A pochi mesi dalla morte del rais e dalla 'fine' del conflitto, la Libia permane sotto la morsa della violenza e dell'illegalità. Amnesty International e Medici senza Frontiere denunciano gli abusi, le detenzioni e le torture perpetrate dalle milizie degli ex insorti nei confronti di sospetti lealisti di Gheddafi.
Situazione fuori controllo. Ripetute violazioni dei diritti umani commesse dalle milizie degli ex insorti. Sistema giudiziario paralizzato e autorità nazionali impotenti. È quanto emerge dal nuovo rapporto di Amnesty International, Le milizie minacciano le speranze di una nuova Libia, reso pubblico qualche giorno fa.
Il rapporto documenta gravi e massicci abusi, crimini di guerra, detenzioni illegali e torture, da parte delle milizie degli ex insorti, al momento le forze più potenti della Libia, nei confronti di sospetti lealisti gheddafiani. “Le milizie sono ampiamente fuori controllo e l'impunità totale di cui beneficiano non fa altro che incoraggiare ulteriori abusi e perpetuare l'insicurezza e l'instabilità”, ha dichiarato Donatella Rovera di Amnesty International.
Le autorità nazionali rappresentate dal Cnt, il Consiglio nazionale transitorio, continuano a parlare di casi individuali, di 'errori', impedendo di fatto l'avvio di procedimenti nei confronti di coloro che da mesi, ormai, continuano a perpetrare violazioni nella più assoluta impunità. La guerra è finita, ma non gli orrori. Alla violenza subita si risponde con altrettanta violenza.
“Un anno fa”, continua Rovera, “i libici rischiavano la vita in nome della giustizia. Oggi, le loro speranze sono minacciate da milizie armate fuorilegge che calpestano i diritti umani impunemente”.
Teatri di queste violenze sono, soprattutto, i centri di detenzione. Amnesty International ha visitato 11 strutture detentive usate da varie milizie nella Libia centrale e occidentale.
In 10 di questi centri, i detenuti hanno denunciato di essere stati torturati. Hanno raccontato di essere stati sospesi in posizioni contorte, picchiati per ore con fruste, cavi, tubi di plastica, catene, sbarre metalliche e bastoni di legno e di essere stati sottoposti a scariche elettriche mediante elettrodi e congegni simili alle pistole laser. Parecchi detenuti hanno riferito che, per far cessare le torture, hanno dovuto confessare stupri, omicidi e altri crimini mai commessi.
Secondo l'associazione umanitaria, dal settembre 2011, sono almeno 12 i detenuti morti a causa delle torture subite. E neanche di fronte a questi casi, non una sola, concreta indagine è stata svolta, anche quando i detenuti sono morti dopo essere stati torturati nelle sedi delle milizie o nei centri d'interrogatorio che sono, formalmente o informalmente, riconosciuti o legati alle autorità centrali.
La conferma di queste pratiche è arrivata anche dall'organizzazione medico umanitaria indipendente Medici Senza Frontiere, che, proprio qualche settimana fa, ha reso noto di aver sospeso le sue attività nei centri di detenzione di Misurata proprio a causa delle torture inflitte ai detenuti e della negazione agli stessi delle cure mediche di urgenza.
Le équipe di MSF sono presenti a Misurata da aprile 2011, nel pieno del conflitto libico. Da agosto 2011, MSF ha lavorato nei centri di detenzione di Misurata curando feriti di guerra, effettuando interventi chirurgici e fornendo cure ortopediche alle persone con fratture alle ossa. “Alcuni funzionari hanno tentato di strumentalizzare e ostacolare le attività mediche di MSF”, ha denunciato il direttore generale di MSF, Christopher Stokes. “Ci hanno consegnato pazienti provenienti da interrogatori affinché li stabilizzassimo per poterli nuovamente interrogare. Ciò è inaccettabile. Il nostro compito è quello di fornire cure mediche per feriti in guerra e detenuti malati, non di curare ripetutamente gli stessi pazienti per poter essere nuovamente torturati”.
A MSF è stato anche chiesto di curare i pazienti direttamente nei centri per gli interrogatori, cosa che l’organizzazione si è categoricamente rifiutata di fare. Dopo aver incontrato varie autorità, il 9 gennaio MSF ha inviato una lettera ufficiale al Consiglio Militare di Misurata, al Comitato di Sicurezza di Misurata, al National Army Security Service e al Consiglio Civile Locale di Misurata chiedendo ancora una volta di porre fine immediatamente a ogni forma di violenza contro i detenuti.
“Nessuna azione concreta è stata intrapresa”, prosegue Stokes. “Al contrario, la nostra équipe ha ricevuto quattro nuovi casi di tortura. Abbiamo perciò preso la decisione di sospendere le attività mediche nei centri di detenzione”.
Nessuna indagine è stata portata avanti neanche su altri gravi abusi commessi dalle milizie, come l'uccisione di 65 persone i cui corpi sono stati ritrovati il 23 ottobre in un albergo di Sirte che serviva da base per i combattenti dell'opposizione provenienti da Misurata.
In un video ottenuto da Amnesty International, i miliziani colpiscono e minacciano 29 persone in loro custodia. I loro corpi sono stati trovati tre giorni dopo all'interno dell'albergo: molti avevano le mani legate dietro la schiena e un foro di proiettile in testa.
“È fondamentale che le autorità libiche dimostrino con fermezza l'impegno a girare pagina rispetto a decenni di sistematiche violazioni dei diritti umani riprendendo il controllo delle milizie, indagando sugli abusi del presente e del passato e processando i responsabili, a qualsiasi parte appartengano, secondo gli standard del diritto internazionale”, conclude Rovera.
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