Nei primi decenni del XIX secolo la seconda grande pandemia mondiale di colera raggiunse l’Europa, con un impatto notevole sulla popolazione: solo in Francia ci furono più di 100.000 i morti, ai quali si devono sommare le vittime degli altri Paesi colpiti, Italia inclusa. È proprio da questo fatto storico che parte il libro "L'omeopatia e le sue prime battaglie", scritto nel 1836 da Jean Marie Dessaix e la cui traduzione in italiano (Edizioni Salus Infirmorum, Padova) è stata curata dal prof. Paolo Bellavite, del Dipartimento di Patologia e Diagnostica dell’Università di Verona. In che modo furono coinvolti i medici omeopati del tempo? Cosa emerge da quest’opera e quali elementi possono essere ancora attuali se guardiamo all’omeopatia dei giorni nostri?
UN’EPIDEMIA TANTO IMPROVVISA QUANTO INATTESA
Come racconta il prof. Bellavite, all’epoca non esisteva una cura ufficiale per il colera e non si sapeva neppure da cosa fosse causato quel morbo. Nell’estate del 1835 una Commissione di medici di Lione, presieduta dal Dott. Monfalcon, fu inviata a Marsiglia per studiare meglio il fenomeno e fare una relazione sullo stato delle cure. “Il fatto interessante - prosegue Bellavite - è che in quella relazione si ammetteva il pressoché totale scacco della medicina ufficiale e si faceva riferimento anche gli sforzi dei medici che avevano prescritto medicinali omeopatici. Non si mancava però di precisare che, a parere della Commissione, questi medici non avessero ottenuto alcun risultato se non in casi che sarebbero comunque guariti da soli”. Le cronache e i documenti degli ospedali dell’epoca riportavano però una realtà ben diversa: i risultati sui pazienti erano positivi e, prescrivendo la terapia omeopatica, la mortalità si abbassava.
LA REAZIONE DEI MEDICI OMEOPATI DEL TEMPO
“Essendo convinti della validità del loro approccio – spiega il prof. Bellavite – i medici omeopati del tempo cercarono di promuovere una presa di coscienza da parte dei loro colleghi, che li accusavano senza appello di cialtroneria”. Era però evidente, ormai, che il documento ufficiale della Commissione volesse ostacolare la possibilità di fare ricerca sui medicinali omeopatici e che si volesse impedire di documentare le terapie che gli omeopati avevano prescritto. “A mio parere – aggiunge Bellavite - si perse così un’occasione per confrontare le diverse strategie di cura in maniera seria e scientifica all’interno del contesto ospedaliero. Se la terapia omeopatica fosse stata validata ufficialmente, sarebbe potuta facilmente diventare una terapia di prima scelta in caso di successive epidemie, cosa che invece non accadde”.
COSA C'È DI ANCORA ATTUALE NELLE "PRIME" BATTAGLIE DELL'OMEOPATIA?
Secondo il prof. Bellavite è nel mondo accademico che molti ostacoli restano ancora da superare: certe Università e certe riviste scientifiche sono ancora ancorate a un pregiudizio nei confronti dell’omeopatia e questo genera atteggiamenti di chiusura. “È importante - prosegue Bellavite - puntare sulla ricerca, facendone di più rispetto a quanto è stato fatto finora. Un altro punto di debolezza dell’omeopatia è la poca integrazione con il sistema universitario e quello medico”. Infine, altri attori importanti in questo percorso sono stati e continueranno a esserlo il mondo della politica e quello delle istituzioni, che possono agire favorendo l’integrazione delle terapie all’interno del Sistema Sanitario Nazionale, nell’ottica dell’interesse comune.
* L’OMEOPATIA E LE SUE PRIME BATTAGLIE
Presentazione, traduzione e note a cura del Prof. Paolo Bellavite
Edizioni Salus Infirmorum, Padova – 2013
Titolo originale: L’Homoeopathie et ses agresseurs, Tradotto dall’Edizione francese del 1836 a cura del Dr. Jean Marie Dessaix della Società di Medicina Omeopatica di Lione (F)