L'inquinamento atmosferico annerisce ed erode i monumenti di grandi città come Roma. Per evitare il deterioramento delle bellezze architettoniche sono necessari corretti piani di manutenzione ordinaria e azioni di prevenzione al fine di consentire anche una riduzione dei costi degli interventi straordinari ormai consueti.
Sono lontani i tempi in cui il Colosseo risplendeva di bianco travertino, i marmi e gli stucchi delle facciate delle chiese barocche brillavano al sole e le decine di statue in città mostravano il loro volto candido ai passanti nel centro storico di Roma. Statue, palazzi, chiese e fontane della città ci appaiono ormai neri come il carbòn.
Certo, adesso Fontana di Trevi, quella dei Fiumi a Piazza Navona, il vecchio Pasquino e tanti loro compagni di sventure sono tornati a risplendere, ma solo dopo costosi e faticosi restauri. Tuttavia, non passano pochi anni dalle operazioni di recupero che già il loro aspetto torna a deteriorarsi, insieme alle loro condizioni di salute.
L’annerimento delle superfici lapidee, chiamato in gergo 'crosta', è solo l’aspetto macroscopico del disastro che si annida al loro interno. Quel che può apparire solo un danno estetico, è indice in realtà di uno stato di malessere del monumento che può determinare fessurazioni, il distacco di intere parti e pericolosi crolli.
A differenza dei sistemi biologici, infatti, i manufatti lapidei non hanno alcun meccanismo di autoprotezione, rigenerazione o smaltimento rispetto a smog e sostanze inquinanti (ossidi di azoto, polveri sottili, ozono), e dunque, paradossalmente, sono ancora più vulnerabili di noi esseri umani.
Il devastante effetto dell’inquinamento atmosferico, inoltre, non si limita ad annerire, ma erode letteralmente le superfici. Studi recentissimi hanno calcolato l’erosione media annua dei monumenti di Roma ed è emerso che, nel centro storico, questa è ben al di sotto dell'acceptable deterioration rate (valore accettabile di erosione) pari a una perdita di 8 micron all’anno, secondo quanto stabilito dalla comunità scientifica con sede europea.
Lo studio del fenomeno, finalizzato principalmente a suggerire idonee azioni di prevenzione, è assai complesso in quanto i vari agenti di degrado non agiscono mai separatamente ma si combinano tra loro e con clima ed agenti atmosferici.
Inoltre le tipologie di degrado sono le più svariate, in dipendenza dalla natura dei materiali da cui è costituito ciascun monumento. Se le opere in calcare, come la maggior parte delle chiese e dei beni archeologici, sono più soggette ad erosione, annerimento, processi di gelo e disgelo, cristallizzazione e dissoluzione dei sali e biodeterioramento, quelli bronzei, ad esempio le varie statue equestri, sono maggiormente soggetti a corrosione.
Più il monumento giace in uno stato di conservazione precario, più esso risulta vulnerabile. Per questo, sottolineano da anni le eccellenze del restauro italiano, occorre non solo correre ai ripari quando è troppo tardi ma anche prevedere dei corretti piani di manutenzione ordinaria, che consentirebbero altresì di ridurre i costi degli interventi straordinari ormai consueti.
Per dirla con la saggezza delle casalinghe: meglio una spolverata ogni giorno, che chiamare un’intera ditta di pulizie quando la situazione è ormai ingestibile. Politica del buon senso, dunque, tanto lungimirante e illuminata quanto difficile da immaginare in questo Paese dove, allo stato attuale, l’impegno di difendere la cultura somiglia tanto a un sassolino nella scarpa dei governanti.