di
Elisa Magrì
05-04-2011
Lo scorso 2 Aprile Don Luigi Ciotti, fondatore dell'associazione Libera per la lotta alle mafie, ha commemorato la figura di Renata Fonte, uccisa dalla mafia salentina nel 1984 per essersi opposta ad un progetto di speculazione edilizia nell'area di Porto Selvaggio. Una donna 'giusta', come lo sono oggi i familiari delle vittime e gli attivisti che chiedono allo Stato il riconoscimento giuridico e la promozione degli strumenti adeguati per contrastare la criminalità organizzata.
Dopo aver celebrato lo scorso 21 Marzo in Basilicata, a Potenza, la XVI giornata della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime delle mafie, Don Luigi Ciotti, fondatore dell'associazione Libera, è in visita nei luoghi che hanno visto 'uomini giusti' perdere la vita per le loro scelte coraggiose.
Lo scorso 2 Aprile, nel Salento, Don Ciotti ha ricordato la memoria di Renata Fonte, assessore alla Cultura e alla Pubblica istruzione di Nardò (Le), uccisa a 33 anni la sera del 31 Marzo 1984 per essersi opposta ad un progetto di speculazione edilizia nella splendida area di Porto Selvaggio, oggi parco naturale grazie all'apposita legge di tutela ambientale che Renata Fonte riuscì a far emanare dalla Regione.
“È stata una donna giusta”, ha ricordato Don Ciotti, precisando che c'è differenza fra eroi e giusti: “I familiari delle vittime di mafia non vogliono più sentire parlare delle loro persone care come eroi o come vittime. Io credo che il miglior modo per ricordare è questo impegno della quotidianità fatta di passione e di coraggio. Se oggi Porto Selvaggio è rimasto selvaggio e lo possiamo vivere in tutta la sua forza, intensità e bellezza lo si deve a Renata Fonte, alla sua passione, al suo impegno politico.
Il miglior modo di fare memoria di chi non c’è più è proprio quello di impegnarsi, di fare la nostra parte, di sentirci corresponsabili del cambiamento. Il cambiamento che sogniamo ha bisogno del contributo di ciascuno di noi, quindi chiediamo allo Stato, alle istituzioni che facciano la loro parte, ma noi facciamo la nostra parte, anche nelle piccole cose”.
Non occorre scomodare Brecht per rammentare che “felice è il paese che non ha bisogno di eroi” e che l'esemplarità si perpetua nel tempo a patto che vi sia sempre chi la incarni in determinati atteggiamenti. “Ricordare le vittime di mafia vuol dire non dimenticare che quei proiettili li dobbiamo sentire un po’ nella nostra carne, se no si cade nella retorica, nelle passerelle”, ha dichiarato Don Ciotti.
Due anni fa la targa che intitolava il parco naturale di Porto Selvaggio alla memoria di Renata Fonte fu divelta da ignoti pochi giorni dopo la sua collocazione, ma le figlie, Sabrina e Viviana Matrangola, hanno provveduto a rimetterla al suo posto e ad aggiungere una stele. L'anno scorso, invece, hanno scritto una lettera di indignazione per il conferimento del premio Renata Fonte al ministro Mara Carfagna, un'onorificenza per la quale Sabrina e Viviana non sono mai coinvolte e che esse giudicano portata avanti all'insegna del malcostume.
Non solo sdegno, dunque, ma soprattutto determinazione e costanza. Come quelle di Lucio Musolino, giornalista di Calabria Ora, licenziato dopo aver ricevuto intimidazioni mafiose per quanto scriveva sui rapporti fra politici e mafiosi (ma il suo ricorso è stato accolto ed oggi è reintegrato). O come la testardaggine di Don Marcello Cozzi, responsabile dell'associazione Libera in Basilicata, oggetto di intimidazioni criminali un po' di tempo fa dopo la pubblicazione del libro Quando la mafia non esiste, in cui ripercorre le tappe della mafia lucana, dalle prime infiltrazioni all'arrivo della 'ndrangheta, fra appalti truccati e colletti bianchi.
Serve un'etica della responsabilità, che avvicini tutti, ma che sia anche giuridicamente riconosciuta. Per questo motivo, dopo la giornata di Potenza, i familiari delle vittime hanno elaborato un manifesto da esibire alle istituzioni: invitano, anzitutto, gli esponenti del governo a non lasciarli soli e 'disarmati', a dare un aiuto concreto iniziando dal superamento delle differenze di trattamento fra le vittime della criminalità organizzata e del terrorismo in termini soprattutto di benefici assistenziali e pensionistici, mai ancora riconosciuti ai figli e ai congiunti delle vittime per mafia.
La legge finanziaria del 2006 impegnava il Governo a portare a termine il processo di graduale parificazione per porre fine ad ogni forma di disparità e discriminazione tra quanti sono stati colpiti dalla criminalità organizzata. Ad oggi, però, il disinteresse politico spinge i cittadini a far valere nuovamente le loro richieste di riconoscimento giuridico: “Diritti, non benefici”, è il loro motto.
Un passo importante in questa direzione sarebbe istituire il 21 Marzo Giornata nazionale della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime delle mafie, tuttavia il Governo non sembra al momento interessato a prendere la cosa in considerazione, malgrado la proposta di legge sia stata presentata da più di un anno, ma è bloccata dalla pregiudiziale fatta valere sulla data del 21 Marzo.
La trascuratezza politica lascia percepire un'ostilità trasversale ad istituire giornate della memoria che portino in primo piano le scelte personali di impegno che stanno dietro a queste commemorazioni. Infatti non è di sola commemorazione che si tratta, ma di riconoscimenti formali e giuridici che si facciano veicolo di un sentire comune, quello per cui ci si ritrova cittadini di un tessuto sano, che lotta contro le infiltrazioni mafiose. Questo perché, come ha dichiarato Marcello Cozzi, “i morti di mafia sono di tutti”, anche quando cadono in regioni, come la Basilicata o la Puglia, che fanno poco rumore.
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