L'udienza del 7 ottobre scorso ha rimandato, per la terza volta in sette mesi, il processo relativo alla Marlane Marzotto, la fabbrica tessile del cosentino al centro di una vicenda giudiziaria per il possibile nesso tra le condizioni di lavoro interne allo stabilimento e gli oltre cento casi di tumore riscontrati tra gli operai.
La Marlane era uno stabilimento tessile situato nel Comune di Praia a Mare, in provincia di Cosenza, ora dismesso, tra i cui operai sono stati riscontrati oltre 50 casi di tumore e altrettanti decessi per la stessa patologia, l'ultimo dei quali proprio nei giorni scorsi.
Dopo 15 anni di indagini e 3 archiviazioni, l'impegno del sindacato Slai Cobas e del giornalista ambientalista Francesco Cirillo - oltre che del procuratore capo di Paola, Bruno Giordano, e del sostituto, Antonella Lauri - ha ottenuto di portare alla sbarra 13 imputati, tra dirigenti ed ex responsabili dello stabilimento, per verificare le eventuali connessioni tra gestione della fabbrica e condizioni di salute dei lavoratori.
Secondo le testimonianze raccolte nel corso delle indagini, infatti, oltre a respirare l'amianto sprigionato dai freni dei telai senza indossare protezioni, gli operai avrebbero lavorato in spazi comuni ove erano presenti anche vasche aperte contenenti i capi da colorare. I coloranti rilasciavano ammine aromatiche altamente pericolose per la salute che si sprigionavano nell'aria intasandola con una vera e propria nebbia.
Alle dichiarazioni rese dagli operai si è aggiunta nel 2008 una perizia tecnica che ha rilevato all'interno della fabbrica un tasso di incidenza delle patologie tumorali del 4%, contro un dato regionale pari allo 0,003%. I 13 imputati sono, inoltre, accusati di disastro ambientale, a causa dei rifiuti tossici e degli scarti di lavorazione rinvenuti dai carabinieri del NOE (Nucleo Operativo Ecologico) nell'area circostante la fabbrica.
Per questi motivi la Procura ha chiesto di effettuare uno screening sulla popolazione residente nella zona in cui è situata la fabbrica, ad oggi disattesa.
I legali delle vittime e delle loro famiglie sono intenzionati a chiedere la trasformazione del capo di imputazione di omicidio colposo in omicidio volontario con dolo eventuale, in quanto ritengono che vi sia stata consapevolezza dei rischi assunti dagli ex operai all'interno dello stabilimento.
Una richiesta in sospeso ormai da mesi, dopo che il processo ha subìto tre rinvii, nelle udienze del 19 aprile e del 24 giugno 2011, e infine il 7 ottobre scorso. Nell'ultima occasione, i giudici del tribunale di Paola hanno infatti accettato la richiesta del legale di uno degli imputati di rimandare il processo per legittimo impedimento, in quanto impegnato in veste di difensore unico in un altro processo a Roma.
Una decisione non condivisa dai legali di parte civile, secondo cui “si poteva stralciare la posizione dell'imputato assistito dall'avvocato assente e proseguire. Invece si ha l'impressione che questo processo non si voglia fare”.
Il coordinamento nazionale dello Slai Cobas ha denunciato l'ostruzionismo giudiziario dei legali degli imputati, che starebbero cercando di allungare indefinitamente i tempi processuali per ottenere la prescrizione dei reati, e ha annunciato una serie di iniziative nei prossimi giorni a supporto dell'azione penale. In attesa della prossima udienza, fissata per il 28 ottobre, in cui si confida, ma non troppo, che abbia inizio la fase dibattimentale.
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