di
Lucio Cutuli
09-11-2012
Dal 30 novembre al 2 dicembre prossimi la casa bolognese di Lucio Dalla verrà trasformata in un museo. La notizia di questa iniziativa ha suscitato le emozioni e le riflessioni di un nostro lettore che, ad otto mesi dalla scomparsa, ha voluto ricordare il grande artista.
Dal 30 novembre al 2 dicembre la Fai trasformerà la casa bolognese di Lucio Dalla in un vero e proprio museo, grazie alle visite guidate dagli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, secondo un percorso curato dalla critica d’arte e amica di Lucio Dalla Silvia Evangelisti.
Il ricavato delle visite sarà interamente devoluto a sostegno della ricostruzione del municipio di Finale Emilia, nel modenese, distrutto dal terremoto, trovata che l'artista avrebbe di sicuro appoggiato e sostenuto.
La notizia di questa iniziativa mi ha suscitato una serie di emozioni sul valore artistico di quest'uomo che ho avuto il piacere di conoscere e che molti spero, attraverso l'apertura al pubblico delle sue 11 stanze, potranno conoscere più intimamente tramite i suoi oggetti personali e le tantissime opere d'arte contemporanea e non da lui collezionate.
La lava in fiamme scende la collina… è domenica mattina…
All’ombra di un castagno, ebro di fresco e di odore di muschio Lucio Dalla mi confidò che stava tracciando una canzone dal titolo “Siciliano” che cominciava proprio così. Eravamo sul vialetto della sua casa a Milo e mi disse che la nuova canzone avrebbe visto la luce nel nascente disco con la prossima estate. Attesi l’ascolto di quella primizia nei giorni indicati, ma non avvenne. L'ascoltai otto mesi dopo.
La lava in fiamme scendeva la collina esattamente allo stesso modo anche la domenica mattina del 4/3/2012. Pochi giorni prima, l'1 marzo 2012, Lucio chiudeva per sempre la sua milizia poetica e terrena.
Il 4 marzo anche l’Etna dava l’ultimo addio al suo figlio adottivo, a modo suo. Con boati, fumi, tutto udibile e visibile da distanze lontane, con una copiosa eruzione 'eretica' che macchiava come sangue il manto bianco di neve che avvolgeva il vulcano. Chi osservava e analizzava l’evento si copriva di brividi la pelle. Oggi i riflettori sono meno accesi sull’avvenimento che improvvisamente ha spento la vita di un altro valoroso artista di quel gruppo di cantautori che negli anni '60-'70 spinsero la “canzonetta” verso apici di raffinata partecipazione, poesia e liricità. Ancora oggi l’eco delle melodie di Luigi Tenco, Bruno Lauzi, Sergio Endrigo, Fabrizio de Andrè, di altri ancora e adesso anche di Lucio Dalla risuonano nelle strade e nei locali instillando musicalità.
Nella casa di Lucio a Milo, seduti in anello al tavolo di ceramica color turchese come le collane che portava al collo e i braccialetti al polso, si parlava di tutto e di niente. Attorno a quel tavolo, Lucio ha ampliato molto lo spirito vagabondo dei presenti e sa di banale affermare ancora la signorilità nei dialoghi, nei rapporti, la cordialità che, offuscando l’avvenenza fisica e la statura non certo elevata, emergeva da titano e affinava gli incontri in momenti ricchi di attrattiva che lasciavano il segno. Di estrema percettibilità poetica, qualsiasi 'canzone' inserita nel contesto della sua vocazione, rappresenta un momento di simbiosi tra l’ispirazione e il testo narrato.
Lucio, dissacratore anche di se stesso, è sempre stato avanti con le sue canzoni. Non ebbe mai una crisi di pensiero, di linguaggio, si presentava con una estetica sempre nuova e sorprendente. Si è voluto fare scoop con la sua sessualità: non nascose mai il suo stato ed era sempre al di sopra di tutti e di tutto rimanendo sempre discreto. Nelle discipline dove non era esperto con una umiltà quasi infantile chiedeva confidenzialmente tutte le informazioni per migliorarsi.
Per questa sua modestia molte parole di stima mi restano in gola. Mi ha reso più isolano di quando già non lo sia. Mi ha arricchito di una maggiore consapevolezza, estrinsecando i valori che potessero apparire scontati, sciocchi, effimeri dell’isola dove abito. Ci accomunava lo stesso giorno e mese di nascita, lo stesso nome, la stessa passione per le foto dei fuochi pirotecnici colorati. Me ne chiese due, ma nel vederne alcune dell’Etna, del candore della neve sui rami, del cielo azzurro che lo incantavano nelle sue contemplazioni, ne scelse altre.
Chiese quale fosse il compenso e mentre io esprimevo la mia contentezza per averle preferite gliele regalavo con piacere grato. Lucio si frenò dal pigliarne altre: era di estrema signorilità e non intese abusarne. Erano tutte stampe Ciba ottenute da diapositive leggermente sottoesposte che accentuavano la vitalità dei colori e la cromaticità in genere. Piacquero tanto quelle foto e mi chiese gli accorgimenti utilizzati trasmettendo l’apprendimento a Stefano che stava allestendo una serie di montaggi su opere famose di pittori rinascimentali, con inserimenti e sovrapposizioni di ritratti con personaggi attuali (spesso era Stefano medesimo) con ottima riuscita.
In quel tempo Lucio voleva aprirsi a nuovi hobby come il vitigno autoctono del Vulcano, lo “Stronzetto dell’Etna”, da lui poi brevettato. Il nome lo scelse perché il vino si presentava amabile e innocuo, ma un abuso ti portava con “la testa tra le nuvole”, appunto come uno “stronzetto”. Mi confidò che quando sui giornali si scriveva della siccità dell’Isola e tutto andava in malora e osservava nei paesi le fontane senza rubinetto con l’acqua a perdere, gli piangeva il cuore nel vederci così sprovveduti.
Esaltava il paese dove abitava, il clima, la quiete, la gente, ma evidenziava i limiti degli isolani, ormai anche lui sceso nella loro essenza. Raffinato degustatore delle specialità (Delizie 'nocciolate', granita ai gelsi neri o granita alla mandorla), era anche curatore dei dettagli nell’arredare di manufatti il proprio 'habitat', evidenziando l’animo nascosto del creatore. Scandagliava nella cromaticità delle opere per scoprire il soffio ispiratore, la spiritualità dell’anima che turbinava il momento creativo dell’autore.
Si soffermava con delicata ottemperanza nel chiedere sulla creatività artistica degli altri con una umiltà che sconvolgeva. Era colto, innovativo e intenditore. Era anche solo, sempre alla ricerca di spazi, di amici e di amicizie che lo sostenessero, di cui potesse fidarsi, per dedicarsi con impegno alla tessitura di un’idea, a un nuovo progetto dagli esiti sicuramente positivi. Portò radicata l’essenza degli isolani e la cultura della Sicilia. La individuava, la decantava nel bene e nel male e la propose pennellata nei dettagli più curiosi e artistici.
La vallata dov’era sita la sua casa si presentava come un balcone in declivio. La vista, in pochi chilometri, proponeva il godimento della visione dalla cima del vulcano alla scogliera bruna del mare, con una varietà di colori e vegetali, frutti della terra, toni, umori, uomini e bestie così diversi che difficilmente si trovano altrove. Mi disse che tutto questo bisognava custodirlo senza lasciarlo disperdere, senza portarlo assai distante dai luoghi d’origine. La gente doveva venire a godere sul posto. Anzi, convenne che le mie foto non le avrebbe portate nella casa di Bologna, ma sarebbero rimaste a ornare la sua villa di Milo.
Sono già passati 8 mesi dalla sua scomparsa, e nel veder i numerosi eventi che lo ricordano mi ha stupito notare molti giovani – quei 'bambocci senza testa', 'distratti', 'vuoti', che non ascoltano e non vivono (alcune volte bisogna ricredersi) – turbati dalla notizia della sua morte. Sono emerse le giovani e fresche anime non solo dedite alle cadenze assordanti dei concerti dove il ritmo prevale sul testo, sulla melodia, sull’armonia, sulla poesia. Pervasi anche loro da quella vena malinconica e mesta che perfora i soffi vitali senza tener conto dell’età anagrafica, nel loro viso la lacrima rigava il volto senza che ci fosse stato un comando, ma solo spontaneità in un sentimento di mestizia.
In ognuno di noi c’è stato sicuramente un momento di vita, un avvenimento che è stato valicato da un brivido o da una emozione, da una nota, o frase o sguardo che questo artista ci ha spinto dentro l’anima e che ormai fa parte della nostra essenza. La sua vasta produzione ci ha accompagnato almeno in un momento intimo della nostra esistenza, ci ha intriso perché cantava anche la nostra solitudine. Era un “Gladiatore” vincente, ma nell’arena dava agli altri la facoltà di scegliere l’arma da combattimento.
Come tutti i “Grandi” aveva bisogno dei suoi spazi e della sua solitudine. Aveva raggiunto consenso e successo. Si circondava di tanta gente, ma vagava nella valle 'Etnea' assai solo e nei suoi occhi, che forse erano un po’ piccoli ma penetranti, mostrava dietro i vetri un misterioso raggio di luce e degli sguardi sereni e luminosi e anche se non erano felicità… erano poesia, musica... cielo limpido oltre cui non puoi andare...
Alcuni esistenze non vanno via mai. Gli 'artisti' e gli 'uomini saggi' lasciano cordoni dove possiamo sostenerci. La spiritualità e i refoli attivi, energici li lasciano, non solo per noi, ma anche per dopo…
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