di
Francesco Bevilacqua
07-09-2011
Circola da qualche giorno la notizia che un accordo stipulato tra la Francia ed il CNT - il Consiglio Nazionale Transitorio, l’organo che dovrebbe “traghettare la Libia verso la democrazia” nell’era post-Gheddafi – accorderebbe al paese transalpino lo sfruttamento del 35% delle risorse petrolifere libiche.
Nell’ambito della vicenda libica, già di per sé abbastanza preoccupante e per molti versi scandalosa, è recentemente scoppiato un nuovo caso. Da qualche giorno sulle testate di mezzo mondo circola la notizia, diffusa alle masse dal quotidiano francese Liberation, che un accordo stipulato fra la Francia e il CNT – il Consiglio Nazionale Transitorio, l’organo che dovrebbe “traghettare la Libia verso la democrazia” nell’era post-Gheddafi – accorderebbe al paese transalpino lo sfruttamento del 35% delle risorse petrolifere libiche. Tutta da verificare l’attendibilità della notizia, che a quanto pare è basata su alcuni documenti in mani algerine, paese che già nel recente passato si è dimostrato amico della famiglia di Gheddafi.
Il punto tuttavia non è questo. Al di là di questo singolo, fantomatico episodio, che se poi si dimostrerà davvero corrispondente alla realtà dei fatti non farà altro che aggravare la situazione, il messaggio che viene trasmesso al mondo è estremamente grave e sconsolante. Ci dice che di fatto la sovranità nazionale, politica e militare, viene messa in secondo piano rispetto agli interessi economici, a maggior ragione quelli inerenti un bene – il petrolio – sempre più scarso e proprio per questo sempre più prezioso.
Casi come quello del petrolio libico, ma anche quello del Delta del Niger, della legislazione-groviera italiana sulle trivellazioni, della deforestazione da parte dei cercatori di oro nero in Sud America, evidenziano ancora una volta la triste verità, ovvero che le lobby del petrolio hanno il potere di dirigere secondo i loro interessi non solo l’economia ma anche la politica di interi paesi.
Quella dello sfruttamento del petrolio libico è una storia che parte da lontano. Negli anni cinquanta fu Enrico Mattei a intuire il potenziale del paese magrebino, instaurando però con il governo libico – e con diversi altri produttori di petrolio – rapporti egualitari ed economicamente soddisfacenti per entrambe le parti, inaugurando una lunga amicizia che nulla ha a che fare con lo sfruttamento illegale e selvaggio perpetrato dalle grandi compagnie facenti parte del cartello del petrolio. Proprio queste furono le principali oppositrici del dirigente dell’ENI, che pagò a ben caro prezzo la sfrontatezza delle sue azioni.
Un’altra differenza fondamentale divide questi due soggetti: se Mattei puntava a regalare all’Italia l’autonomia energetica, legittima e, anzi, doverosa condizione a cui ciascun paese dovrebbe poter accedere, esattamente opposto è il disegno delle compagnie e dei governi che le appoggiano, le quali vogliono creare un monopolio energetico che fra pochi anni si rivelerà un’arma decisiva.
Spossato dalla guerra – forse più dai bombardamenti NATO, verrebbe da dire –, il territorio libico deve ora risanare le sue strutture. Secondo il presidente della Compagnia petrolifera nazionale, ci vorranno circa quindici mesi prima che la produzione e le esportazioni di petrolio, che prima del conflitto raggiungevano l’80%, possano tornare ai livelli di prima.
Con molta nonchalance Giuseppe Recchi, presidente dell’ENI, ha minimizzato ed evitato di dare peso alla notizia dell’accordo fra CNT e francesi, che altererebbe non di poco gli equilibri economici, energetici e geopolitici fra questi tre paesi – Italia, Libia e Francia – da diversi decenni protagonisti di una piccola 'guerra fredda' privata che ha toccato tragici picchi – pensiamo alla strage di Ustica.
Secondo Recchi, l’ENI dovrebbe puntare più che altro a consolidare la sua quota nel mercato del greggio libico, a oggi pari al 14%. La Total, la compagnia francese che verosimilmente beneficerebbe maggiormente dell’accordo CNT-Sarkozy, ha le mani per ora sul 2% del petrolio della Libia ed è ovvio che moltiplicare per diciotto questa percentuale sarebbe una svolta e allo stesso tempo uno sconvolgimento rilevante.
A questo proposito è bene considerare che è sbagliato vedere la 'lobby del petrolio' come un’entità monolitica che si muove in maniera unitaria; molto spesso le grandi sorelle – sette ai tempi di Mattei, che coniò questa definizione, qualcuno di meno oggi – si scontrano nella contesa dei diritti di sfruttamento dell’uno o dell’altro paese, generando conflitti che investono trasversalmente governi, gruppi paramilitari e fette di popolazione, creando ulteriore instabilità in territori spesso già gravati da consistenti problematiche.
Stiamo dunque a vedere come finirà questa intricata faccenda iniziata il 19 marzo, giorno in cui, secondo le informazioni diffuse da Liberation, Sarkozy avrebbe stretto l’accordo di sfruttamento con i libici. Certo è che sarebbe solo un ulteriore tassello.
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