La felciata, il formaggio di capra del Parco del Pollino e il pecorino del Parco dell’Alta Murgia, il marrone del Parco del Gran Sasso e l’olio del Parco delle Cinque Terre; il miele del Parco della Maremma e la pecora alpagota del Parco delle Dolomiti Bellunesi. Percorrendo la Penisola da nord a sud, di parco in parco, l’elenco potrebbe continuare ancora a lungo. Sono alcuni dei tanti prodotti tipici provenienti dai parchi italiani, frutto di tradizioni e saperi antichi, ma anche di innovazione e ricerca, perché gli studi più recenti dicono che è proprio grazie alla produzione di queste varietà agricole che tanti ecosistemi, che altrimenti sarebbero andati perduti, sono ancora in buono stato di conservazione o del tutto recuperati. Una prospettiva che non è scontata e che vede agricoltura e parchi, alleati in uno scambio di mutuo soccorso.
Di recente nel Parco Nazionale dell’Alta Murgia è stato presentato il marchio del parco stesso, che potrebbe essere lo spunto per procedere in maniera organica e sinergica in questa direzione. “L’idea - ha spiegato Cesare Veronico, presidente del Parco dell’Alta Murgia - è di proporre un marchio nazionale per i prodotti che provengono dai parchi e dalle aree protette d'Italia. Una sorta di brand positivo, immediatamente riconoscibile, per mettere in rete le tante produzioni tipiche dei parchi italiani, ma anche le esperienze positive e le buone pratiche. Si tratterebbe quindi di uno straordinario veicolo per promuovere, nel mercato italiano ed estero, alcune delle produzioni uniche dell’agricoltura made in Italy, offrendo contemporaneamente l’opportunità alle aziende che vivono e producono nelle aree protette, di valorizzarsi, con conseguenze positive anche sulle attività tradizionali di tutela e conservazione della natura tipiche dei Parchi. Per questo motivo è determinante il ruolo di Federparchi per l'attribuzione di questo marchio”.
Il ruolo positivo che le produzioni tipiche possono svolgere nel mantenere e tutelare la biodiversità presente nelle aree protette va evidenziato perché nella maggior parte dei casi, le produzioni tipiche sono endemismi e ecotipi, frutto di una sinergica attività di selezione esercitata dall’uomo e dall’ambiente, in armonia con il sistema naturale dei parchi nazionali in cui sono coltivati e allevati. Allo stesso tempo, proprio perché risultato di una secolare selezione, presentano una particolare resistenza alle malattie e capacità di sopravvivere negli ambienti di allevamento e coltivazione senza dover necessitare di input esterni, come il ricorso a prodotti chimici. Un’indagine condotta negli anni scorsi da Federparchi evidenzia che le attività agro-silvo-pastorali legate ai prodotti tipici, generano sull’ambiente pressioni ben diverse rispetto a quelle caratteristiche di un’agricoltura intensiva. Il loro sistema di produzione si basa, nella maggior parte dei casi su metodi e tecniche più compatibili con l’ambiente e che recuperano le tradizionali tecniche di produzione, come: le rotazioni, il riutilizzo dei residui colturali, il letame, leguminose, sovesci, residui organici, il controllo biologico per mantenere la fertilità del suolo, fornire elementi nutritivi e controllare insetti ed erbe infestanti e altri organismi dannosi. Il prodotto "tipico" racchiude in sé ciò che viene dall'ambiente di produzione, dal tipo genetico animale e dalla tradizionale tecnica di lavorazione. Attraverso la loro promozione, quindi, vengono valorizzate: le componenti biotiche locali, il mantenimento di habitat di confine e naturali, il mantenimento e la gestione del paesaggio, la valorizzazione del patrimonio genetico locale, la salvaguardia e mantenimento dell’assetto idrogeologico, la tutela e il presidio del territorio da parte delle popolazioni, la valorizzazione del patrimonio storico culturale.
“Nei parchi italiani – ha detto Antonio Nicoletti, responsabile aree protette di Legambiente - operano quasi 250 mila imprese agricole. Si tratta di un capitale di straordinaria importanza su cui puntare per creare lavoro qualificato e per valorizzare i territori. La visione che vede agricoltura e tutela dell’ambiente come elementi contrapposti è ormai superata. I parchi hanno dimostrato di essere dei laboratori privilegiati per sviluppare un’agricoltura che tutela gli habitat e gli ecosistemi e che anzi può diventare un traino per far conoscere e apprezzare aree del paese meno note.”