di
Simone Perotti
08-04-2011
"Siamo diventati inetti, cioè inadatti a fare. Ignoranti realizzativi, analfabeti operativi. Dunque consumisti". Eppure, la gran parte delle cose che servono può essere costruita, aggiustata, riciclata, modificata, ottenendo il duplice obiettivo di fare ciò che siamo nati per fare e di risparmiare.
L’altro giorno ricevo a casa il depliant di un grande magazzino. In copertina c’è una sdraio in teak, 90 euro. Prendo la macchina e corro lì, cerco, chiedo. Una signorina mi dice che la sdraio non c’è. Non quel modello, almeno. Ce n’è un altro che costa 240 euro.
Torno a casa nero di rabbia. Ma come ho fatto a crederci?! Era un’offerta 'civetta', utile proprio a portare nel punto vendita qualche allocco come me. Vuoi non tornare a casa, comunque, con qualcosa di bello e buono, ormai che sei lì? Guardo sul sedile accanto al mio. In effetti ho comprato due lampadine. Allora parcheggio, mi catapulto nella mia officina, prendo ferri e legni e mi metto al lavoro. Quattro ore dopo sono sdraiato sulla mia sdraio, che non sarà di teak ma è graziosa e comoda. La mia rabbia si placa.
Noi siamo corpo e mente, che è come dire progettisti e realizzatori, ingegneri e carpentieri. Non lo dico io, siamo stati programmati così. L’Homo Faber ha usufruito del suo intelletto e della sua capacità realizzativa per arrivare fino ad oggi. Anzi, fino a ieri. Da qualche tempo la post-modernità ha cambiato i pesi.
Fino a qualche decennio fa era normale aggiustare quel che si rompeva. Era normale costruire, conservare oggetti che, alla bisogna, sarebbero diventati altro. Riciclare. Farsi venire idee e realizzarle.
Non così oggi, dove ciò che si rompe si butta, dove non è neppure prevista l’ipotesi di costruire gli oggetti che ci servono e dove, per conseguenza, siamo diventati inetti, cioè inadatti a fare. Ignoranti realizzativi, analfabeti operativi. Dunque consumisti.
Un giorno ho visto una lampada nell’immondizia, a Milano, via Legnano 28. Ho immediatamente pensato: “Si è staccato un filo e l’hanno buttata”. Detto fatto. Apro la spina e vedo il filo penzolante. È bastato riattaccarlo, tra i due e i quattro minuti di lavoro, e la lampada ha ripreso a funzionare. È una bella lampada, sapete quelle con le molle, snodate, da architetto. Ora fa bella mostra di sé nella mia scala.
Discutendo della follia del Governo che ha tolto gli incentivi sulle fonti rinnovabili, qualche settimana fa mi sono accorto che mi stavo irritando. Nei giorni seguenti mi sono trovato spesso a ripensarci su. Alla fine ho avuto un’idea: metto un pannello solare da 70 euro e lo collego a una batteria da barca che ho già, una da 100 ampere. A quella batteria collego le tre o quattro luci che uso più spesso, con lampade a led. Grande risparmio e minor consumo di energia fossile. Alla faccia di leggi e incentivi. Ma che si fottessero, ignoranti che non sono altro.
Se prendete un computer e gli impedite con qualche stratagemma di fare alcune operazioni a cui è abituato, di cui si serve, per le quali è stato programmato, quello prova e riprova, ma alla fine si arrende. Il suo malfunzionamento diventa cronico, fino a che si rompe, o comunque non esercita più la sua funzione egregiamente. Si ammala di stress. Lo stesso vale per noi.
Siamo stati programmati per usare mani, braccia, gambe, corpo nel suo complesso. Non solo. Siamo stati organizzati per fare in modo che questi strumenti, queste attrezzature fisiche, di grande precisione, siano il terminale del pensiero, della mente che ha idee e che progetta come realizzarle. C’è dunque sia un imprimatur originale del nostro microprocessore, sia un legame necessario e sufficiente tra mente e mani. In entrambi i casi, tuttavia, noi disattendiamo questa impostazione, ne alieniamo una parte.
Ecco una delle origini della nostra angoscia, dello sconcerto che ci prende improvvisamente, dell’ansia, del tedio, della depressione, delle malattie psicosomatiche. Il filosofo americano Sennet sostiene che questa sia LA causa principale. E decreta: “Un cacciavite ci salverà”, tentando così di indicare un percorso terapeutico e una via d’emancipazione.
Certo, volenti o nolenti, dobbiamo renderci conto che come abbiamo da tempo compreso il valore e il ruolo terapeutico dell’attività fisica (che svolgiamo ad hoc, cioè in palestra, dato che la nostra vita è organizzata in ogni modo per evitarci sforzi e movimenti), allo stesso modo dobbiamo rivoluzionare una parte della nostra quotidianità per tornare ad essere falegnami, fabbri, zappatori, aggiustatori, costruttori, giardinieri etc. Questo eravamo, anche, e questo dobbiamo tornare (anche) ad essere. Pena il fatto di continuare sulla via dell’eliminazione di una parte di noi, dunque dell’alienazione di una delle nostre propensioni naturali.
Provate a chiedere a un gatto di non cacciare un topo. Provate a insegnare all’acqua di non scorrere sui piani inclinati. Provate a costringere il mare all’immobilità. Sarà uno sforzo vano. Ecco perché la natura non si sente mai alienata, se non quando l’uomo la aliena.
La gran parte delle cose che servono può dunque essere costruita, aggiustata, riciclata, modificata, ottenendo il duplice obiettivo di fare ciò che siamo nati per fare (dunque esprimendoci, realizzandoci come uomini d’ingegno e tekné, due componenti sostanziali del divertimento e della ricerca di riconoscimento con l’opera che sta alla base dell’equilibrio) e di risparmiare.
In un’epoca di consumismo sfrenato è sufficientemente rivoluzionario smettere di gettare via, smettere di comprare sempre e solo, cioè mescolare le nostre attività (ancora una volta) tra acquisto e realizzazione in proprio. Fare da sé quel che ci serve (un soppalco, un mobile, una sdraio, lavorando la ceramica, il legno, l’alluminio, la plastica…) è divertimento gratuito, efficace realizzazione di sé, orgoglio, ma è anche risparmio.
Tra comprare qualcosa fatto in modo industriale e costruire da sé lo stesso oggetto, magari per mesi, nel silenzio trepidante della nostra creatività, c’è oggi, mediamente, un delta del 60%. Un buon risparmio. Se lo applicate a un certo numero di questioni domestiche, può incidere per il 5-10% sul budget complessivo. Se lo applicate a una barca, alla sua manutenzione, alle modifiche necessarie per gestirla, il risparmio può crescere ancora.
Inutile dire che i nostri oggetti saranno 'chilometro zero', dunque non avranno richiesto la combustione di gasolio in nave e su gomma per essere trasportati, non avranno necessitato materiali plastici d’imballaggio, dunque inquinamento, caos, rumore. Inutile dire che per manutenere la nostra automobile, o la nostra barchetta, o casa nostra, avremo prima dovuto conoscerla, infilarci nei suoi pertugi, rompere il velo di Maya che ci separa da essa. Sembra cosa banale, ma non lo è affatto. Per conoscere qualcosa bisogna darsi da fare, svelarne i segreti, smontare e guardare dietro l’apparenza, saper toccare con mano le giuste leve in caso di avaria. Risparmio più esperienza, un altro ottimo scambio.
Il tutto, per finire, condito dall’abbattimento della noia, l’estinzione dell’ansia (quando si agisce si è presi, concentrati, si opera, il che distrae dall’ansia, la esorcizza, la annulla), il recupero del valore dell’esperienza, l’ascolto delle persone più anziane, che sanno fare, e l’incontro con altri esseri con cui condividiamo piaceri e attitudini. Ogni volta che incontro qualcuno che sa fare qualcosa lo interrogo, lo ascolto, cerco di memorizzare, di diventare bravo come lui.
Come dire: molti risultati mentre si risparmia. Una buona cura contro quello che siamo diventati e non vogliamo essere più.
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