Con i disastri provocati dalle tempeste di vento e pioggia di questo autunno stiamo avendo un assaggio delle conseguenze del riscaldamento globale del pianeta. Naturalmente, chi “assaggia” di più sono gli abitanti delle campagne e dei piccoli paesi, che rimangono a lungo senza strade e senza corrente elettrica. Quanto a lungo dipende da quanto è ricca la zona dove abitano, cioè da quanti ricchi ci abitano e ci speculano e guadagnano con alberghi, resort, porti, turismo ecc. Ma non divaghiamo. Più ancora degli abitanti umani “assaggiano” piante e animali selvatici ma questo non importa. L’importante sono i danni economici, l’importante è lo “sviluppo”, la “crescita”. E infatti i disastri crescono, il marasma climatico si sviluppa.
Qualche problema c’è e non si può nasconderlo, per questo le voci in coro dei media di servizio (“servizio” a chi? Lascio ai lettori la decisione) parlano ad alta voce di frane e allagamenti, di panfili sbatacchiati nel golfo del Tigullio, di Portofino isolata (evviva! Finalmente gli abitanti di Portofino avranno un po’ di pace). Ma dopotutto anche questo sarà tutto “sviluppo”. Si dovranno rifare le strade, riparare le case; con la scusa della sicurezza si potranno mettere le briglie (di cemento) ai fiumi, come fossero cavalli imbizzarriti, e… tagliare gli alberi. Tutto cippato che cola nelle centrali a biomasse fatte con le sovvenzioni dell’Unione Europea alle energie rinnovabili (!?).
Ma poco si parla delle centinaia di ettari di foreste rasi al suolo dalla furia dei venti, dei magnifici abeti del Cadore, della Carnia, delle Dolomiti Friulane abbattuti a centinaia di migliaia sulle nostre Alpi. Le strade, i porti, il turismo, i soldi. Anche le vittime umane passano in secondo piano di fronte ai “danni economici”. Figuriamoci le vittime vegetali. Ma chi se ne frega degli alberi...
Certo, sono anche loro esseri viventi. Però di seconda qualità. Tutt’al più sono “risorse”, economiche naturalmente. E di queste risorse qualcuno si preoccupa: l’Ordine degli Agronomi Forestali, i cui padroni vivono e prosperano e si arricchiscono con queste risorse. Infatti si preoccupano degli alberi in quanto legna, economia, turismo. “Ne sono stati abbattuti 8 milioni di metri cubi”, perché l’albero è metri cubi di legna, ogni metro cubo rende tot, le aziende forestali perderanno tot soldi perché non tutta quella legna si potrà recuperare e quindi… allarme allarme per il danno economico, dateci soldi o almeno permessi per abbattere altri alberi che sono rimasti in piedi, per sfoltire le foreste così quando gli alberi cadono non spingono giù altri alberi, per tagliare gli alberi grandi (e già lo fanno ma non basta mai) così se tutti gli alberi sono piccoli non cadono e, se cadono… li ripianteremo a spese vostre. E vedrai come cresce il PIL, come si sviluppa l’economia.
Un’umanità affetta da amnesia grave (e la malattia degli “scordoni” colpisce in maniera anche più grave quelli che per professione dovrebbero informare) dimentica qualche piccolo particolare.
Primo: noi umani respiriamo solo grazie agli alberi, dato che senza ossigeno non possiamo sopravvivere e sono loro che lo producono, e questo dovrebbe bastare a farceli amare e proteggere con tutte le nostre forze. O no?
Secondo: sono gli alberi che permettono alla pioggia di filtrare nel suolo e di riempire le falde, invece di scorrere via erodendo terre e allagando valli.
Terzo: sono le radici degli alberi che trattengono la terra sui pendii di colline e montagne e sponde dei fiumi; terra che altrimenti verrebbe erosa o franerebbe.
Si potrebbe andare avanti elencando la produzione di humus, l’equilibrio ecologico, il riparo e il cibo per la fauna selvatica e tanto altro ancora. Ma come si può pretendere che queste cose importino a chi non si preoccupa dell’avvenire dei propri figli?
I consumi aumentano e sono sempre più inquinanti ed ecoillogici, sempre più distruttivi. Commesse ed operai risparmiano per andare in crociera, architetti e medici mettono via i soldi per comprarsi il panfilo (detto elegantemente “barca”), che poi una bella tempesta “estrema”, che non sarà più estrema, triturerà contro la banchina del porto.
Gli apericena sono tanto di moda e così carini, con quelle tonnellate di piatti e posate e bicchieri di plastica usa e getta che comportano (e che sviluppano l’economia); così come è di moda mangiare all’aperto d’inverno nei ristoranti che scaldano il cielo con le loro stufe elettriche o a gas da “aria aperta” (viva il consumo energetico); tanto di moda è anche correre con grosse moto sulle strade il più tortuose possibili, un vero sport di massa che sicuramente sviluppa il PIL con consumo di moto, benzina e, ultimo ma non in ordine di importanza, di bare e uffici funebri. E tutti camminano con lo sguardo incollato allo smartphone dritti verso il precipizio che non vedono. Ma vedono la pubblicità che a velocità supersonica colpisce senza tregua i loro cervelli.
La distruzione delle foreste, provocata dalle ormai non più rare tempeste di vento, è l’esempio lampante di come l’aumento dell’effetto serra, a un certo punto, cominci a creare fenomeni che rischiano di alimentarlo ulteriormente.
Cosa aspettiamo ancora a svegliarci dal sogno ingannevole, dal torpore colpevole, dalla colpevole ignoranza in cui viviamo immersi, a decidere di cambiare senza indugi la rotta. Cambiare consumi, stili di vita, passare dall’incoscienza alla coscienza.
A meno che non pensiamo che i panfili siano più importanti dell’aria che respiriamo.