Ambiente brasiliano, in collaborazione con WWF-Brasile, "la quasi totalità delle frane nella regione montuosa di Rio de Janeiro è stata provocata da un'occupazione impropria delle aree". Queste zone di preservazione permanente sono state istituite nell'obiettivo di tutelare non solo la biodiversità, ma anche con lo scopo di proteggere la popolazione, garantendone il benessere. In base ad uno studio condotto dai tecnici dell'IPEA (The Institute for Applied Economic Research), istituto legato alla Presidenza della Repubblica, la loro diminuzione, così come prevista nella nuova legge, determinerebbe la perdita di circa 29 milioni di ettari di foresta nativa.
Da questo rapporto emerge inoltre come il mantenimento delle riserve legali non ostacoli in alcun modo lo sviluppo economico di queste stesse aree. Tutt'altro. È piuttosto lo sfruttamento senza regole del territorio a costituire un freno al vero progresso economico del Paese, ovvero ad una forma di progresso tale da garantire, anche alle generazioni future, l'utilizzo delle risorse presenti sul territorio. Un intervento politico come quello che si sta cercando di attuare, invece, non fa altro che aggravare i disastrosi cambiamenti climatici che minacciano l'esistenza del nostro pianeta.
Gli incendi, a cui spesso si ricorre per il disboscamento, determinano infatti elevati aumenti di anidride carbonica nell'aria, contribuendo al surriscaldamento globale. Secondo quanto riferisce Greenpeace, spetta al Brasile uno spiacevole merito: la quarta posizione nella classifica mondiale dei Paesi responsabili delle emissioni di CO2. Una responsabilità non da poco se si pensa che la foresta Amazzonica rappresenta uno tra gli ecosistemi più importanti al mondo. Essa accoglie, infatti, al suo interno il 10% delle specie animali viventi sulla Terra, di cui una parte ancora non conosciuta. Inoltre, la posizione equatoriale favorisce un elevato irradiamento del sole, necessario a quel processo di fotosintesi, indispensabile ad assicurare la sopravvivenza di ogni essere vivente.
Con questa riforma, però, si finisce per legittimare una politica di feroce disboscamento al di là dei limiti previsti dalla normativa fino ad oggi in vigore e si fornisce così una tutela legale agli interessi economici dei latifondisti, nonché dei produttori agricoli. Le motivazioni, addotte dai sostenitori della legge, ruotano in particolare intorno al principio secondo cui i troppi freni, di carattere legislativo, messi in campo con il fine di fermare la deforestazione, costituiscono un ostacolo soprattutto per i piccoli contadini, ai quali viene di fatto impedito di coltivare nuove terre. In realtà, dietro a simili giustificazioni di ordine sociale, si nasconde il tornaconto per tutte quelle lobbies interessate allo sfruttamento di questa vasta area e delle sue risorse.
Due sono i principali settori economico-industriali che trarrebbero sicuri vantaggi da un intervento legislativo di questo tipo: l'industria della carne bovina, per la quale si rende necessario destinare sempre maggiori quantità di terra all'allevamento e quella del legname, che trova terreno fertile in una zona, come quella amazzonica, ricchissima di vegetazione e, dunque, di alberi. A ciò si aggiunga poi la coltivazione della soia, introdotta a partire dagli anni '60 e che oggi costituisce una delle primarie voci di esportazioni del Brasile. Utile anche per la produzione di mangimi e di biodiesel, questo prodotto è di fatto nelle mani di poche imprese multinazionali del settore, nonché dei grandi proprietari terrieri che agiscono mossi esclusivamente dalla logica del profitto, senza alcun riguardo per l'ambiente.
Secondo dati raccolti dal National Institute for Space Research (INPE), l'ente nazionale brasiliano per la ricerca spaziale, ben 268 km² di foresta amazzonica sono stati distrutti solo nel corso del mese di maggio del 2011. La preservazione dell'Amazzonia viene così costantemente minacciata da una deforestazione senza scrupoli e, ancora una volta, la politica, più che essere finalizzata alla salvaguardia del bene comune, sembra essere un mero strumento volto al perseguimento, quasi esclusivo, degli interessi particolaristici del più forte.
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