«Il cibo vero, genuino, è l’espressione di come il nostro organismo sia profondamente interconnesso alla natura e alla rete della vita. Anche se ne abbiamo quasi interamente perso la consapevolezza, il nostro organismo è talmente legato alla natura, che il nostro microbioma intestinale forma un macro-organismo continuo con il microbioma del suolo»: lo afferma Navdanya International , organizzazione guidata da Vandana Shiva.
«Questa connessione è tale che la debilitazione anche di un solo aspetto della nostra rete alimentare si ripercuote direttamente sulla nostra salute. Con l’avvento dell’agricoltura industriale, siamo stati sistematicamente allontanati dalle relazioni profonde e intrinseche che ci legano al cibo e alla Terra. Questo distacco dal mondo naturale è alla radice delle molteplici emergenze globali che affrontiamo oggi: la crisi ecologica, la crisi sanitaria e la crisi dei mezzi di sussistenza. Esse non sono separate, ma interconnesse e nascono dalla crescente dipendenza da un paradigma disfunzionale - prosegue Navdanya - Il sistema alimentare industriale e globalizzato, basato sull’utilizzo di sostanze chimiche, sulle monocolture e su filiere lunghe e insostenibili, rappresenta un chiaro esempio della negazione del legame profondo tra la nostra salute e quella del pianeta. La perdita di biodiversità causata dall’agricoltura industriale, sta progressivamente facendo ammalare la Terra e i suoi abitanti, inclusi gli esseri umani. Attraverso l’imposizione del modello agricolo industriale, le grandi multinazionali del settore agrochimico e sementiero hanno potuto realizzare enormi guadagni a scapito delle piccole realtà contadine e delle comunità locali, che stanno progressivamente scomparendo. Gli interessi di queste grandi aziende sono incompatibili con il modello agroalimentare delle piccole economie locali, basate sul rispetto della salute delle persone e del territorio. Ora le stesse grandi multinazionali che hanno contribuito alla crisi ecologica attuale, provano a convincerci di avere in tasca le soluzioni per le molteplici crisi a cui stiamo assistendo».
«La narrativa dominante alimentata dall’industria agrochimica riduce la complessità della crisi ecologica e dei cambiamenti climatici ad una dicotomia che mette in opposizione la produzione vegetale a quella animale, evitando di affrontare in maniera sistematica la più ampia crisi ecosistemica causata dalle pratiche industriali - scrive ancora Navdanya- In questa falsa dicotomia, gli animali, e con essi ogni forma di allevamento, vengono indicati come causa principale della crisi ecologica, spostando l’attenzione dalle reali responsabilità del modello agricolo industriale. Un esempio di questo approccio è il caso della brucellosi tra i bufali in Italia. La brucellosi è una malattia che insorge tra capi di bestiame concentrati in un piccolo spazio (modello tipico di allevamento industriale CAFO: Concentrated Animal Feeding operation). La diffusione della malattia è stata utilizzata come pretesto per costringere i piccoli allevatori ad abbattere i propri capi di bestiame, con effetti devastanti per la sussistenza dei piccoli produttori di mozzarella di qualità. All’attacco perpetrato verso chi produce cibo vero e genuino si contrappongono gli ingenti fondi raccolti da grandi compagnie produttrici di cibo sintetico, come la start-up tedesca Formo, per produrre ricotta e mozzarella in laboratorio».
«La complessità e l’integrità dell’allevamento animale in moltissime culture di tutto il mondo non ricevono la dovuta attenzione e il dovuto riconoscimento. A livello normativo, vengono invece assimilate al modello dell’allevamento industriale, cancellando di fatto la diversità e l’importanza di culture tradizionali profondamente radicate nei territori - prosegue Navdanya - In questa narrativa distorta, gli animali vengono ridotti a semplici prodotti per l’apporto di proteine, la cui somministrazione può essere facilmente rimpiazzata da tecnologie più efficienti come prodotti di bioingegneria realizzati in laboratorio. Queste false soluzioni proposte dall’agrobusiness stanno profondamente ignorando il ruolo essenziale e multidimensionale che gli animali ricoprono all’interno di agro-ecosistemi biodiversi. Il nostro legame profondo con la natura viene completamente ignorato, mentre viene ulteriormente ampliata la spaccatura che separa gli esseri umani dai cicli vitali della natura. Alla luce di queste considerazioni, continueremo dunque ad aspettarci le soluzioni dagli stessi soggetti che considerano la terra, il cibo e il vivente come qualcosa da estrarre, da mercificare, da cui trarre profitti per risolvere i problemi che nascono dalla separazione dalla Natura e dalla Vita? O inizieremo finalmente ad affidarci a chi custodisce la terra da generazioni, come i popoli indigeni, ai contadini che coltivano con cura e consapevolezza, agli scienziati indipendenti che migliorano ogni giorno la scienza dell’agroecologia? A chi possiamo realmente affidarci per imparare a rigenerare e curare i danni che abbiamo imposto alla Terra?».
Navdanya espone l'esempio dei pastori della Sardegna e poi si sofferma sul cibo sintetico.
«La questione del cibo sintetico è una delle false soluzioni più emblematiche tra quelle proposte dall’industria del cibo e rappresenta una minaccia per tutti i saperi legati alla terra e per i prodotti naturali e genuini - scrive l'organizzazione - Questo genere di soluzioni non considera l’enorme differenza tra cibo prodotto su scala industriale da allevamenti intensivi e il ruolo che invece assumono gli animali all’interno dei sistemi agro-pastorali su piccola scala, come quelli che ancora resistono in Sardegna. Chi oggi promuove la produzione e la commercializzazione del cibo sintetico, sostiene la tesi che esso costituisce una concreta soluzione al cambiamento climatico e al degrado ambientale, poiché non necessita di grandi quantitativi d’acqua o di suolo. Si afferma inoltre che la diffusione del cibo sintetico potrebbe contribuire ad una significativa riduzione delle emissioni di gas serra e aumentare il benessere animale ponendo fine agli orrori dell’industria della carne. Il vero scopo dietro queste soluzioni, però, non potrebbe essere più lontano da quello di combattere il cambiamento climatico o i problemi di accesso al cibo».
«Queste tecnologie rappresentano infatti la nuova ondata della privatizzazione e dei brevetti avviata con la Rivoluzione Verde a partire dai semi. Implicano il controllo dell’intera catena di produzione del cibo, a partire dalla manipolazione genetica del cibo sintetico, fino alla sua produzione in laboratorio, per arrivare fino al controllo della distribuzione già nelle mani delle grandi multinazionali - aggiunge ancora Navdanya - Inoltre, questi cibi ultraprocessati, di origine vegetale, vengono prodotti attraverso innovazioni tecnologiche la cui sicurezza non è ancora comprovata, come, ad esempio, la biologia sintetica, la manipolazione genetica dei CRISPR-Cas9 e i nuovi OGM. Queste tecniche prevedono la riconfigurazione del materiale genetico di un organismo per creare qualcosa di completamente nuovo, che non esiste in natura. Alcune aziende stanno addirittura investendo nella riproduzione di carne a partire da vere cellule animali. Il risultato finale di tutte queste sperimentazioni è una vasta gamma di prodotti artificiali realizzati in laboratorio: carni, uova, formaggio e latticini, che vengono gradualmente messe in commercio per sostituire i prodotti animali. Questi prodotti sintetici stanno iniziando ad affacciarsi sul mercato. Il governo statunitense, ad esempio, ha recentemente dichiarato la carne sintetica sicura per la salute umana, autorizzando la compagnia californiana Upside Foods a produrre carne di pollo in laboratorio. Le prime richieste di autorizzazione alla vendita della carne sintetica nel mercato europeo potrebbero già arrivare entro la fine di quest’anno».
Le culture del cibo
«Il sistema agroalimentare industriale viene messo in dubbio dalle scelte sempre più consapevoli dei consumatori, preoccupati per la propria salute e per l’ambiente - scrive ancora Navdanya - La promozione del cibo sintetico come soluzione ai problemi ambientali e climatici è altro che un abile tentativo di riorientare i profitti attraverso operazioni di green washing commerciale. In questo modo, le aziende produttrici di cibo sintetico, sostenute dalle grandi multinazionali dell’agribusiness, aprirono la strada ad un nuovo mercato, rappresentato da consumatori attenti alle questioni ambientali e in cerca di alternative alla carne. (...) Oggi il rischio è quello di distruggere e cancellare culture del cibo antiche e millenarie, che hanno elaborato nel tempo espressioni complesse della cultura, del territorio e dell’identità, attraverso rapporti sinergici tra l’agricoltura, gli animali, la biodiversità selvatica, il paesaggio e le comunità umane. Dobbiamo quindi riportare al centro le economie del cibo locali, circolari e rigenerative, in linea con i ritmi ecologici e i limiti che supportano queste relazioni simbiotiche. Non possiamo continuare a distruggerle perché grandi multinazionali continuino a ingrossare i propri profitti. La difesa del vero cibo genuino e delle culture basate sulla terra è oggi più importante che mai, poiché rappresenta anche la difesa dei piccoli agricoltori e dunque del nostro rapporto con il vivente. Questo significa far rifiorire e supportare quegli stili di vita che hanno sostenuto l’umanità per millenni, laddove comunità e cultura sono co-evolute in rapporto al clima, al suolo e alla biodiversità, contribuendo alla diversità degli alimenti e dei sistemi agricoli, unendo la biodiversità e la diversità culturale in maniera simbiotica».