di
Francesco Bevilacqua
04-02-2011
In questi giorni National Geographic ha proposto un documentario che racconta cosa succederebbe se il petrolio si esaurisse improvvisamente. Il filmato è interessante non solo perché spiega quanto elevata sia la nostra dipendenza da questo combustibile, ma anche perché evidenzia ancora una volta la nostra impreparazione ad affrontare l’emergenza energetica.
Sul sito di National Geographic è disponibile il filmato del trailer di un documentario realizzato dall’emittente americana e intitolato L’alba del giorno dopo – Il mondo senza petrolio, in cui gli autori provano a immaginare cosa succederebbe se da un giorno all’altro le riserve di greggio americane e mondiali si esaurissero.
La prima cosa che mi ha colpito aprendo la pagina web su cui sono disponibili i filmati, è stata l’area riservata ai commenti che i frequentatori del sito possono inserire; ve n’erano solo due ed entrambi, sintomaticamente, iniziavano con la stessa parola: ridicolo.
Non ho visto il documentario per intero e non sono in grado di dare un giudizio completo su di esso; tuttavia, dai circa dieci minuti di trailer che l’emittente ha messo a disposizione sul suo sito, si intuisce l’intenzione degli autori di mettere in evidenza soprattutto le dipendenze nascoste dal petrolio, ovvero di fare capire quanto sia stretto, a dispetto di quanto ci immaginiamo, il nostro legame con questo combustibile fossile, che non si limita solo ai classici settori dei carburanti o dell’energia – che comunque già da soli condizionano fortemente nostra la vita –, ma si estende a innumerevoli altri campi. Al contempo, è riscontrabile una piccola 'licenza poetica' che contribuisce a rendere il carattere del documentario catastrofico e apocalittico come va di moda di questi tempi. Ciononostante, il valore del messaggio che esso ci consegna è innegabile.
Ciò che lascia davvero sconfortati è la scarsa percezione che la pubblica opinione – di cui i due navigatori che hanno lasciato il loro commento sul sito della National Geographic sono rappresentanti – ha nei confronti del problema dell’esaurimento delle risorse. La parziale scusante delle fuorvianti e fantasiose ricostruzioni 'stile 2012' non è sufficiente a giustificare la grave tendenza a sottovalutare un problema che prima o poi si porrà.
Secondo alcuni studiosi infatti, siamo proprio nel periodo storico in cui si raggiungerà – per alcuni addirittura è già stato raggiunto – l’ormai famoso picco del petrolio, la sommità della curva che rappresenta graficamente l’andamento dell’estrazione del greggio nel mondo. Il suo disegno appare simile a quello di una campana: nella parte sinistra è in ascesa, prima leggera, poi sempre più forte; avvicinandosi alla sommità comincia a rallentare finché, raggiunto il picco, inizia la diminuzione, che ha un andamento speculare rispetto a quello della prima parte del grafico.
È tuttavia fondamentale sottolineare una cosa: il picco del petrolio – o picco di Hubbert, se vogliamo utilizzare il nome del suo primo teorizzatore – non rappresenta la reale ed effettiva disponibilità di petrolio, bensì l’andamento dell’attività estrattiva. “Che differenza c’è?”, direte voi. Fondamentale. Estrazione e lavorazione del petrolio dipendono da molte variabili e la disponibilità della materia prima non è che una di queste. Le altre sono, per esempio, il tempo e i costi che l’attività comporta. Potrà succedere quindi che il petrolio sia ancora disponibile, ma che i giacimenti si trovino a una tale profondità che estrarlo e raffinarlo sarà talmente costoso e complesso da diventare gradualmente sempre meno conveniente e da indurre così le compagnie a rinunciare all’affare.
Questo passaggio è fondamentale se si ragiona in un’ottica di transizione, ovvero di trasformazione della nostra società da sistema basato sui combustibili fossili a sistema basato su fonti energetiche rinnovabili e pulite. È infatti innegabile che oggi il grado di sviluppo e diffusione delle energie solare, eolica, idroelettrica e altre simili è troppo basso e non sarebbe sufficiente nemmeno in caso di drastica riduzione dei consumi.
Tuttavia, è possibile progettare una conversione energetica che nel giro di alcuni anni o alcuni decenni possa permetterci di utilizzare le risorse di combustibili fossili che per ora (ma per quanto ancora?) sono disponibili per fornire energia durante il periodo in cui vengono sviluppate le fonti succitate, per arrivare a una graduale sostituzione che, compiutasi, vedrà il petrolio e tutti gli altri idrocarburi scomparire in favore di aria, acqua e sole.
Per fare ciò è però necessario un cambiamento alla radice della nostra mentalità: oggi si parte col presupposto di scoprire nuovi giacimenti, incrementare il livello delle estrazioni dei combustibili fossili, addirittura far crescere i consumi in una spirale che sta conducendo a un fuori giri che – per usare una metafora automobilistica – porterà inevitabilmente a grippare il motore. Se però si ragiona diversamente, il tempo e le condizioni per mettere in pratica una transizione quasi indolore da un tipo di energia – fossile e non rinnovabile – a un altro – pulita e rinnovabile – ci sono tutte.
È dunque questo il messaggio più importante che mi sento di trarre dal 'ridicolo' documentario proposto da National Geographic: proseguendo con questo approccio arriveremo a un momento in cui il petrolio non ci sarà più; la rottura non sarà forse così tragica come immaginano enfaticamente gli autori, ma comporterà certamente un radicale cambiamento delle nostre abitudini che, in quanto forzato e privo di alternative, sarà certamente traumatico. Viceversa, se useremo 'bene' il petrolio che ancora ci rimane, potremo giungere allo stesso punto in modo più graduale, pianificato e innocuo.
Rimane tuttavia da fare una precisazione che va oltre l’argomento principale di cui si parla nel documentario: grazie alla sua eccezionale resa energetica, solo il petrolio consente – pur con tutte le controindicazioni del caso – di condurre uno stile di vita così votato all’eccesso, dispendioso dal punto di vista energetico e insostenibile dal punto di vista ambientale come quello che conduciamo oggi.
In futuro, qualunque sia la natura delle nuove fonti energetiche, la priorità sarà la riduzione dei consumi. Ma non si tratterà di un annichilimento della nostra esistenza, di una retrocessione a uno stato di arretratezza, bensì di un ritorno a una condizione di normalità, di equilibrio e di sostenibilità.
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