di
Marta Carugati
21-12-2010
"Cerchiamo di risalire alla nascita del mito del progresso che ha caratterizzato l'impronta attuale dell'uomo sulla terra. Possiamo liberarcene una volta per tutte, anche perché sembra possa essere l'ultima occasione".
Dopo l'anticipazione di ciò che sarebbe accaduto all'incontro di Las Palmas alle Canarie a febbraio 2010, non si può mancare di presentare il seguito, quello che è effettivamente stato il Convegno Mittel-Atlantico sulla nascita e la salute primale.
L'incontro era destinato ad una migliore comprensione dell'origine della capacità di partorire (ma senza voler essere contro il cesareo), dell'origine della capacità di allattare (non contro il biberon), dell'origine di una buona salute (piuttosto che la prevenzione delle malattie) e dell'origine della capacità di amare (piuttosto che la prevenzione della violenza).
Tematiche che si pongono alla base della nostra società umana e che possono essere lette da una prospettiva nuova, necessaria al vero cambiamento di rotta.
A questo proposito, prima di riportare lo scritto di Michel Odent, mi pare opportuno richiamare alla mente ciò che è avvenuto durante la presentazione a Reggio Emilia dell'ultimo libro di Sonia Savioli Scemi di Guerra. È stato molto interessante confrontarsi su una teoria che si presta ad essere sostenuta dalle ricerche e dai risultati degli studi sulla nascita riportati al Convegno di Las Palmas.
Il libro di Sonia Savioli propone una lettura della storia molto coinvolgente, dal mito del progresso funzionale alla guerra (aperta o occulta che sia) ai germogli di una nuova identità umana, quella che possiamo (e dovremmo) scegliere di coltivare insieme ai semi di alfa alfa sulla finestra per poi nutrircene fino a diventare suoi frutti.
Certo, serve consapevolezza. Ma da dove iniziare e come proporlo agli altri?
Tante le questioni sollevate nella sala, ma anche testimonianze che condividono i timori, le sfide, le imprese personali di ciascuno e la gioia di essere lì insieme a semi-sconosciuti a ritrovare la forza nell'unione e grati di aver superato la pigrizia, il freddo invernale, la tentazione di mettersi sotto le coperte davanti alla finzione come hanno fatto in tanti, come fa la maggior parte della gente che non vuole cambiare o che resiste al cambiamento.
Il cambiamento è naturale, con una macrovisione della storia ci riguarda da sempre, con uno zoom ravvicinato è un'occasione, per chi vive questo tempo, di compiersi, di crescere nel senso di discendere, dallo spirituale alla materia non avendo più distinzioni tra i due.
Come scegliere di cambiare?
Diventa importante tirare una linea che demarca il confine tra i miti, quello del progresso e quello dell' 'altro' che non abbiamo scelto, a cui dovremo dare un nome che è fedele alla natura e alle sue regole.
Bisogna capire bene cosa è in realtà il mito che stiamo perpetuando da secoli e secoli e domandarci se siamo disposti ancora a sceglierlo. Come sempre è bene iniziare a farsi delle domande, poi le risposte verranno.
Il mito del progresso a cosa conduce? Che strumenti e strategie ha adottato per compiersi?
Sono così innocui i mezzi che usa? Ha perso il fine o quello dichiarato non è mai stato il suo vero obiettivo? Si parlava del benessere come meta del progresso ma i dati parlano chiaro: siamo proprio fuori strada se si tratta di questo.
Le persone nei 'luoghi del progresso' non vivono bene, questo è un dato di fatto. Sono stressate, malate croniche, separate le une dalle altre, sole e depresse e in questo stato continuano a vivere e a unirsi ad altre persone, procreare, lavorare, dormire, mangiare, etc., tutte cose che danno loro la sicurezza di stare vivendo. Ma alcune si destano e iniziano a porsi delle domande.
Bene, creiamo una nuova cultura a partire da queste domande e cerchiamo di risalire alla nascita del mito del progresso che ha caratterizzato l'impronta attuale dell'uomo sulla terra. Possiamo liberarcene una volta per tutte, anche perché sembra possa essere l'ultima occasione secondo molti.
Il mito del progresso è iniziato latente, tantissimi anni fa, quando si è intravista una grande possibilità di riscatto da una situazione vissuta come ostile che obbligava a condizioni di vita veramente dure. Significava poter migliorare le proprie condizioni e mettere da parte la paura quotidiana di non sopravvivere.
Le cosiddette 'invenzioni' nelle varie epoche storiche, non sono state altro che acquisizioni di poteri. Finché sono state gestite all'interno di un rispetto sacro per la vita, esse hanno condotto al miglioramento del rapporto con la natura; allorquando gli esseri umani hanno creduto di poter assurgere a creatori, qualcosa si è spezzato, un legame, una relazione necessaria.
Si è così aperta la battaglia tra dominanti e dominati. Alcuni gruppi umani sparsi nelle varie epoche e nei diversi luoghi, si sono organizzati in società gerarchiche, dove vigeva la divisione in classi per la gestione dei poteri e dove la guerra finì per diventare una funzione permanente per conquistare terre e risorse ai danni di tutti e tutto.
Quindi il mito del progresso, anche se di recente enfatizzazione con l'Illuminismo prima e con l'avvento dell'industrializzazione poi, ha inizio molto tempo fa e forse, come dice Sonia, non si tratta di un problema di ambivalenza naturale: l'uomo che comprende i meccanismi della natura per usarla al meglio senza il superamento delle sue logiche e l'uomo che tende al superamento dei limiti naturali per il potere e il prestigio, ma si tratta di un profondo trauma infantile dell'umanità, in cui le nostre origini sono state snaturate, sono divenute contronatura.
E qui torna viva la teoria di Michel Odent che attribuisce quanto accaduto al vantaggio che gli esseri umani hanno avuto nello sviluppare il potenziale di aggressività in modo da vincere sugli altri esseri e sulla natura e assicurarsi la vittoria e il successo.
Così la Specie a partire già dalla nascita, interrompendo bruscamente e violentemente ciò che era in equilibrio, ha allontanato, disturbato, interrotto il legame con la madre e con la terra.
Si è oltrepassata la linea della giusta misura, cioè della quantità di risorse necessarie a vivere in condizioni dignitose, per arrivare completamente a depredare gli altri delle loro.
Il mito del progresso è stata un'invenzione umana inserita all'interno di un ambiente naturale che aveva delle regole e queste regole servivano a limitare gli umani errori. Oltrepassare quei limiti significava poter perdere la capacità di gestire il potere acquisito e quindi avere degli effetti indesiderati e controproducenti, autolesionisti e suicidi persino. L'umanità sta prendendo lentamente coscienza di questa consapevolezza e ha bisogno di una nuova strategia di sopravvivenza.
Un esempio ci può aiutare a comprendere cosa è successo.
Consideriamo la posizione della donna in Occidente e la sua conquista di spazio all'interno di una società maschilista. È vero che ha raggiunto ruoli impensabili fino a soli sessant'anni fa, conquistando i titoli (maschili) di dirigente d'azienda, ministro, capo reparto, ma all'interno di una logica di progresso, ha perduto la capacità di dare alla luce i suoi frutti. Oggi la donna non sa più partorire.
Il dato spaventoso dell'1 percento di nascite naturali al mondo dovrebbe far riflettere.
Il vero potere della donna è sempre stato custodito nel suo grembo fertile, che fosse madre e che non lo fosse. Per questo le società antiche e sagge la onoravano con grande rispetto ed è questo che dovremmo tornare a fare in un'epoca di ritorno al futuro.
Grande è il potere di una donna e di un uomo, non dell'uno sull'altro, ma dell'unione di due esseri diversi, di due mondi complementari. Su questa unione si fonda la storia, tutta.
Vederla così, da questo punto di vista, già conduce a terre inesplorate. Forse a quella geografia che ci manca per aprirci a nuove visioni.
Non ci sarebbe stato nulla, nessun mito, senza l'unione del femminile e del maschile.
Partiamo da lì e ritroviamo il senso della storia e il mito perduto, quello della capacità di amare.
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