di
Andrea Boretti
26-10-2010
Nagoya: un gruppo di lavoro guidato da Pavan Sukhdev, consigliere speciale del programma ambientale delle Nazioni Unite, propone il lancio di un programma di valutazione economica degli ecosistemi. Solo così, spiega il gruppo di esperti, "non si metteranno a rischio le future generazioni". Ma è davvero necessario pensare la natura in denaro per salvaguardare il Pianeta?
Quanto vale la biodiversità? Quanto valgono in termini monetari la foresta amazzonica, il deserto del Sahara ed i pinguini al polo? A tentare l'assurdo calcolo è il rapporto 'Mainstreaming the Economics of Nature' presentato dal Teeb (The Economics of Ecosystems and Biodiversity)nell'ambito della conferenza sulla Biodiversità di Nagoya, un gruppo di lavoro formato da economisti e scienziati coordinati da Pavan Sukhdev, consigliere speciale del programma ambientale delle Nazioni Unite (Unep).
Secondo il Teeb il valore di tutti gli ecosistemi del pianeta sarebbe valutabile in diversi trilioni (migliaia di miliardi) di dollari. È difficile essere più precisi perché sono tantissimi i parametri da tenere in considerazione e non certo il solo valore commerciale dei terreni.
Bisognerebbe, anzitutto, valutare il peso economico dei benefici diretti ed indiretti legati ad un certo ecosistema e quindi considerare anche la capacità della risorsa naturale di influenzare la qualità della vita e i costi economici. Un esempio di questi ipotetici calcoli è l'impollinazione delle api svizzere che è stata valutata ben 213 milioni di dollari l'anno, tanto ma quasi niente se si pensa che quella delle api di tutto il pianeta è valutata economicamente almeno mille volte tanto.
Il motivo scatenante del rapporto del Teeb, dicono i ricercatori, è portare all'attenzione dei governi della terra il valore e l'importanza degli ecosistemi: "le risorse naturali sono comunque assets economici a prescindere dal fatto che essi entrino o meno in gioco nel mercato". Essi insomma generano 'ricchezza' anche se non rientrano nei tradizionali indicatori economici come il Pil.
Si stima ad esempio che gli ecosistemi e le foreste forniscano ben l’89% del valore dei servizi dei paesi poveri o in via di sviluppo. Come dire che l’economia è l’unico linguaggio universale e se vogliamo salvare la natura dobbiamo renderla comprensibile in termini economici.
Pavel Sukhdev, si spinge oltre: "Il valore dei servizi offerti dalla natura deve diventare visibile per entrare a far parte dei processi decisionali. Se non si farà nulla non si perderanno soltanto trilioni di dollari in termini di benefici presenti e futuri. Ma si impoveriranno ulteriormente i poveri e si metteranno a rischio le future generazioni"
Su quali basi Sukhdev dica tutto ciò non lo sappiamo, il rapporto ci stimola però ad una riflessione: davvero tutto deve essere economicamente valutato? Davvero se non dovessimo assegnare una cifra all'impollinazione delle api svizzere, agli alberi in Australia o agli uccelli migratori, tutti questi sarebbero a rischio e con loro noi e le future generazioni, come dice Sukhdev?
L’obiettivo dichiarato del rapporto è in questo senso condivisibile, ma strana e poco convincente è, a mio avviso, l’argomentazione di contorno. Personalmente, infatti, credo ci siano cose il cui valore è inestimabile. Credo che, ad esempio, un prato verde, dei salmoni che risalgono la corrente o i nidi di rondine cinesi e malesi non possano essere valutati e messi a confronto con le economie degli uomini a Wall Street o in Piazza Affari.
Nel momento in cui una foresta non è più solo una foresta ma è anche un trilione di dollari, allora sì che la foresta e noi con lei rischiamo qualcosa. Rischiamo di essere venduti al miglior offerente e soprattutto rischiamo di essere solo un parametro al listino di Shangai e rischiamo, infine, di diventare gusci senz'anima ma con un bel cartellino col prezzo.
Anche la razza umana è ecosistema, anche la razza umana andrebbe quindi valutata in base ai benefici, diretti e indiretti che porta al pianeta. Beh, sembra iniziata la stagione dei saldi...
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