In Lombardia nuove linee guida su consumi e costi delle cure

Il ricorso a prestazioni sanitarie di diverso tipo sta diventando sempre più massiccio, forse eccessivo, negli ultimi tempi. Le linee guida di politica sanitaria appena approvate dalla Regione Lombardia hanno lanciato una proposta per evidenziare i costi generati da questa tendenza, anche se l’aspetto economico non è il solo problema da affrontare.

In Lombardia nuove linee guida su consumi e costi delle cure
Le nuove linee guida di politica sanitaria approvate dalla Regione Lombardia pochi giorni fa contengono un’importante novità, tecnicamente inerente alla gestione dei costi ma in realtà suscettibile di intervenire sulle fondamenta della stessa 'cultura medica' degli italiani. Come sappiamo, il sistema sanitario del nostro Paese è pubblico: a parte un ticket di modesta entità, che rispetto alla spesa reale rappresenta un contributo poco più che simbolico, il cittadino non deve sborsare un euro per diagnosi, cure, interventi e terapie a cui è sottoposto. Che i malfunzionamenti più o meno diffusi e più o meno gravi del sistema sanitario nazionale rischino di trasformare quello italiano in un apparato di fatto privato, costringendo gli utenti a rivolgersi a cliniche molto più costose ma anche più veloci ed efficienti, è un argomento a parte che per il momento non ci interessa. Lo scopo di questa breve riflessione è piuttosto quello di analizzare l’importante novità presentata dall’assessore regionale lombardo alla Sanità Luciano Bresciani: per la prima volta infatti, le strutture ospedaliere saranno tenute a informare il paziente di quanto è costata la sua degenza alla collettività, cioè allo Stato. Il cittadino lombardo – ma anche spostandosi in altre regioni i valori non cambiano molto – sborsa di tasca sua solo i soldi necessari a pagare un ticket che va dai 10 ai 36 euro, secondo il nuovo piano tariffario previsto per il 2012, che fra l’altro introdurrà uno scaglionamento proporzionato all’effettivo costo della prestazione. Per metterlo al corrente di quanto la sua degenza è costata realmente alle casse pubbliche, in occasione della dismissione e di ogni altra comunicazione fra struttura medica e paziente vigerà l’obbligo di indicare le spese effettive sostenute, che spesso sono sensibilmente superiori (basti pensare che un giorno di ricovero può costare fino a 800 euro, senza parlare di terapie riabilitative, interventi chirurgici ed esami diagnostici). Gli addetti ai lavori si sono divisi nel commentare questa decisione. Da un lato c’è chi teme che il paziente si possa sentire umiliato o caricato di eccessive responsabilità nel sapere quanto la comunità ha dovuto effettivamente sborsare per curarlo. Dall’altro c’è chi ritiene che questa 'operazione trasparenza' abbia il vantaggio di aumentare il grado di consapevolezza dei cittadini e dei medici che, vedendosi presentare un conto – sia pur virtuale –, sarebbero più parsimoniosi nel richiedere o ordinare esami a volte superflui e nel ricorrere in maniera forse troppo disinvolta e frettolosa a cure mediche specialistiche. A questo proposito, è molto interessante la definizione che il collega emiliano romagnolo di Bresciani, l’assessore Carlo Lusenti, ha dato di questa diffusa ipocondria di cui sono vittime gli italiani. Lusenti ha infatti parlato di 'consumismo sanitario' descrivendo la tendenza dei nostri concittadini a precipitarsi dal medico un po’ troppo spesso rispetto alle reali necessità. L’assessore della Regione Emilia Romagna ha anche portato in proposito esempi apparentemente grotteschi ma in realtà molto preoccupanti, come una statistica che ha rilevato come le prenotazioni al Cup siano soggette a dei picchi dopo ogni puntata di Elisir, il format della Rai dedicato alla sanità, proprio per le prestazioni di cui ha trattato la trasmissione. Lusenti parla giustamente di un problema dalla doppia faccia: da un lato quella tecnica e deontologica, che riguarda naturalmente i medici, i quali troppo spesso, per scarsa professionalità o ancora peggio per convenienza personale, prescrivono ai pazienti esami e terapie non necessarie. Dall’altro quella culturale, che si inserisce in un quadro che vede una popolazione gravemente disinformata sui pericoli del ricorso eccessivo a farmaci, interventi e cure non solo superflui ma alle volte addirittura dannosi. Se adesso infatti il dibattito è concentrato sull’aspetto economico, presto si rischia di accodarsi al modello americano, caratterizzato da un sistema sanitario privatizzato e completamente sregolato, in cui la iatrogenia è una delle principali responsabili dei malanni dei cittadini USA. Pur condividendo la necessità di far accrescere la consapevolezza e la cultura medica degli italiani però, Lusenti non sembra condividere appieno la scelta della Regione Lombardia. Possiamo dirci d’accordo? La risposta non è immediata e certamente non può essere univoca. Tuttavia è facile individuare un punto di partenza che necessariamente deve costituire la base per tutte le riflessioni in merito: la discussa scelta dell’assessore Bresciani ha evidenziato un grave problema culturale, che se adesso viene analizzato solo dal punto di vista economico presto rischia di diventare un vero e proprio pericolo sanitario, ovvero il ricorso sistematico, eccessivo, superfluo a cure mediche e farmacologiche. La prima cosa da fare è dunque adoperarsi per creare consapevolezza, favorire uno stile di vita e di cura dell’organismo equilibrato e liberarsi dalla paura della malattia, magari anche smascherando tutti i soggetti che hanno interesse a diffondere il panico e incentivare il 'consumismo sanitario'.

Lascia un commento


Per lasciare un commento, registrati o effettua il login.