di
Marco Cedolin
22-10-2010
La manifestazione dello scorso 9 ottobre ha dimostrato come la quasi totalità della popolazione locale, amministratori inclusi, è pronta a mobilitarsi contro l'alta velocità in Val di Susa. Il 'no' a qualsiasi nuova infrastruttura ferroviaria ribadito da cinquantamila persone, di fatto, chiude ogni prospettiva di successo per 'la banda del Tav'.
In Val di Susa durante l'ultima settimana, che ha fatto seguito alla grande manifestazione del 9 ottobre con corteo da Vaie a S. Ambrogio, si respira per molti versi un'aria di vittoria.
Il velo mediatico omertoso calato a nascondere all'opinione pubblica il corteo. La rabbiosa reazione della politica sbavante di rabbia ad iniziare dai mestieranti del PD. La campagna di stampa denigratoria messa in scena dai giornali nel tentativo di screditare i contestatori valsusini. I fantasiosi 'aggiustamenti' del progetto promessi da un Virano con lo sguardo sempre più allucinato.
I filmati stile cartoon, infarciti di dati falsi e costruiti con lo scopo d'illudere i cittadini raccontando loro che bucare le montagne, lasciare i paesi senza acqua, estrarre tonnellate di smarino contenente amianto, mettere a repentaglio centinaia di abitazioni, creare voragini nel debito pubblico, il tutto senza che esista una sola ragione per farlo, costituirebbe una pratica virtuosa ed ecologica, nonché economicamente conveniente.
Le pesanti minacce legali nei confronti degli esponenti più in vista del movimento. I maldestri tentativi di forzare la mano al governo, per ottenere finanziamenti (che non esistono) e bruciare le tappe dell'iter politico e burocratico del progetto.
Tutta, ma proprio tutta questa serie di azioni schizofreniche al limite dell'autolesionismo, molto somigliano al gesto disperato di una belva ferita che colpisce alla cieca, ben comprendendo di ritrovarsi ormai in un angolo dal quale non uscirà mai più...
La manifestazione dello scorso 9 ottobre ha infatti dimostrato l'assoluto fallimento dei cinque anni di strategia Virano. Anni che sono sicuramente serviti a rimpinguare il conto in banca dell'architetto, ma non hanno in tutta evidenza prodotto risultati in termini di condivisione nei confronti di un'opera che in Valle di Susa quasi nessuno, amministratori compresi, vuole.
Il 'no' a qualsiasi nuova infrastruttura ferroviaria, ribadito da cinquantamila persone (la grande maggioranza delle quali abitanti di una valle che conta circa 60000 residenti, neonati e anziani immobilizzati compresi) ha di fatto chiuso ogni prospettiva di successo per la banda del TAV.
La congrega politico/prenditoriale che da decenni sponsorizza l'opera potrà infatti censurare (come ha fatto) l'avvenimento e fingersi 'analfabeta' ed incapace di leggere il significato dell'accaduto, ma la realtà continua a rimanere una sola e prima o poi sarà giocoforza costretta a prenderne coscienza.
In Val di Susa la stragrande maggioranza dei cittadini (e di conseguenza dei loro amministratori locali) il TAV non lo vuole né ora né mai ed è disposta a scendere in strada per bloccare qualunque cantiere sia funzionale a dare la stura alla costruzione dell'opera.
Di fronte a questa evidenza, chiara anche ad un bambino, si può forse invocare l'invio dell'esercito così come fa l'esponente del PD Stefano Esposito. Si può auspicare la militarizzazione per decenni dell'intero territorio. Ventilare la deportazione in massa di decine di migliaia di cittadini contestatori. Mandare all'ospedale a bastonate ogni cittadino che si oppone, magari iniziando dalle donne e dagli anziani. Perfino mettere in galera i padri e poi i figli e poi le madri, arrivando a costruire una nuova 'Gaza' in casa nostra.
Oppure ammettere, di fronte all'evidenza dei numeri, di avere perso.
L'alta velocità in Val di Susa è stata bocciata definitivamente e senza appelli.
È giunta l'ora che i camerieri della politica e della stampa trovino il coraggio di dirlo.
Prima che sia troppo tardi e si corra il rischio di condurre cittadini e forze dell'ordine ad un confronto tanto pericoloso quanto privo di senso, di cui essi soli sarebbero gli unici responsabili.
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