Altro si prepara: dalla morte di Gheddafi a quella di Don Enzo Mazzi

Dalla morte di Gheddafi a quella di don Enzo Mazzi, dalla manifestazione del 15 ottobre a Roma a quella di ieri in Val di Susa. Le riflessioni di Carlo Carlucci sugli ultimi fatti di cronaca e su "un'Italia nuova che sta crescendo".

Altro si prepara: dalla morte di Gheddafi a quella di Don Enzo Mazzi
Nicaragua della Rivoluzione Sandinista, una domenica al mare di Pochomil sul Pacifico. Le palme, qualche ragazzino seminudo a cavallo, qua e là sulla spiaggia bianchissima dei ristorantini col tetto sfrangiato di palme. Per caso capito in un piccolo assembramento e mi accorgo dei calci di revolver che spuntano dagli short. Deve essere la scorta in tenuta da spiaggia di qualche big (era il vicepresidente Sergio Ramirez), mi allontano senza troppo dare nell’occhio e mi butto nelle acque del Pacifico. Con qualche rapida bracciata mi allontano, ma non troppo per via degli squali, una fissa, poi mi rilasso facendo il morto: “Un po’ freddina l’acqua vero?”. La domanda mi viene rivolta in inglese, mi giro verso lo sconosciuto e scopro due larghe spalle tipo giocatore di pallanuoto. Gli spiego che non sono uno yankee, ma un italiano e che parlo spagnolo. Già che c’ero mi potrebbe spiegare lui di che paese è, visto che nemmeno lui è un nicaraguense? Il ‘pallanuotista’ tergiversa un po’ e poi mi conferma di essere libico. Così capisco tutto, i revolver infilati negli short e così via. Gheddafi che aveva sostenuto generosamente la rivoluzione sandinista (come tante altre rivoluzioni) ora cooperava con Ortega assumendosi tra le altre cose la seguridad del estado. E il deserto libico aveva visto oltre alle BR, ai palestinesi di Arafat anche gli allenamenti alla guerriglia di molti nicaraguensi. Uno dei tanti sogni della mania di grandezza di Gheddafi: sovvertire l’ordine (capitalista) del mondo. L’avevamo già scritto, che la sua lunga e ferrea permanenza al potere si doveva al fatto di essere riuscito a costringere le bellicose tribù a convivere, nello stesso tempo che, grazie anche al petrolio, sovrintendeva allo sviluppo e alla modernizzazione del paese. Poi naturalmente c’era stato un di più, il credere di poter diventare il leader panafricano e il leader delle rivoluzioni che agitavano il mondo. Poi erano subentrati i vari figli spendaccioni, le amicizie degli ultimissimi tempi coi vari B, Sarkozy, Blair che di lì a poco gli avrebbero voltato le spalle. C’era da aspettarselo e così pure gli avvertimenti che gli venivano dati con la defenestrazione della cricca al potere in Egitto e in Tunisia e poi era iniziata la sollevazione popolare in Libia. Avrebbe potuto salvarsi, gli era stata a più riprese offerta da Bengasi la possibilità di andarsene senza ritorsioni, ma era troppo astuto o troppo ostinato o forse troppo legato alla sua tenda di beduino. Quando uscimmo insieme dal mare di Pochmil, io e il nerboruto e possente libico (meno male che l’avevo rassicurato in mare sennò con quelle braccia...), non potetti frenare l’insorta, naturale simpatia ‘mediterranea’. La Roma degli ultimi secoli aveva avuto più che considerevoli apporti dal nord Africa e noi italiani in Libia avevamo costituito la nostra colonia per così dire storica fin dall’'800: “Tripoli bel suol d’Italia bel suol d’amore...”, diceva quella canzone. Ma si sa, siamo diventati un popolo senza memoria, senza il senso dell’onore, del sacrificio, del rispetto. Facce furbe, scaltre e ottuse come B&B sembrano rappresentarci più che degnamente. Si vede che doveva essere così, che si doveva passare per questo vicolo cieco. Se ne è andato don Enzo Mazzi della comunità dell’Isolotto. Un altro prete scomodo. Un prete del ’68 e dintorni. Ma che è durato finché la morte se l’è portato via. Buttato fuori dalla Chiesa ha continuato a far messa fuori dalla sua chiesa e la gente è stata con lui, sempre. Ha interpretato il cristianesimo o reinterpretato in una forma legata ai tempi. Nel senso che lo apriva via via ai problemi che la società presentava, sociali, politici, internazionali. Ma non era una riduzione, tutt’altro. Era un allargamento e nello stesso tempo uno scavo in profondità. Quella messa all’aperto che culminava nella comunione con un pezzettino di pane (così negli anni settanta) priva o meglio che riduceva la liturgia a qualcosa di essenziale e privo di orpelli, quella messa dell’accoglienza, quella partecipazione della gente creavano il senso di una comunità vera, una comunità stretta, che si aiutava ed aiutava chi era in difficoltà. Il quartiere dell’Isolotto a Firenze, una periferia anonima, piano piano ha preso il volto che don Mazzi ha voluto e saputo dargli: un luogo aperto a tutti e sopratutto al mondo. Hai reso più lieve il peso della vita a quanti hanno avuto il dono di conoscerlo e per questo ora la terra che ti ricopre ti sarà lieve. Il 15 ottobre vi è stata un insolita marcia su Roma di un'Italia che a poco a poco si deve riconoscere, saggiare le sue forze, un'Italia giovane non soltanto anagraficamente, un’Italia fuori dalle collocazioni partitiche, un'Italia vera. L’Italia che si è ritrovata una settimana dopo per un altro appuntamento importante in Val di Susa, domenica scorsa. Un appuntamento non funestato da incidenti o da disordini. È un’Italia nuova che sta crescendo…

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