Nasce il Sudan del Sud, uno Stato ancora tutto da costruire

Il 9 luglio si terrà la proclamazione ufficiale dell'indipendenza del Sudan del Sud, che con il referendum dedicato all'autodeterminazione si è espresso a favore della secessione. Uno dei primi ostacoli che questa giovane realtà istituzionale dovrà affrontare consiste nella delimitazione dei confini. Diverse sono, infatti, le questioni ancora aperte in merito ad una serie di dispute territoriali con la regione settentrionale del paese.

Nasce il Sudan del Sud, uno Stato ancora tutto da costruire
Di qui a pochi giorni, il 9 luglio, verrà proclamata la nascita di un nuovo Paese, il 54° Stato del continente africano. Il Sudan del Sud, infatti, si è espresso a favore della secessione dal Nord, nell'ambito del referendum sull'autodeterminazione, svoltosi a gennaio di quest'anno, in conformità all'accordo di pace CPA (Comprehensive Peace Agreement) del 2005. Quest'ultimo è stato stipulato tra il governo del Nord e le forze di liberazione del Sud, il Sudan People's Liberation Movement (SPLM), al termine della seconda guerra civile sudanese, che per più di venti anni ha infiammato questi territori, seminando morte e povertà e alimentando una continua spirale di violenza. La schiacciante vittoria del sì, riconosciuta dal governo del Nord, guidato da Omar al-Bashir, presidente sudanese dal colpo di stato dell'86, apre un nuovo scenario nel panorama politico ed economico di quella che fino ad oggi ha rappresentato, in termini di dimensioni territoriali, la più grande nazione africana. Il principale problema che si pone sin da ora, ancora prima della ufficiale indipendenza del Sudan meridionale, consiste nella effettiva capacità che questa giovane realtà istituzionale avrà di mettere in piedi un apparato politico in grado di realizzare quelle riforme necessarie al benessere di una popolazione stremata dalla guerra, dalla miseria, dalla fame. Il Sudan del Sud, come rileva la risoluzione del Parlamento Europeo sul Sudan, proposta all'inizio di giugno, costituisce una delle “aree più povere e meno sviluppate al mondo (...) con gli indicatori di istruzione tra i più bassi a livello mondiale” e dove “un bambino su dieci muore prima di compiere il primo anno di vita”. Sicuramente uno dei primi ostacoli da affrontare consiste nella delimitazione dei confini. Diverse sono, infatti, le questioni ancora aperte in merito ad una serie di dispute territoriali. In modo particolare, quella relativa all'area di Abyei, regione contesa tra il Nord e il Sud, in quanto sede di uno dei principali bacini petroliferi del Paese, quello di Muglad, e poiché zona molto fertile, in un territorio piuttosto arido, dove scorre il fiume Kiir, (Bahr al-Arab in arabo). Le sue acque sono parte del bacino del Nilo e lungo le sue rive, per moltissimo tempo, vi hanno convissuto i popoli nomadi musulmani provenienti dalle zone settentrionali e la tribù dei dinka, di fede cristiana e animista, prevalentemente dedita all'agricoltura e che costituisce il grosso della popolazione meridionale. Tuttavia, la violenta politica messa in atto da al-Bashir - su cui tra l'altro pesa un mandato di arresto della Corte Penale Internazionale per crimini di guerra, di genocidio e contro l'umanità, perpetrati nel conflitto del Darfur - ha innescato fortissime tensioni tra le varie etnie presenti nella regione di Abyei. Nessuna delle due parti in campo, infatti, né il governo di Khartoum, nel nord, né quello di Juba, a sud, sono disposti a cedere un'area così economicamente strategica, il cui controllo rappresenta un vero e proprio punto di forza nella gestione stessa delle relazioni politiche tra i contendenti. E proprio in questi giorni, le Nazioni Unite hanno decretato l'invio di un nuovo contingente nel territorio in questione. Restano, invece, ancora da definire la data e le modalità del referendum che dovrà essere indetto per consentire alla popolazione locale di scegliere se appartenere al Sudan settentrionale o a quello meridionale. Le risorse petrolifere, la loro commercializzazione e la divisione dei proventi derivanti dalla vendita dell'oro nero sui mercati internazionali rappresentano gli aspetti più caldi dei tesi rapporti tra al-Bashir e Salva Kiir, presidente del nascente Stato del Sud. Il Sudan, terzo Paese produttore di petrolio dell'Africa sub-sahariana, concentra i suoi giacimenti prevalentemente nel meridione, ma le infrastrutture necessarie al trasporto del greggio si collocano nell'area nord. Di qui la minaccia mossa da Khartoum che, dopo aver riconosciuto la volontà espressa nei risultati referendari a favore della secessione, ha però dichiarato di essere pronto a bloccare gli oleodotti che dal sud, attraverso i territori settentrionali, portano il petrolio fino a Port Sudan, nel Mar Rosso, rendendone possibile il commercio. E questo, nell'ipotesi in cui non verrà raggiunto un compromesso sulla spartizione degli introiti, nonché sulle tariffe da versare per l'utilizzo delle raffinerie nel Sudan del Nord. Una situazione, dunque, dagli equilibri estremamente delicati, dove in gioco è il futuro di un popolo, ora ufficialmente diviso, da sempre al centro di interessi politici ed economici, che vanno al di là dell'esistenza di ogni singolo individuo. A condizionare i fragili rapporti tra il Sudan del Nord e quello del Sud anche il ruolo svolto da attori internazionali, come la Cina. Quest'ultima, infatti, a partire dalla seconda metà degli anni '90, è divenuta il principale investitore nella politica petrolifera di questa nazione africana e ciò spiega la sua posizione contraria alla nascita di un nuovo stato sudanese. Pechino è il fondamentale partner economico del governo di Khartoum, come testimoniato anche dalla recente visita di Omar al-Bashir al presidente Hu Jintao, nella quale si è sottolineato lo spirito di fratellanza che unisce i due Paesi. Il vero legame poggia evidentemente su ragioni di carattere finanziario e politico. Una sorta di do ut des in virtù del quale il preponderante ruolo svolto dalla Cina nella gestione e nello sfruttamento dei giacimenti sudanesi, attraverso copiosi investimenti, ha consentito al Sudan non solo di esportare il greggio estratto, ma anche di sostenere le spese necessarie al finanziamento della guerra interna al Paese, laddove lo stesso governo di Pechino non abbia direttamente venduto armi in cambio di petrolio. In questo articolato e difficile quadro di rapporti interni ed esterni al Sudan, la maggiore preoccupazione è rivolta alla popolazione nel suo complesso, al di sopra di ogni confine o delimitazione territoriale. Ci si chiede se si possa andare oltre la solenne proclamazione che sancisce l'entrata in scena di una nuova entità statale, per arrivare a cogliere nel profondo le reali problematiche che attengono alla vita di così tante persone. La mancanza di infrastrutture, di un vero apparato istituzionale, l'estrema miseria, la fame, l'elevato tasso di analfabetizzazione, rappresentano i veri nodi da sciogliere e le sfide che il governo di Juba è chiamato ad affrontare perché possa definirsi effettivamente uno Stato. Ma se ancora una volta i bisogni della gente verranno sacrificati in nome degli interessi di potere e delle logiche economiche, nazionali ed internazionali, si prospetta un futuro nel quale la vita di ogni essere umano non avrà alcun valore se non quello di semplice strumento in mano alla politica.

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